Luca Argentero (Doppio Binario – 7 – Ottobre 2017)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 26 ottobre 2017)

DOPO ESSERE STATI CON LUCA ARGENTERO in metropolitana, per strada e dentro a una stazione ferroviaria, si capisce perché Claudio Amendola una volta disse: «Brad Pitt je spiccia casa». Doppio Binario torinese su mezzi pubblici assortiti: ammiratrici spudorate, urletti entusiasti, esercito del selfie scatenato. Una signora sui cinquanta lo punta da lontano, si avvicina, lo fissa e sussurra: «Bravo, sei bravissimo». Poi, insoddisfatta del proprio complimento, aggiunge: «E sei proprio bello». Clic. Clic. Argentero è spuntato dalle pareti voyeristiche del Grande Fratello ed è planato sul set di registi pluripremiati (Özpetek, Comencini, Placido), passando per un calendario in cui posava a torso nudo con una sella sulle spalle. Negli ultimi dieci anni ha riempito le sale cinematografiche interpretando una trentina di personaggi e ora si appresta a sbarcare in prima serata tv con il fantasy Sirene. Mentre è seduto appollaiato su una sbarra d’acciaio dello scompartimento gli riferisco la domanda che un fan club romano mi ha chiesto di rivolgergli: «Che cosa è rimasto di quel ragazzo di ventiquattro anni che ha fatto innamorare tante fanciulle sorridendo dagli schermi di un reality show?». Risponde: «A parte il dato anagrafico e l’essere diventato un uomo direi tutto. Sono orgoglioso di aver mantenuto la mia torinesità dopo quindici anni di vita a Roma: i modi, la parlata, la puntualità…». Segue breve lamento nordico sugli appuntamenti laschi che ci si scambia nella Capitale. Argentero sbuffa: «I romani ti dicono: “Se vedemo alle dieci-dieci e mezza?” Ma, o sono le dieci o sono le dieci e mezza. In trenta minuti si fanno molte cose». Non sopporta l’eccesso di maleducazione: «Una volta ero in un ristorante, mi si è avvicinato un tipo e mentre masticavo mi ha dato una strizzata con le dita alla guancia». Ha sanissime regole d’ingaggio sui social network: «Mi puoi criticare e dire che non ti piaccio come attore, ma non mi puoi insultare gratuitamente. Se lo fai, ti banno, ti blocco, ti cancello». Ne approfitto per chiedergli se è vero che sia permaloso e che ogni tanto abbia degli attacchi d’ira. Replica: «Beh, insomma, una volta ho menato un paparazzo». Un paio di anni fa la scena è diventata virale: «Ero al cinema con la mia ex moglie. Quando ho sorpreso il fotografo nascosto dietro a una tenda rossa che scattava, gli ho chiesto di smetterla. Lui si giustificava: “Aooo, sto a lavora’ “. Mi ha pure insultato. E allora mi sono infuriato. Da dieci anni vivo con i paparazzi sotto casa, li saluto, mi conoscono. Se me lo avesse chiesto con educazione gli avrei concesso una foto fuori dal cinema. Ma se tu sei maleducato io sbrocco».

Chi ha lavorato con te dice che sul set a volte sei scontroso.

«Non direi. Sul set sono una macchina. Certo, se un collega si presenta senza sapere la parte mi incazzo».

Succede spesso?

«Qualche volta, soprattutto nelle lunghe serialità».

La tua prima serie tv è stata Carabinieri nel 2005.

«Ricordo un provino abbastanza sbrigativo. Mi presero subito. Mi affrettai a chiarire: “Siete al corrente del fatto che non sono un attore e che non so recitare?”. Dissero che non era importante perché in pratica dovevo recitare me stesso: un giovane sportivo. Ero uno dei pochi che sfruttava i coach messi a disposizione dalla produzione per insegnarci a recitare».

Quand’è l’ultima volta che hai fatto un provino e non l’hai passato?

«Con Brutti e cattivi per il ruolo di Papero, un bandito senza gambe. Sono felice che il ruolo lo abbia avuto Claudio Santamaria. Lo stimo molto».

Il provino più duro che hai dovuto affrontare?

«Quello con Francesca Comencini per A casa nostra: due ore di improvvisazione. E io all’epoca non avevo idea di che cosa volesse dire improvvisare».

In quel film reciti una scena molto tossica al fianco di Laura Chiatti.

«Per simulare una sniffata di cocaina, abbiamo inalato un orrendo lassativo. Con effetti atroci. Sul set un anziano macchinista che mi vedeva preoccupato un giorno mi disse: “È il tuo primo film? Beh, fai attenzione, perché il film rimane”. È una frase che mi torna in mente ogni volta che sto per girare un ciak e sono stanco, o magari non è proprio la scena della vita».

Quale tra le scene di cui sei stato protagonista vorresti che rimanesse nella memoria degli spettatori?

«Una scena muta di Solo un padre: io sulla spiaggia che ho appena perso mia moglie e sto con mio figlio in braccio».

Tu hai lavorato anche con una produzione hollywoodiana in Mangia, prega, ama. E hai duettato con la super star Julia Roberts.

«Con gli americani le troupe sono triplicate. Ci sono più tempo e più soldi, ma tutto è abbastanza spersonalizzato: una come Julia parla solo con il regista, i suoi truccatori, l’attore con cui deve recitare la scena e il direttore della fotografia. Gli altri, per non perdere tempo, non li saluta nemmeno. Apprezzo il pragmatismo ma forse è anche troppo».

