Antonio Albanese (Sette – febbraio 2017)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 3 febbraio 2017)
Intervista «Facetime». Antonio Albanese dondola nello schermo, avanti e indietro. Fissa la telecamerina del telefono. Parla svelto con cadenza lombarda. Attore, cabarettista, regista. Ha recitato in film ultra autoriali (Mazzacurati, Taviani, Avati) e ha dato vita a personaggi indimenticabili: Frengo, l’ultrà zemaniano perennemente sconvolto dalla cannabis; Pier Piero, il giardiniere di Arcore interista e gay; Alex Drastico incazzosissimo siciliano in camicia rosa… Quando definisco Cetto La Qualunque, comiziante cinico e arraffone, il più politico dei suoi «mostri», mi stoppa: «Il più politico secondo me è Perego». Industriale brianzolo che produce Eternit e catene. «A metà anni Novanta nello spettacolo Giù al Nord, Perego raccontava una Lombardia spietata. Era un avviso ai naviganti. Non ci ha cagato nessuno».
Ora Albanese sta per uscire nelle sale con una commedia dal titolo ultrapop: Mamma o papà? È la storia di un divorzio e di tre figli che vengono rimbalzati egoisticamente e grottescamente da un coniuge all’altro: «È uno sguardo diverso sul mondo delle famiglie. Divertente». Tra qualche giorno lui sarà a Sanremo, ospite del Festival del Gorgheggio, insieme con l’altra protagonista della pellicola, Paola Cortellesi: «Canteremo. Uno scherzetto sulla musica leggera intonato con un linguaggio un po’ sconnesso. Arriverà certamente una denuncia dell’Accademia della Crusca». Faccio notare: «Lei è da un bel po’ che diserta gli studi televisivi». Replica con battuta folgorante: «Io non ho debiti! E in realtà ho fatto poca tv anche se sembra tanta».
Le piacerebbe fare la copertina, il pezzo di apertura, di un talk show?
«Mi è stato offerto mille volte».
Ma…
«Non è nelle mie intenzioni. È troppo facile parlare di questo fatto o di quel politico piazzando una battuta e la risatina finale. Sarebbe opportuno raccontare in maniera approfondita un argomento».
Argomenti da talk show: i migranti. Nel mondo si costruiscono recinti e si alzano muri. Lei ha raccontato i viaggi che faceva con la sua famiglia per tornare in Sicilia, terra d’origine dei suoi genitori.
«Una volta restammo sul treno per trenta ore. Ho memorizzato tutto: suoni, dialetti, odori. Le frittate, l’aglio, i salami…».
Gli italiani che tanto sono emigrati, ora sono diffidenti coi migranti. Si distingue tra quelli politici e quelli economici.
«La distinzione esiste, ma parliamo sempre di disperazione. Bisogna stare attenti, ma se la sofferenza è autentica, accogliere diventa un gesto nobile di cui abbiamo bisogno».
Alcuni sindaci, anche di centrosinistra, non sono molto d’accordo.
«La mia sinistra, quella che vorrei, sa che non c’è soddisfazione più alta che aiutare chi ne ha bisogno. Tra l’altro sto realizzando un film, che parlerà proprio di migrazioni. Stiamo ultimando il montaggio».
Sveliamo qualcosa.
«Sarà un viaggio a ritroso: da Milano al Senegal. Un tema delicato, raccontato con leggerezza».
Sarà il suo ventesimo film.
«Dal primo sono passati più di vent’anni».
Qual è, oggi, il problema principale del cinema italiano?
«È lo stesso problema che hanno anche i giornalisti: la difficoltà di raccontare il nostro tempo. Succede di tutto, ma in realtà non succede un cazzo. E stiamo vivendo un’assurda guerra mondiale psicologica».
Quale guerra?
«In uno dei momenti più volgari della storia dell’umanità, siamo tutti a due passi da un esaurimento nervoso: micro e macro paure, tensioni, pressioni. Anche sul cibo…».
Che c’entra il cibo?
«Lavoro da circa vent’anni per costruire il personaggio di un cuoco. E analizzando il pensiero dei vari chef, esperti e gourmet mi sono accorto che se ascoltassimo tutti… non potremmo mangiare nulla. Dobbiamo stare più tranquilli».
Torniamo al cinema.
«Non tutti possono fare questo mestiere. Quando io ho cominciato si studiava, si lavorava sodo e poi ci si accorgeva se si era adatti. Oggi c’è una confusione mostruosa: fai due scuregge e ti mettono su Youtube, ti tritano e ti esauriscono in pochi secondi. Eppure io sul Web non vedo questi grandi talenti».
Non le piacciono i gruppi di autori, registi e attori che spopolano in Rete? The Pills, Il Terzo Segreto di Satira…
«Questi che ha citato sono i migliori, fanno un ottimo lavoro, ma sono casi isolati in una galassia fatta di miliardi di video non sempre pregevoli. Qualche anno fa, mentre parlavamo di musica e comicità, Giorgio Gaber mi disse che vedeva nascere una nuova generazione».
