Paolo Bonolis (Sette – ottobre 2010)

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A un certo punto, quando lo provoco tirando fuori la polemica sui suoi compensi milionari, spara la bonolisata: «Sarebbe bello che chi si occupa del mio stipendio applicasse la stessa zelanza, per verificare come lo Stato investe i soldi delle tasse». Zelanza. Dice proprio così. Mi vede perplesso. Mi guarda e fa: «Amo i neologismi. A Sanremo, introdussi la “varieganza”». Paolo Bonolis, 49 anni, gioca con le parole, parla svelto. Lo incontro nel suo studio del quartiere Flaminio. Le pareti sono tappezzate con le foto dei viaggi di quando portava in giro i turisti a fare trekking. E una stanza è dedicata al flipper e al biliardino.
Bonolis ha vissuto in tv gli ultimi trent’anni. È rimbalzato più volte, come in un doppio slalom catodico, dalla Rai a Mediaset. Ha fatto tutto quello che c’era da fare: ha presentato le star canore sul palco di Sanremo, condotto pomeriggi “per” e serate “con” bimbi. Ha ipnotizzato gli italiani davanti a una fila di pacchi, duettato con pupazzi, bonazze e intellettuali. Ha alternato interviste serissime a gag caciarone, riflessioni pseudofilosofiche a calembour truci. Molti lo accusano di essere trash e troppo nazionalpopolare. Lui dichiara che il suo ideale è condurre trasmissioni come Il senso della vita. Ma in Mediaset lo preferiscono alla guida di Ciao Darwin et similia. Ora è in onda con Chi ha incastrato Peter Pan.
Partiamo da questo paradosso, allora: uno dei conduttori più celebri della tv italiana viene strapagato per fare qualcosa che non lo entusiasma più di tanto. E non trova nessuno che lo paghi per fare quel che gli interessa davvero.
«Sia chiaro: non faccio programmi che non mi piacciono o che non mi appartengono. Quest’anno c’erano ancora le condizioni per fare Peter Pan».
Giura che non farai Ciao Darwin.
«Non è previsto. Ma parliamo di trasmissioni che fanno ascolti veri, non taroccati, in prima serata. In tempi di crisi, non è poco. Dopodiché se il datore di lavoro ti garantisce lo spazio anche per nuove trasmissioni, io ci credo. Ora mi hanno promesso che si rifarà Il senso della vita».
C’è chi ne dubita. Quale novità vorresti vedere in onda?
«A me piacerebbe fare didattica divertente».
Se Mediaset non gradisce, perché non ti rivolgi a La7 o a Sky?
«Pensi che non lo abbia fatto? Con Sky ci ho parlato. Ma anche lì vogliono il Bonolis che fa vendere abbonamenti e decoder».
Costi caro. E quindi da te si pretendono risultati.
«Ma io mica voglio scrivere una trasmissione di nicchia».
Forse se abbassassi le tue pretese economiche, ti farebbero sviluppare i tuoi progetti: potresti sperimentare su un canale minore a minor prezzo.
«Ma perché dovrei vendere un prodotto ottimo a poco prezzo, a una emittente poco vista?».
Perché, stando a quel che racconti, è la tua aspirazione professionale.
«Preferisco combattere la mia battaglia. E intanto lavoro».
Che cosa manca alla tv italiana?
«L’entusiasmo».
Non filosofeggiamo. Intendevo: che tipo di trasmissione manca?
«Prima la tv era abitata da pionieri. I manager e i direttori di rete amavano sperimentare. Ora ci sono dei coloni che sfruttano la terra dove si sono piazzati fino a farla inaridire. È una gara all’immobilismo. Una guerra di trincea per non perdere le rendite di posizione. Lo sai perché non si vedono giovani talenti in tv?».
Perché?
«Per chi comanda in tv, il dipendente ideale è quello che obbedisce e al massimo aspira a un piccolo privilegio, non quello che ha idee nuove. I talenti è meglio tenerli fuori dalla porta. Complicano la vita. È meglio inzeppare i palinsesti con trasmissioni in cui gli ospiti si opinano addosso».
Voce del verbo opinarsi.
«Passano ore, seduti a scambiarsi opinioni su argomenti anche assurdi».
Parli dei talk show pomeridiani o di quelli politici?
«Parlo di ore e ore in cui non succede niente».
Fanno ascolti.
«Forse, ma di sicuro non fanno tv. Non c’è scrittura lì dentro. È radiofonia con qualche immagine».
Chi esce da questo schema?
«Io ci provo».
E poi?