Scendiamo dalla metro e prendiamo un taxi. Argentero mi spiega che da sei mesi circa è volontariamente fermo: cura di più la sua onlus “1Caffè”, ha chiuso la piccola casa di produzione, Inside, e ha deciso di cominciare a selezionare di più le proposte che gli vengono fatte: «Cito il Jep Gambardella della Grande Bellezza: “Non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”. Il numero di persone che va al cinema oggi è molto ridotto. Spartirsi i clienti con i colossi americani è molto difficile. Forse si dovrebbero fare meno film ed esaltare di più un numero minore di eventi cinematografici». Ogni tanto dal tono di Argentero spunta la sua laurea in Economia e una laicissima capacità manageriale. Dice che la scelta di girare il cinepanettone Natale ai Caraibi è stata prima economica e poi anche artistica. Sorride: «È probabile che Nanni Moretti non chiamerà mai, ma altri sì. Sperimentare la farsa è stato comunque interessante». Quando racconta del suo ingresso nella casa del Grande Fratello sostiene che la motivazione fosse puramente «speculativa».

Sembra una giustificazione elaborata col senno di poi.

«No, no. Studiavo economia. Non volevo finire nell’azienda di mio padre e nemmeno fare il commercialista. Insieme con alcuni amici avevamo molte idee imprenditoriale. All’epoca io lavoravo anche nelle discoteche, guadagnavo 60 euro a sera e staccavo all’alba dopo aver pulito i cessi. Nei locali si parlava molto dei compensi per le ospitate degli inquilini del Grande Fratello. Allora pensai: vado in tv, quando ne esco mi faccio tre mesi di serate, mi compro una macchina nuova e il resto lo investo in progetti innovativi».

Una volta uscito dalla casa del Grande Fratello quanto guadagnavi in una serata come ospite in discoteca?

«Fino a diecimila euro. Mi portavano nei locali e mi strapagavano per stare un’oretta e mezza a fare foto».

In quegli anni nasce il mito e l’illusione del reality show che ti fa svoltare la vita anche se non sai fare nulla: una fabbrica di illusi, spesso masticati e poi digeriti dalla tivvù in tempi brevissimi.

«La differenza la fai tu, col tuo retaggio familiare. Io ho sempre pensato: sfrutto il sistema, non mi faccio sfruttare. Mi è capitato di trovarmi di fronte a persone che mi mettevano davanti 100.000 euro in contanti e dicevano: “È un anticipo per le serate”. Li ho sempre rifiutati. Ho avuto a che fare con organizzatori di serate per colpa dei quali mi sono arrivate lettere dell’Agenzia delle Entrate. La prima volta che ne è arrivata una mio padre mi disse: “Benvenuto nel mondo degli adulti”». Finiamo a parlare di fiction. Gli chiedo se farebbe volentieri parte del cast di una serie cult come Gomorra o Romanzo Criminale. Replica che il campo delle serie poliziesche è un po’ troppo frequentato e che è fierissimo di essere pioniere con il fantasy Sirene: «Saranno sei serate. Recito in napoletano. La serie fa molto ridere». Una ragazza su un motorino si piazza accanto al nostro taxi e fissando Argentero fa flap flap con le palpebre.

Da giorni sui social network e sui media si parla dell’orco molestatore Harvey Weinstein e di Asia Argento.

«Avendo fatto un po’ di approfondimento psicanalitico capisco quanto un trauma possa essere profondo e difficile da elaborare».

Tu sei mai stato molestato?

«Ai tempi del Grande Fratello le ragazze mi seguivano fin sotto casa e mi aspettavano sotto l’albergo. Ma non erano molestie e nemmeno proposte indecenti. Erano proposte».

Mai avuto problemi con produttori o produttrici?

«No, anche perché da quando faccio l’attore sono sempre stato fidanzato o sposato».

Arriviamo a casa di Luca. Accanto all’ingresso ci sono dei pesi, poggiati per terra. Mi offre un caffè. Chiede: «Vuoi un po’ di sciroppo d’agave? In casa non c’è zucchero. Ho abbastanza la fissa dell’alimentazione. Ho un orto in Umbria, dove vado spesso. Faccio pure l’olio». Obietto: «Fumi». Replica con tono colpevole: «E lo so… Però fare attenzione a quel che mangio è importante per stare in forma e per continuare a camminare dieci ore di fila in montagna».

Sei un grande camminatore?

«Con mio padre stiamo per completare un piccolo progetto: fare insieme i quattromila metri più belli delle Alpi. Ci mancano il Bianco e il Cervino. Lui ha sessantasette anni… e mi lascia indietro».

Si stenta a crederlo: sul set sei stato per due volte un pugile ultra allenato.

«Lo sai che durante una scena, mentre interpretavo Tiberio Mitri, il ragazzo con cui boxavo mi ha rotto due costole? E mentre giravo In permesso, invece, mi sono quasi spaccato una mano. Ora faccio un po’ di allenamento funzionale e poi respiro».

Ehm… Respiri?

«Pranayama. Il controllo del respiro. Quindici minuti appena sveglio e via». Ci salutiamo in mezzo alla strada. Argentero deve fuggire ad Alba per un incontro con gli sponsor della sua onlus “1Caffè”. Il marciapiede è lindo. Glielo faccio notare: «Tu ora vivi tra Torino e Roma». Intuisce dove sto andando a parare e mi anticipa: «Torino è una città più semplice da amministrare. La situazione di Roma è abbastanza drammatica, ma io tendo a non puntare subito il dito sui politici».

Su chi lo punti?

«Sui cittadini poco virtuosi. In Italia manca quasi completamente il senso civico. E questo si riflette su chi viene eletto. Ogni tanto ce lo scordiamo: chi sta al governo non è lì per caso, ma perché ce lo abbiamo mandato noi».

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