Bibi Ballandi (Sette – novembre 2016)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 25 novembre 2016).
Ha portato urlatori strappacuore e raffinati cantautori nei locali di tutta Italia. Ha fatto esibire un Nobel, Bob Dylan, di fronte a un Papa beato, Giovanni Paolo II. Ora è l’artefice del piroettante successo televisivo di Mika. Bibi Ballandi, classe 1946, è l’uomo che sussurrava alle star. Chiunque abbia gorgheggiato qualche strofa o frequentato i grandi show della Rai negli ultimi trenta anni ha avuto a che fare con lui. Lo incontro nella sede romana della sua società di produzione. Sulla scrivania ci sono tre telefoni. Accanto troneggia una vecchia agenda in pelle nera. Chiedo di sbirciare. Dice: «Le leggo la prima pagina. C’è una cosa sullo Spirito Santo». Io: «Ha il numero dello Spirito Santo?». Lui: «È una preghiera… Lava ciò che è sordido… Bagna ciò che è arido…». Il tono di voce è romagnol-pretesco. Ballandi è un democristiano non pentito. Il suo soprannome è “il Cardinale”. La leggenda narra che nel giardino della sua villa di Sasso Marconi ci sia un ulivo trapiantato da Gerusalemme. Sorride: «Non è una leggenda». Appese alla parete ci sono foto di Ballandi con Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio. Racconta: «Papa Francesco ha festeggiato i 33 anni del mio matrimonio. Un amico gli ha riferito della ricorrenza e così io e mia moglie Lella siamo stati con lui una ventina di minuti». Accanto a quelle dei tre Pontefici c’è una foto di Mina con dedica: «Perché non mi fai mai lavorare?». Ballandi spiega: «È uno scherzo. Io e mio padre (Iso, anche lui impresario musicale, ndr) le abbiamo procurato decine di serate alla Bussola, in Versilia, o alla Pineta di Milano Marittima». La rete ballandiana di relazioni nello showbusiness è decisamente glocal. A Fiorello serve un mega-ospite per superare gli ascolti di Maria De Filippi? Ballandi gli rimedia Dustin Hoffman. Celentano vuole riprodurre un ambiente meneghin-conviviale per cantare in tv Ho visto un re? Ballandi apparecchia una tavola con intorno Giorgio Gaber, Dario Fo, Enzo Jannacci e Antonio Albanese. Anche Al Bano, Nicola Di Bari, Caterina Caselli e Little Tony negli anni Sessanta lavoravano con i Ballandi: «A Mantova, per la festa patronale, organizzammo il concerto di Rita Pavone. Vennero 14.000 persone. Alla fine dello spettacolo mio padre girava con un sacco nero della monnezza pieno di banconote». Mentre Bibi parla, su uno dei due grandi schermi che gli stanno di fronte appare l’immagine di Fiorello. Alza il volume. Si mette in affettuoso ascolto. Sospira: «Fiore è come un figlio. Sa qual è il segreto del mio mestiere?». Quale? «La cura». I care. «Gli artisti hanno una sensibilità che neanche i cani lupo. Vanno accuditi». Rilancio: «Contano di più i cachet, i soldi». Replica: «Soldi e contratti vengono dopo. Prima bisogna mostrare affetto. Le faccio un esempio: qualche mese fa Patti Pravo mi ha chiamato per dirmi che suonava al Duse di Bologna. Le ho fatto capire che non stavo bene. Avevo 39 di febbre. Però mi dispiaceva lasciarla sola. Allora ho preso il treno e da Roma l’ho raggiunta. Quando mi ha visto, si è commossa». Morale: «L’artista va ascoltato. Aiutato. Ha un problema col padrone di casa? Ci vado a parlare io. Per loro sono come un babbo».
Ha fatto il babbo anche con Mika?
«La prima volta che l’ho visto a casa sua, gli ho detto: “Quanto sei bello!” e gli ho dato un bacino da zio. Lui mi ha abbracciato».
Mika, Fiorello… Altri figli?
«Beppe Caschetto».
Il mega manager e produttore tv.
«Caschetto è stata una mia intuizione dei tempi in cui avevo ancora la discoteca Bandiera Gialla, a Rimini. Nell’anno dell’invasione delle alghe nell’Adriatico pensai che sarebbe stato bello realizzare una trasmissione per far vedere che in riviera ci si divertiva ancora. La Rai ci consigliò di chiedere alla Regione Emilia-Romagna dei contributi. Nell’ufficio dell’assessore incontrai Beppe, funzionario sveglissimo. Dopo un po’ gli chiesi di venire con me. La sua società, la ITC2000, l’abbiamo fatta nascere insieme».
Chi è il primo artista di cui si è occupato?
«Gigliola Cinquetti. Metà anni Sessanta. A quell’epoca i cantanti erano seguiti dai parenti. E se cominciavi a lavorarci dovevi diventare anche tu uno di famiglia: cresime, matrimoni… Dopo la vittoria sanremese con Non ho l’età, il padre di Gigliola chiamò il mio per gestire le serate in Centro Italia. Avevo 18 anni. Giravamo con la mia Fiat 1400. I biglietti d’ingresso nei locali erano il nostro Auditel».
In che senso?
«A fine serata si capiva subito se un artista attraeva pubblico. E immediatamente si fissavano date per i mesi successivi. Con Vanoni e con Mina non sapevi dove mettere la gente, con Lucio Dalla, invece…».
Non faceva incassi?
«Prima di Sanremo no. Per trovargli serate nei locali dovevo “fare la patta” con chi incassava molto».