«Milena Gabanelli, con Report. Inchieste, senza dibattito. Anche Annozero è fatta bene: una costruzione teatrale da tragedia greca».
Questo sarebbe un complimento?
«Sì. Annozero è il miglior varietà che c’è in giro».
Sei velenosetto perché Santoro il giovedì ti ruba ascolti?
«Ma no, lui è bravo. Lo dico per ridere. Pensa: ora con i suoi autori è entrato nella riproposizione della cinematografia anni Sessanta. Ricordi Godzilla contro King Kong? Ecco, ora c’è Santoro contro Masi oppure Milano trema, Travaglio s’incazza».
Che idea ti sei fatto dell’affaire Santoro/Masi?
«Se è vero che un conduttore non dovrebbe mandare affanbicchiere il suo direttore, è anche vero che un direttore non dovrebbe mettere un conduttore nelle condizioni di mandarlo affanbicchiere. Masi dovrebbe garantire la massima libertà ai suoi dipendenti, no?».
Hai detto: «L’Italia è moralmente e politicamente agonizzante».
«Aggiungo: i partiti sono aziende che fanno affari e vendono parole».
Ti daranno del qualunquista.
«Quella parola è l’arma usata contro chi denuncia la situazione italiana. Farò pure il clown, ma le storture le so riconoscere, come tutti».
Se la situazione è così drammatica, perché non ti impegni per cambiarla, invece di fare il clown con Luca Laurenti?
«Dopo l’ultima dichiarazione sulla politica, ho ricevuto un attacco dal quotidiano Il Tempo. Della serie: stai al posto tuo. In tv ci provo…».
Con l’esplosione di gag demenziali, tette e culi, di Ciao Darwin?
«Anche. Ciao Darwin ha diverse letture».
Forse troppo nascoste.
«Se ti fermi alla prima lettura, ti perdi il meglio».
Mi fai un esempio?
«Be’, per esempio quando citiamo il filosofo Galimberti: “Italiani, voi che avete smesso di essere un popolo per diventare un pubblico”. E poi senti, anche se facciamo una trucidata, la dichiariamo come tale, non la travestiamo da chissachecosaltro e soprattutto la scriviamo bene».
Si discute dell’eccessiva durata delle trasmissioni in prima serata. Secondo te devono avere una durata massima?
«Dipende dalla biologia del prodotto. Ci sono alcune trasmissioni che sarebbero bellissime se durassero solo venti minuti. E invece vengono tirate fino a mezzanotte per ragioni di budget».
Il nome di una trasmissione che regge tranquillamente tre ore in prima serata?
«Il Grande Fratello: se un telespettatore decide di restare mesmerizzato, sotto ipnosi, davanti al Grande Fratello, non ha bisogno che succeda nulla. E non far succedere nulla per un minuto o per tre ore è la stessa cosa».
Al Gf non succederà nulla, ma gli ascolti sono sempre da record. Tu sei un maniaco dei dati auditel?
«No. Ma gli do la giusta importanza».
Le tue trasmissioni andate peggio?
«Il gatto e la volpe e Italiani. Italiani aveva un problema di scrittura e poi si ritrovò contro un Panariello straordinario. Imbattibile».
Sei in video dall’inizio degli anni Ottanta. Come ci sei arrivato in tv?
«In motorino. Accompagnando un amico a un provino a via Teulada. Mentre stavo per andare via il regista mi chiese “E tu che cosa sai fare?”. Risposta: “Nulla”. Già allora avevo i requisiti giusti. Raccontai una barzelletta e mi presero».
Per quale trasmissione?
«3,2,1… Contatto. Per bambini. Mi offrirono dodici milioni per un anno. Mio padre quando sentì la cifra, dalla gioia fece una scena tipo Totò in Miseria e nobiltà».
C’è un momento in cui hai capito che fare la tv era il tuo mestiere?
«Sì. Dopo 3,2,1 mi cacciarono perché avevo litigato con un dirigente di Raiuno. Mi arrivò una proposta da Quintarete, che poi sarebbe diventata Italia1, e mi trasferii a Milano. Per condurre Bim bum bam. Contemporaneamente studiavo Scienze politiche. Sognavo concorsi diplomatici e grandi viaggi da esploratore. Mi ero sposato prestissimo e a ventidue anni avevo già un figlio. Quando arrivò anche la seconda figlia decisi di rinunciare agli studi. Tra l’altro in tv avevo incontrato un maestro che mi stava insegnando molto».
Di chi parli?
«Di Giancarlo Muratori, l’attore che dava la voce al pupazzo Uan».
Con quel pupazzo ci hai duettato per anni.
«A un certo punto chiesi a Berlusconi di cambiare».
