Raffaele Cantone (Magazine – luglio 2008)

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Nella megalopoli formata dai comuni dell’hinterland partenopeo, le montagne di munnezza sono ancora a ogni angolo di strada. Raffaele Cantone, 44 anni, ex pm “caccia-casalesi”, ci vive in mezzo. Tra un mucchio e l’altro di spazzatura. A Giugliano in Campania. Il giardinetto di casa sua, dove si svolge l’intervista, sembra un’enclave altoatesina: prato ben rasato, rose e rosmarino. Ma fanno 40 gradi e un venticello estivo, ogni cinque minuti, ci ricorda dove siamo, avvolgendoci con una zaffata calda al sapor di rifiuti. La prima cosa che mi dice Cantone, un secondo dopo avermi aperto la porta, è che lui non si occupa più di camorra. Dall’ottobre 2007 è stato trasferito (e un po’ si è fatto trasferire) nell’Ufficio del Massimario della Cassazione, dove si scrivono le massime delle sentenze. Ci tiene a precisarlo. Chiedo: «Per evitare attentati?». Lui: «Anche per riacquistare un minimo di quella normalità quotidiana devastata dallo status di scortato».
Recentemente, insieme con Roberto Saviano e con la cronista Rosaria Capacchione, Cantone è stato minacciato pubblicamente dai camorristi durante un’udienza del processo Spartacus, quello che si è concluso qualche giorno fa con la conferma degli ergastoli per i capi clan Francesco Bidognetti (soprannominato «Cicciotto ’e mezzanotte»), Francesco Schiavone («Sandokan»), Antonio Iovine e Michele Zagaria. Il perché della minaccia resta un mistero. È risaputo che Saviano per scrivere i capitoli di Gomorra sul casertano, si è ispirato anche alle inchieste di Cantone. Ed è noto che lo stesso Cantone in passato ha messo in gabbia parecchi boss della camorra. Ma è vero anche che lui con quel processo non c’entra nulla. Quando gli domando come mai secondo lui i casalesi lo hanno voluto indicare come “puparo” della macchina mediatica anti-camorra, Cantone non sa che cosa rispondere. Dice solo che quella stessa minaccia, per la camorra, è stata un autogol.
Perché?
«Se avessero minacciato solo me, nessuno se ne sarebbe accorto. Mettendo in mezzo anche Saviano hanno attirato un’attenzione incredibile sul processo Spartacus. Mai, nella storia dei processi di camorra, c’era stata una simile attenzione».
E più attenzione vuol dire guardia alta da parte delle istituzioni. Dopo le condanne del processo Spartacus, a che punto è la guerra a Gomorra?
«Premettendo che non mi occupo più di queste cose…».
Lo premettiamo, lo premettiamo.
«La lotta tradizionale, quella che riguarda soprattutto i fenomeni militari e gli affiliati armati è molto avanti, ma c’è bisogno di un salto di qualità. C’è una zona grigia che avanza. È fatta di connivenze, di imprenditori proni, di politici pseudo- affiliati. Lì, è più difficile colpire. Anche perché in Campania manca completamente lo spirito dell’anti-mafia siciliana».
In che senso?
«Quando è stato arrestato il killer mafioso Giovanni Brusca, a Palermo, fuori dalle caserme c’era la gente che faceva festa. Quando si arrestano i camorristi nel casertano la gente tira i gabinetti di ceramica contro la polizia. A Napoli manca persino un movimento antiracket».
Una volta lei ha detto: «L’ascesa dei casalesi è stata favorita dall’assenza dello Stato».
«Poco prima che me ne andassi dall’anti-mafia napoletana, mi contattò un professore in pensione che aveva una casa sul litorale di Mondragone, la zona in cui abbiamo estirpato di più la criminalità organizzata. Mi disse: “Ho seguito con grande entusiasmo la vostra lotta alla camorra. Ma ora che non ci sono più i camorristi, i teppisti mi sono entrati in casa quattro volte e mi hanno bruciato il giardino”».
Vuol dire che paradossalmente c’è chi si sente più al sicuro quando la camorra è presente?
«La camorra casertana, che va distinta da quella napoletana, che è più caotica, svolge un ruolo di intermediazione sociale più o meno lecita».
Parliamo di controllo del territorio?
«Anche. Qualche tempo fa, essendo aumentati i furti da parte degli extra-comunitari, c’è stato anche qualche episodio di ronde organizzate».
Le ronde camorriste?
«Che fossero proprio camorriste non è provato. Ma erano composte da esponenti di certe famiglie. Comunque non è solo un problema di sicurezza. L’imprenditore che investe in questo territorio spesso si rivolge al camorrista perché gli risolve ogni tipo di problema. Se lo Stato non assume questa funzione è la fine».
Detta così, la camorra del casertano, più che anti-Stato sembra essere un altro-Stato.