La patta?
«Ai proprietari dei locali dicevo: se ti prendi Dalla, ti do anche Johnny Dorelli. Per Lucio avrei fatto di tutto. Era un fratello».
Quando lo ha conosciuto?
«Da ragazzo, a Bologna. Andavamo in giro tutto il giorno. Ogni tanto si inventava qualche fantasioso furtarello, per divertirsi: io distraevo il negoziante e lui arraffava qualche pennarello. Poi ha cominciato a portarmi in giro per le chiese, a farmi da guida culturale. Mi svegliava la mattina alle 7 e mi chiedeva se avessi già letto l’editoriale del Corriere. Io ho la terza media: è Lucio ad avermi fatto fare il salto da impresario a produttore. Ornella, invece…».
Ornella Vanoni…
«Mi ha introdotto nel mondo dell’Italia bene. Una sorella. Le guidavo anche la macchina. Un’estate mi portò al bagno Piero di Viareggio e mi presentò agli Agnelli e ai Moratti come suo manager. Le andavo dietro come un cagnolino».
Lei ha lavorato molto anche con Renato Zero.
«Con lui ci siamo inventati il tour dei teatri tenda in città».
Come nacque l’idea?
«Ci eravamo incontrati negli studi della casa discografica RCA e lo avevo convinto a fare alcune serate dalle mie parti. Chiamai il proprietario della Locanda del lupo, a Miramare, e dissi che avevo un artista molto divertente. Pattuimmo che il primo spettacolo sarebbe stato gratis. Renato arrivò su un camioncino rosso, bello da morire, con un fisico pazzesco, sgargiante. I ragazzi presenti furono entusiasti: il primo giorno c’erano 500 persone, il secondo 2.000… Dopo qualche sera Renato mi disse: “Famo i tendoni”. Andammo a parlare con i Togni, la famiglia circense, per affittare le strutture. Cominciò un tour travolgente».
Con tutti questi artisti i rapporti restano buoni anche quando si smette di lavorare insieme?
«Zero lo sento spesso. Ci scambiamo cortesie. Gianni Morandi è un fratello. È stato quasi tutti i giorni al mio fianco, in clinica, durante i cicli di chemio che ho dovuto affrontare».
Lei una volta ha detto: i miei spettacoli sono anti-economici.
«Ormai neanche troppo. Ma le emittenti devono capire che la qualità si paga. Mika ha un milione di idee geniali al secondo. Che fai, non lo assecondi? E Celentano…? E Paola Cortellesi? Lo sa che dopo un suo monologo sulle donne, Renzi l’ha chiamata per complimentarsi? La tv ben fatta, con valori e qualità, è il vero servizio pubblico».
Renzi…
«Ci siamo conosciuti durante uno spettacolo di Baglioni e di Morandi. Ci scambiamo sms. È un leader moderno. Se non stesse in politica potrebbe fare il super manager della Benetton o della Ferrari».
Lei è amico sia di Pierferdinando Casini sia di Walter Veltroni.
«Casini lo conosco da quando era un giovanissimo dc bolognese. Veltroni dal Tour Banana Republic».
Quello di Dalla e De Gregori?
«Sì. Dalla mi disse di andare a parlare con Veltroni, perché era un grande organizzatore. Quelli del Pci tra feste dell’Unità e manifestazioni erano pratici. Walter ci diede una mano con gli stadi. Venne con noi tutte le sere. Dalla lo ascoltava con molta attenzione».
Quanto conta la politica in tv?
«Contava. Ora conta meno».
A cena col nemico?
«Non credo di averne».
Pensavo che citasse Publio Fiori, ex parlamentare di An. Lui disse a Panorama che lei trafficava con molti soldi in “nero”.
«Fiori frequentava la destra. Probabilmente i suoi amici fascistoni volevano danneggiarmi e portare avanti altri produttori. Il giorno dell’uscita dell’intervista è venuto da me e si è scusato».
I soldi in nero nel mondo dello spettacolo però ci sono. Corona ha confessato di aver preso milioni in nero per le sue comparsate.
«Corona si gestisce da solo. Un buon manager gli avrebbe fatto fatturare tutto. Chi lo fa più oggi il nero?».
Conosce l’articolo 70 della Costituzione?
«No».
È quello che attribuisce alle Camere la funzione legislativa. Al referendum del 4 dicembre che cosa voterà?
«Lo devo dire? Uhm… Sì, voterò sì».
Che cosa guarda in tv?
«Giro dappertutto. In casa abbiamo tredici televisori».
Il film preferito?
«Uno degli ultimi è Chiamatemi Francesco».
Il libro?
«Mondo piccolo. Don Camillo di Giovannino Guareschi».
La canzone?
«Caruso, perché l’ho vista nascere».
Dove e come?
«A Sorrento. Eravamo lì con Lucio per un concerto. Gli si era rotta la barca. Sceso a terra si infilò nell’Hotel Excelsior e chiese ai proprietari di visitare la stanza/museo dove aveva alloggiato il tenore Enrico Caruso. Una volta entrato cominciò a spostare i mobili: voleva mettere il pianoforte di fronte alla finestra. Io cercavo di dissuaderlo. C’erano cimeli custoditi dai Beni Culturali. Poi si piazzò davanti alla tastiera e guardando il mare… Te voglio bene assaaaai…».

Categorie : interviste
Commenti
Marcella 29 Aprile 2017

Belle queste storie di uomini coraggiosi intelligenti

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