Lei, Paolo Rossi, Claudio Bisio…
«Ora io a 52 anni sono ancora considerato un giovane comico. Immagino che sia perché il ricambio non c’è ancora stato».
Lei, con Gaber, con Dario Fo e con Enzo Jannacci, partecipò a 125 milioni di caz…te, trasmissione cult di Adriano Celentano.
«Fu come vincere un premio internazionale».
Cantaste tutti insieme Ho visto un re.
«Tre giorni di prove. Tutti chiusi in una stanza. Meraviglioso. Poi, in diretta, Jannacci cambiò tutto: accordi, tempi… Nel video che circola su Youtube si vede Dario Fo, che aveva il desiderio innato di dirigere il gruppo, con la faccia tesa. In realtà essendo tutti abituati all’improvvisazione andò benissimo. Merito della scuola del grande divertimento, della voglia di raccontare con gioia…».
Lei quando ha cominciato a recitare?
«Ho una storia particolare. Per sette anni ho fatto l’operaio. Porto con fierezza un vero tatuaggio contemporaneo: la cicatrice causata da un truciolo di metallo incandescente finito su un polso. Poi attraverso un amico ho scoperto la meraviglia del teatro e mi sono iscritto alla Scuola di Arte Drammatica Paolo Grassi. Facevamo sacrifici veri».
La leggenda narra di un suo esordio nello spazio Zelig.
«Allora si trovava in un seminterrato. In quel periodo mi sono reso conto che il mio corpo si prestava alla comicità. Ho iniziato a coltivare il cabaret: l’interazione col pubblico, il contatto con la platea. In Accademia avevo studiato Karl Valentin, un comico tedesco che raccontava con ironia la Germania di inizio Novecento, in locali frequentati sia da intellettuali sia da netturbini. Il cabaret è questo: alto e basso, centro e periferia…».
La prima esperienza in tv?
«Inizio anni Novanta, terzo anno di Accademia, stavo morendo di fame. Dopo qualche minuscola comparsata, Paolo Rossi mi chiamò per partecipare con lui a Su la testa!, settimanale comico di Raitre».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Trasferirmi a Milano. Quando ho detto a mio padre che lasciavo il lavoro in fabbrica, mi ha fissato e…: “Va bene, cazzi tuoi”. Un supporto incoraggiante».
A cena col nemico?
«Graziano Delrio: non è un nemico, ma abbiamo idee diverse. Mi trasmette fiducia. Ha nove figli, affascinantissimo. Avrei molte cose da chiedergli sulla famiglia».
Che cosa guarda in tv?
«L’informazione. E poi ho una passione…».
Cioè?
«Mi piace moltissimo Geo&Geo: storie incredibili, approfondimenti sui formaggi valdostani… Trovo eccessiva l’inflazione di trasmissioni di approfondimento politico troppo simili tra loro: si crea una sorta di lavatrice delle news che confonde l’attenzione civile. E poi è davvero strano quando all’interno dello stesso programma si assiste al servizio sul dolcificante per i pasticcini di Agrigento e a quello sul nubifragio di Torino».
Serie tv preferite?
«Ho un primato: non ho mai visto una serie».
Scherza? Il mondo del cinema investe risorse e talenti nelle serie tv…
«Mi hanno detto che la serie Fargo è molto bella, ma io ho amato troppo il film e ho paura di rovinare il ricordo. Come quando ami certe opere, incontri l’artista che le ha realizzate e scopri che è un coglione. Sono delusioni».
Il film preferito?
«Round Midnight di Bertrand Tavernier. L’ho visto in un momento delicato della mia vita, a 22 anni. Mi ha fatto ragionare sul fatto che le passioni vanno cercate e alimentate».
Il libro?
«Lolita di Vladimir Nabokov. È una storia d’amore impetuosa».
La canzone?
«Sulle canzoni sono un po’ rompicoglioni. Recentemente mi sono fermato a riascoltare Patrizia di Eugenio Finardi».
È vero che lei è stato anche dj?
«A Olginate, dove sono nato e cresciuto, per passare il tempo inventammo Onda Radio Olginate: ci dava la possibilità di avere dischi e ascoltare molta musica. Era il periodo degli Smiths».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Faccio la spesa, ma bado soprattutto al totale».
I confini della Siria?
«Egitto… Me la posso cavare dicendo che probabilmente i confini andranno ridefiniti?».
Conosce l’articolo 12 della Costituzione?
«No».
È quello che descrive la bandiera dell’Italia. Che cos’è per lei il Tricolore?
«Un bel segno. Sì, sì. Sono colori che non mi dispiacciono per niente».
Lei non è su Facebook e nemmeno su Twitter.
«Perché sono in buona fede, ahah».
Asocial.
«Non ho tempo, davvero. E non credo che si debba per forza intervenire con un proprio pensiero su qualsiasi argomento. Se muore qualcuno che conosco, e ovviamente mi dispiace, non devo per forza manifestarlo in pubblico. Mi sembra più rispettoso il silenzio».

Categorie : interviste
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