Claudio Borghi (Doppio Binario – 7 – Luglio 2018)

0 commenti

(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 19 luglio 2018)

SI RIMBOCCA UNA MANICA, infila un braccio in acqua e tira fuori una cima. Poi salta sul suo piccolo motoscafo e ci invita a seguirlo. Doppio Binario lacustre con Claudio Borghi Aquilini, presidente leghista e laghée della Commissione Bilancio a Montecitorio, sponsor e frontman televisivo di tutte le più spericolate ricette economiche in circolazione: Italexit, mini-bot, Flat Tax. Prima di cominciare la navigazione incontriamo per strada una militante, Elena. Lo abbraccia. Le chiedo: per lei è più importante la Flat Tax o la questione migranti? Replica: «La Flat Tax, ma si dovrebbe dare anche un bel giro di vite sugli extracomunitari». Borghi sui migranti è un murista convinto: «Si deve mettere uno stop. Altrimenti continuano a imbarcarsi e a morire». Obietto che ci si imbarca per disperazione, a prescindere dai muri. Replica che la vera aberrazione è «aver creato un sistema che esaspera la gente, fatto di precarietà e guerra tra poveri». Viriamo sulla Flat Tax.

Nessuno crede che farete davvero la Flat Tax.

«Chi non ci crede, sbaglia. Ci vuole solo un po’ di tempo. La manovra del 2019…».

Mi dia una percentuale di realizzazione.

«Ottanta per cento. Il restante venti è legato alla possibilità che fallisca il governo. Dopodiché c’è un problema di architettura».

Di architettura?

«La prima cosa che andrebbe cambiata subito è il pareggio di bilancio. È stato inserito in Costituzione in un momento di appannamento collettivo».

La Flat Tax è considerata da molti una riforma iniqua che costa uno sproposito. C’è chi teme che voi siate pronti a tagliare il welfare e la spesa sanitaria pur di vararla.

«Non abbiamo nessuna intenzione di danneggiare chi sta peggio. Che cosa ce ne verrebbe? È una riforma giusta e crediamo che ci sia una piccola possibilità di restare nella storia».

Borghi accende il motore. È quasi sorpreso che funzioni. Tira fuori dalla giacca un portafogli gonfio di carte plastificate. Tra queste c’è la tessera della Lega: «Abbiamo talmente pochi soldi che quest’anno abbiamo usato quelle del 2017 e ci abbiamo attaccato sopra un piccolo adesivo con su scritto 2018».

La Lega è stata condannata a risarcire allo Stato quarantanove milioni di euro di rimborsi pubblici ottenuti tra il 2008 e il 2010.

«Non mi costerebbe nulla dare la colpa di quanto successo a Umberto Bossi. In realtà erano soldi incassati in base ai voti presi e sono stati spesi per la gestione del partito. La sede di via Bellerio, a Milano, ospitava settanta dipendenti. Aveva un costo pazzesco. Ora non c’è più nessuno».

Quando gli chiedo se non sia deluso per essere rimasto fuori dall’elenco dei ministri, risponde: «Ho sempre detto che fare il ministro dell’Economia non era la mia ambizione. Anche perché non sarei in grado: io spiego le cose, non sono un organizzatore». Ha una vecchia lira incastonata nel portachiavi e sul suo profilo Twitter compare un’immagine delle vecchie diecimila lire in cui al posto di Michelangelo Buonarroti c’è il volto dello stesso Borghi.

Ogni volta che si parla di fantomatici piani B e di uscite dall’Euro lo spread traballa.

«La prima riforma europea che andrebbe fatta è proprio quella sulla garanzia del debito. Oggi la BCE ha il potere di farti saltare il debito e di metterti in ginocchio. Bisognerebbe fare in modo che la Banca centrale intervenisse appena lo spread tra i titoli di due Paesi europei raggiunge quota duecento. Sarebbe anche un modo per difendersi dalle fake news».

Quali fake news?

«Per esempio quella secondo cui nelle bozze del programma comune tra Lega e Movimento Cinque Stelle era prevista l’uscita dall’Euro. È falso».

Sicuro?