Com’era il Berlusconi dei primordi? Ne parlano tutti come di un imprenditore ipercarismatico.
«Aveva potere. E chi gli stava attorno si faceva magnetizzare. Ma era una persona normale. Fu lui a darmi la possibilità di condurre Doppio Slalom. Il passo successivo fu Urca, nel 1989: il mio primo esperimento di destrutturizzare e sfottere i giochi a quiz, anche andando parecchio sopra le righe. Lì conobbi Luca Laurenti».
Poi hai condotto pure Non è la Rai.
«Sì. Boncompagni non mi ci voleva».
E Giorgio Gori, ex dirigente Mediaset, ora boss di Magnolia/De Agostini, disse che ti dovevi dare al teatro.
«Non credeva molto in me. Passai alla Rai. E lì ci fu una svolta».
Con quale trasmissione?
«Prima con i Cervelloni. Poi con Beato tra le donne. Metà anni Novanta. In quel periodo misi a fuoco le sfumature di linguaggio, i tempi e la postura. Il regista Pierfrancesco Pingitore all’inizio mi voleva imporre un suo copione di centinaia di pagine. Ma dopo la prima puntata pirotecnica in cui avevo improvvisato il più possibile, entrò nel mio camerino e col suo vocione mi disse: “Va benissimo”. Io non sono mai riuscito a recitare testi scritti da altri. Neanche agli esordi. Di tutte le trasmissioni sono sempre anche autore. Anche di Sanremo. Anche a Striscia la notizia, molte cose erano mie e di Luca Laurenti».
Striscia. Con Antonio Ricci non siete rimasti in buoni rapporti. E se non sbaglio hai litigato anche con Maurizio Costanzo e con Pippo Baudo.
«Sono loro che hanno litigato col mondo. E io faccio parte del mondo».
Il tuo ex autore Cesare Lanza proprio su Sette ti ha dedicato parole feroci: ha detto che sei un bambino immaturo…
«Ricordo bene cosa ha detto. È un problema suo. E permettimi di fermarmi qui».
Che cosa guardi in tv?
«Sport, sport, sport. Sono irreperibile durante le Olimpiadi».
Che Tg segui?
«All’ora dei Tg guardo Blob. Poi passo su Raidue. Quando capita guardo quello di Chicco Mentana. Lui è il migliore nell’informazione».
Il suo successore a Matrix, Alessio Vinci…
«… fa’ il suo meste’…».
Come hai vissuto la cacciata di Mentana da Mediaset?
«Lo aspettavano al varco. Evidentemente era una persona poco comoda».
Mentana era testimone del pluralismo dentro Mediaset.
«Un alibi? Be’, ora siamo arrivati al punto in cui non servono più nemmeno gli alibi. Ormai si fa tutto alla luce del sole».
A cena col nemico?
«Con il cardinal Bagnasco».
Perché?
«Per parlare di misteri della fede e della capacità di cavalcarli».
Qual è la scelta che ti ha cambiato la vita?
«La nascita di Silvia, la mia terza figlia. Con lei ho messo da parte un’altra grossa parte di egoismo».
Il film preferito?
«I primi che mi vengono sono Oltre il giardino con quel finale pazzesco: “La vita è uno stato mentale”, e Apocalypse now».
La canzone?
«Stand by me nella versione di Ben E. King del 1961, il mio anno di nascita».
Il libro?
«Ho vissuto una vita parallela immerso nella fantascienza. Ma scelgo Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez».
Sai qual è l’articolo 21 della Costituzione?
«Attualmente non lo so».
È quello sulla libertà di stampa. Quanto costa un litro di latte?
«Novanta centesimi?».
Un euro e trenta.
«Non faccio la spesa».
Chi è Spugna?
«L’assistente ubriacone di Capitan Uncino. Sui film e le storie di fantasia sono insuperabile».
Che cosa è Twitter?
«Una roba di Internet?».
Un sistema di microblogging.
«Un sistema… di che? Non fa per me. Io non ho nemmeno l’email».
www.vittoriozincone.it
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Categorie : interviste
Commenti
alessio 29 Ottobre 2010

questa intervista dovrebbe essere riprodotta sui manuali in uso presso le scuole di giornalismo … credo che la qualità di un’intervista dipenda più dalle risposte che dalle domande … beh, ci sono molte risposte che secondo me svelano perfettamente il personaggio ! complimenti

vz 1 Novembre 2010

grazie!

vz 23 Marzo 2011

Gentile Emanuela,
non sono autorizzato a dare indirizzi di alcun genere. mi dispiace. Provi a scrivere a Mediaset.

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