«Direi piuttosto uno Stato nello Stato. Lo stesso pentito Carmine Schiavone più volte ha detto che il clan non è anti-Stato. Una volta andai a interrogare Bidognetti e lui alla fine del colloquio mi disse: “Dotto’, io sono imputato di tutti i reati, ma mai di una cosa che riguarda un uomo delle istituzioni”».
Questo anche perché uccidere un uomo dello Stato vuol dire attirare la rabbia dei cittadini e più attenzione da parte dei media.
«Certo. Infatti molti pentiti mi hanno detto che dopo gli omicidi di Falcone e Borsellino ci furono delle rivolte nelle carceri contro i corleonesi».
Perché?
«Perché dopo quegli omicidi la lotta alla mafia ha fatto un salto di qualità. E anche i camorristi hanno pagato il prezzo di un crimine commesso dai siciliani».
Quante minacce ha ricevuto durante i suoi otto anni all’anti-mafia?
«Ci sono stati vari segnali. Di molto concreto, a parte la minaccia durante l’udienza di Spartacus, ci fu una lettera anonima in cui si diceva che Zagaria aveva fatto preparare una bomba per me. Lo stesso Zagaria, però, mi mandò a dire, tramite il suo avvocato, che non c’entrava nulla».
Da quanti anni vive sotto scorta?
«Dal 2003. All’inizio è una cosa che ti gratifica».
La scorta come status symbol?
«Be’, insomma. I magistrati sono semplici funzionari dello Stato. Certe attenzioni possono solleticare la tua vanità. Ma poi… Poi ti accorgi che la vita privata fuori dalle mura domestiche scompare. È una situazione molto pesante. Sono seguito a vista da 5 uomini della Finanza. L’anno scorso sono stato a Ponza cinque giorni con la mia famiglia e, ovviamente, in spiaggia venivano anche loro, armati».
La scorta le ha creato qualche imbarazzo con gli amici o col vicinato?
«Qui a Giugliano all’inizio hanno raccolto le firme contro la mia presenza. Poi la situazione si è normalizzata».
Tornerebbe mai indietro, vista la vita che fa?
«No, mai. La voglia di occuparmi di giustizia mi è venuta anche perché io da queste parti, tra Napoli e Giugliano, ci sono nato e cresciuto».
La sua famiglia.
«Mio padre era un funzionario dello Stato e mia madre una farmacista. Borghesia campana».
Scuole?
«Elementari dai padri maristi. Poi al liceo andai ad Aversa. Nel cuore del casertano».
Saviano una volta ha detto che da ragazzino subiva un po’ il fascino di certi personaggi legati alla camorra. Lei?
«Fascino non lo so. Di sicuro curiosità».
Si percepiva la presenza della criminalità organizzata?
«Certo. A Giugliano c’era Alfredo Maisto. Camorrista leggendario. Si favoleggiava che avesse litigato con Lucky Luciano all’interno dell’ippodromo di Aversa. Uno di spessore e di popolo. Che non permetteva che ci fosse alcun episodio di micro-delinquenza. Be’, il suo funerale lo ricordo come un happening maestoso: la fila di limousine e Mercedes che seguivano il carro funebre non finiva mai. Molti miei amichetti, pur non essendo affiliati, vedendo un camorrista dicevano: “Lo vedi quello? Ce sape fa’”».
Quando ha deciso di fare il magistrato?
«Io prima ho fatto due anni di praticantato come avvocato penalista. Poi, dopo essermi occupato di un caso di omicidio complicatissimo, decisi di fare il concorso in magistratura. Nel 1989. Fu la svolta della mia vita. Venni subito assegnato a Napoli. Mi occupavo di reati tributari e durante un’indagine subii pure una campagna denigratoria, con volantini e calunnie sparse ad arte».
Quando è passato alla Direzione distrettuale anti-mafia?
«Nel ’99, avevo 35 anni. Il coordinatore mi disse: “Abbi pazienza, del casertano te ne devi occupare tu”».
Sapeva chi fossero i casalesi?
«Bardellino, il leader storico era abbastanza una figura leggendaria e il processo Spartacus era già in dibattimento. Venni assegnato allo Spartacus 2».
Di che cosa si occupava?
«Tra le altre cose delle connivenze dei camorristi con le istituzioni, con le forze dell’ordine, con politici di medio livello».
Quale è la cosa che la sconvolse di più dei casalesi, pur essendo lei nato da quelle parti?
«Il numero incredibile di omicidi commessi senza una ragione. La violenza gratuita. E poi la capacità di controllo dell’economia».
Parliamo di spaccio di droga?
«No. Sui casalesi non è mai emersa in modo specifico la gestione della droga. E a Casal di Principe non c’è uno spaccio di droga rilevante. Mi riferisco a numerosissime attività di carattere legale o para-legale».