«Sono un testimone abbastanza attendibile, una fonte autorevole. Appena mi sono seduto al tavolo con i Cinque Stelle ho chiesto: “Vogliamo uscire dall’Euro sì o no?”. E loro hanno risposto: “No”. Punto. Io speravo di trovare dei compagni d’avventura e invece… Resta il fatto che il sistema Euro/Bce così non funziona. Se domani al posto di Mario Draghi arrivasse Jens Weidmann…».

…falco rigorista…

«…se Weidmann chiedesse all’Italia di consegnare i primogeniti?».

Perché dovrebbe?

«Se minacciasse di farci saltare il debito perché non stiamo facendo gli sforzi dovuti? Se ci chiedesse di vendere qualsiasi cosa, anche il Colosseo? È questo che non funziona nell’Eurozona».

Lei quando è diventato No Euro?

«Nell’estate del 2011. Ero in Liguria, al mare. Mentre in tv scorrevano le immagini della crisi greca, ho pensato: “Siamo in trappola. Dobbiamo uscire dalla zona Euro”».

Lo disse a qualcuno?

«Chiamai il politico più importante di cui avevo il numero, Angelino Alfano. Mi rispose il suo Capo di Gabinetto, mi chiese se era urgente e io replicai: “Abbastanza, dobbiamo uscire dall’Euro”. Mi viene da ridere: non era decisamente la persona giusta a cui rivolgermi. Cominciai a scriverne sul Giornale, nello stesso periodo in cui Alberto Bagnai creava il suo blog sulle stesse posizioni».

Secondo lei l’Italia prima o poi uscirà dall’Euro?

«Ne sono convintissimo».

In caso di Italexit gli economisti euristi prevedono uno shock travolgente: perdita del potere d’acquisto, debito alle stelle, risparmi al macero…

«Nel gennaio 2013 un think tank inglese riunì a Bruxelles tutti gli economisti No Euro in circolazione. Ne scaturì il “Manifesto di solidarietà europeo”. In pratica arrivammo alla conclusione che la cosa migliore, anche per aggirare la propaganda sullo shock, sarebbe stata l’uscita della Germania per prima dall’Euro».

Euristi: Carlo Cottarelli, Francesco Giavazzi, Alberto Alesina…

«Mi rifiuto di credere che loro non si rendano conto di quello che a me sembra solare».

È vero che c’è il suo zampino dietro la svolta No Euro di Matteo Salvini?

«Nel luglio 2013, all’una di notte, mi chiamò sul cellulare».

Lei era sveglio?

«Dormo poco».

I leghisti hanno fama di essere animali notturni.

«Un po’ è vero. A Roma, coi nuovi parlamentari capita di darci appuntamento alle due di notte fuori da un supermercato in centro, aperto H24. Ognuno col suo pacco di biscotti, o la sua bibita. Con Salvini, comunque, ci incontrammo il giorno dopo in un bar milanese. Mi ascoltò con attenzione e capì tutto».

Lei twittò: “Ho dato la pillola rossa (quella del risveglio dal mondo illusorio) a un uomo importante”. Una citazione del film Matrix. Con lei nel ruolo di Morpheus…

«…e Salvini in quello di Neo, l’eletto, che alla fine salva tutti. In quel periodo parlai di Euro anche con Silvio Berlusconi. Mi aveva concesso un’udienza di quindici minuti, che a causa di un ritardo si erano ridotti a cinque. Quelli del suo staff si erano raccomandati: “Rapido e, mi raccomando, non lo contraddica”».

Borghi alla corte del Cavaliere.

«Mentre parlavo Berlusconi tirò fuori l’argomento Cina. Gli dissi: “No, la Cina non conta”».

La cacciò via?

«Mi invitò a pranzo. Alla fine mi sembrava convinto. Ma poco dopo fece il Patto del Nazareno e addio teorie No Euro».