Nel film Gomorra…
«Nel film, mentre la parte sullo spaccio alle Vele di Secondigliano è realistica, l’aspetto imprenditoriale nel casertano è quello reso peggio: i casalesi sembrano quattro bufalari, invece…».
Invece?
«Si introducono in ambienti finanziari insospettabili. Durante un’indagine su Zagaria abbiamo scoperto che a un certo punto, tramite il padrino della moglie, il boss aveva cominciato a trafficare a Parma. A un imprenditore con cui aveva avuto a che fare chiesi: “Ma lei con chi pensava di fare affari? Il fatto che lui tirasse fuori da un giorno all’altro centinaia di migliaia di euro in contanti non la insospettiva?”. E lui: “Mi sembrava solo un buon imprenditore”».
Lei lo ha conosciuto Saviano?
«Anni fa. Era venuto da me a chiedere informazioni. Mi sono ricordato di quell’incontro solo dopo averci parlato altre volte in tempi recenti».
È normale che la giustizia, per funzionare, debba appoggiarsi a un successo editoriale?
«La magistratura mica si muove sull’onda del successo di un romanzo. Il libro Gomorra racconta cose su cui già si è indagato. Di sicuro, però, il fenomeno mediatico rende più forte l’attenzione dei cittadini su certe dinamiche criminali».
Lei lo scriverebbe mai un libro sulla camorra?
«Lo sto facendo, per Mondadori. Ma è più un volume sulla mia esperienza personale».
Politica e giustizia: favorevole o contrario ai militari nelle città?
«Non sono contrario. Ma dipende dal tipo di militari».
A Napoli vengono utilizzati per vigilare sulle discariche. La sua casa è circondata dall’immondizia.
«E pensi che a Giugliano non era mai successo prima di quest’anno. Qui c’è una discarica con un milione di tonnellate già stoccate».
Lei ha due figli. Accetterebbe un termovalorizzatore accanto a casa sua?
«Abbiamo le discariche a cielo aperto. Accanto a casa di mia madre ieri sera hanno incendiato una montagna di spazzatura e pensa che ci preoccupiamo di un termovalorizzatore?».
Si dice che la resistenza alle discariche e ai termovalorizzatori sia guidata dalla camorra.
«Non è sempre così. La resistenza è mista. Ci sono i camorristi. Ma anche brave persone a cui sono state fatte troppe promesse non mantenute».
Che tipo di promesse?
«Qui a Giugliano avevano promesso decine di volte che non avrebbero allargato la discarica e invece poi lo hanno fatto. Pare ci fosse un accordo per cui, in cambio della disponibilità ad aprire la discarica, si sarebbe fatto un tribunale. Il tribunale è stato istituito per legge nel ’96. L’ha mai visto? A prescindere dalla spazzatura, c’è moltissima gente che da qui scappa: la microdelinquenza aumenta. Sono quelli di Secondigliano che sciamano per tutto l’hinterland».
Che cosa pensa della legge sulle intercettazioni?
«Si deve tutelare la privacy. Ma per come è stata pensata la nuova legge si rischia una burocratizzazione e un rallentamento anche delle indagini per mafia».
Lei ha un clan di amici?
«Quelli di quando ero ragazzo: Roberto, Enzo, Massimo. Non lavorano nel mio ambiente».
L’errore più grande che ha fatto?
«In certe occasioni avrei dovuto evitare una eccessiva esposizione».
Il film della vita?
«La storia infinita».
Roba anni Ottanta. Per ragazzi.
«L’esaltazione della fantasia. È il mio film».
Il libro?
«Siddharta. Amo Hermann Hesse».
La canzone?
«Lucio Battisti… Innocenti evasioni».
Champagne ghiacciato e l’avventura può iniziare ormai. Guarda molta tv?
«Soprattutto sport».
Ospite di Santoro o di Vespa?
«Preferisco decisamente Santoro e Annozero».
Da Fabio Fazio o da Enrico Mentana?
«Da Fazio».
A cena con Tonino Di Pietro o con il ministro della Giustizia Angelino Alfano?
«Con entrambi».
Non vale.
«Allora con Di Pietro. Non è il massimo, ma apprezzo quell’essere un po’ paesano e meridionale».
Cultura generale. Sa che cosa è YouTube?
«Lo so solo perché è un sito frequentato da mia figlia: serve per cercare video».
I confini di Israele?
«Libano, Egitto, Giordania, e poi… non ricordo: anche la Siria?».
Sì. Quanto costa un pacco di pasta?
«Circa un euro. Dipende. Comunque a me piace fare la spesa».
La compra la mozzarella di bufala campana?
«Certo».
Anche se è uscita quella storiaccia sui pascoli inquinati e le tracce di diossina?
«Della bufala non posso fare a meno».

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