Borghi fa scivolare il motoscafo svelto sull’acqua del Lago di Como. Mi indica il punto in cui si trova la sua casa di Carate Urio: «Gli Aquilini sono qui da secoli. Mio nonno si è fatto due guerre mondiali in Marina». Saluta un bagnante sulla banchina. Spiega: «Mi conoscono più qui e più a Siena, che a Milano». Domando: da dove viene il suo legame con Siena? Replica: «Sono battezzato nella Nobile Contrada dell’Aquila da dodici anni. La prima volta che ho assistito al Palio è stato nel Duemila. Ci portai un cliente, un investitore». Cominciamo a parlare di quando lavorava in una banca d’affari. E di come a soli trentotto anni aveva deciso di smettere di lavorare in Borsa per vivere di rendita: «Dopo venti anni tra futures e warrant, l’unico modo per crescere era andare all’estero, ma non mi interessava e il patto con mia moglie Giorgia era che saremmo rimasti in Italia».

Vivere di rendita a trentotto anni. Vuol dire che aveva guadagnato davvero tanto. Quantifichiamo.

«Ho fatto qualche anno a un milione di euro all’anno. Quando pianifichi di vivere di rendita devi considerare di arrivare alla cassa di mogano a zero euro».

Senza lasciare nulla ai figli?

«Io sono partito da zero, anche loro possono partire da zero. Comunque nel 2006 cominciai a scrivere qualche articolo sul Giornale e a insegnare all’università».

Le hanno rimproverato il fatto che i suoi risparmi sono all’estero.

«È una cosa ridicola. I miei risparmi sono in una banca italiana. Ma ho venduto i titoli di Stato italiani nel giorno stesso in cui ho realizzato che, crollata la Grecia, il debito non era garantito. Agli investimenti azionari comunque ho sempre preferito le opere d’arte».

Arte moderna o contemporanea?

«Moderna. Il primo astrattismo. Il razionalismo che è nato proprio a Como, negli anni Trenta».

Il pezzo più pregiato della sua collezione?

«Un affresco di Mario Radice. Me lo ha chiesto in prestito anche il Musée d’Orsay di Parigi. Ho cominciato a frequentare i musei da adolescente».

Il giovane Borghi…

«Mia madre era casalinga, mio padre impiegato alla Pirelli. Vivevo a Carnate e frequentavo il Liceo Scientifico Banfi di Vimercate».

A scuola faceva politica?

«Paninaro, destrorso. Dall’altra parte c’erano quelli di sinistra che ostentavano la kefiah. Ero rappresentante di classe. Mi chiamavano Saruman».

Come lo stregone cattivo di Il signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien?

«Non perché fossi cattivo. Sapevo convincere la gente. Un giorno feci annullare un compito in classe che era andato male a tutti».

Le cronache non la ricordano come un ragazzo molto sportivo.

«Il calcio e il rugby non facevano per me. Optai presto per attività più creative: scacchi, Risiko, Dungeons and Dragons…».

Il gioco di ruolo con elfi e maghi?

«Sì, ero Dungeon Master, cioè l’organizzatore del gioco. Comunque non leggevo solo fantasy, eh, mi piacevano anche i romanzi di Fruttero e Lucentini».

Il primo voto?

«PSI, alle Europee del 1989. Votai socialista anche nel 1992. Craxi mi piaceva».

È raro trovare un leghista che lo ammetta.

«Era deciso, determinato. Poi ho cominciato a votare Lega».

È vero che il suo primo impiego è stato come fattorino?

«La prima cosa che fai quando entri in una agenzia di cambio è il fattorino. Portavo assegni. Vivevo a Milano in uno sgabuzzino. Rientrato dal lavoro frequentavo l’università. Avevo ottenuto l’iscrizione anche alla Bocconi, ma a me servivano corsi serali, quindi scelsi la Cattolica. Facevo giornate di trentasei ore. Dopo i corsi tornavo a casa e provavo davanti allo specchio i segni per gli acquisti in Borsa».

Borghi comincia a gesticolare con la mano. Movimenti rapidi per indicare numeri, acquisti e vendite di azioni. Con la barca arriviamo di fronte a una villa meravigliosa. Spiega: «È la Pliniana. Antonio Fogazzaro ha ambientato qui Malombra. Da ragazzo la guardavo col binocolo. Un sogno».

Ci è mai entrato?

«No. E preferisco che il sogno resti tale».

Categorie : interviste
Leave a comment