Angelino Alfano (Magazine – luglio 2008)

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Quando mi si presenta davanti sbarbato e sorridente, tutto sembra meno che il ministro della discordia. L’uomo che ha dato il nome al contestatissimo “Lodo salva cariche dello Stato”. Angelino Alfano, 37 anni, il più giovane Guardasigilli della storia repubblicana, entra nella sua stanza con passo svelto, offre caffè e bicchier d’acqua, mostra gli affreschi “fascioliberty” che decorano i muri. Risponde a un paio di telefonate, in posa per il fotografo. Poi si gira verso di me e fa: «Ma il Sigillo lei lo ha mai visto?». Un minuto dopo sta infilando un foglio sotto uno strano torchio, il Sigillo appunto, e mi spiega che le leggi dello Stato passano tutte da lì. Mi mostra i ritratti dei suoi predecessori. Quello di Togliatti è sfregiato. Gli chiedo se per caso la leggendaria scrivania del leader comunista abbia fatto la stessa fine. Mi risponde che non si sa nemmeno se ci sia mai stata, lì, quella scrivania. Sfotte Diliberto che, da ministro, si vantava di averla usata: «Per lui era la scrivania originale. Ma la sua era una certezza ideologica». All’improvviso si fa serio e con cadenza agrigentina, dice: «Quello della Giustizia è l’unico ministero che è a presidio di un valore». Mi domando se nel formulare questa massima si renda conto di quanto cozzi con il clima creato dal Lodo che porta il suo nome, la legge che ha messo al sicuro Berlusconi dai processi in cui è coinvolto. La legge che lui stesso non chiama Lodo Alfano. «Ma non certo per vergogna», spiega, «piuttosto per modestia».
Alfano, lei conosce l’articolo 3 della Costituzione?
«Dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge».
Le sembra che dopo l’approvazione del Lodo, sia ancora così?
«Per 45 anni, l’immunità ha riguardato mille persone, tutti i senatori e tutti i deputati, e nessuno ha mai avuto nulla da ridire, anche perché era prevista dall’articolo 68 della Costituzione».
Nel 1993 l’immunità parlamentare è stata abolita.
«Sì. Ma pensare che i costituenti abbiano azzeccato tutti gli articoli tranne il 68, mi pare un approccio un po’ ipocrita».
C’è chi dice che gli stessi costituenti non pensavano certo all’immunità per reati come la corruzione in atti giudiziari, di cui è accusato il premier.
«Le potrei rispondere che i costituenti quando hanno pensato al Csm, non lo hanno certo immaginato diviso in correnti».
Elude il problema?
«Guardi, il cosiddetto Lodo è una legge giusta e mette al riparo la futura riforma della giustizia dai soliti dibattiti sulle norme prodotte per favorire Berlusconi ».
Questa sembra una capriola dialettica: mettiamo al riparo le cariche dello Stato, così nessuno potrà dire che si fa una riforma della giustizia per mettere al riparo le cariche dello Stato. Nel vostro programma il Lodo Alfano non c’era.
«C’era scritto che avremmo dato attuazione a una serie di disposizioni della Corte Costituzionale».
Una formula un po’ criptica. Il giornalista Marco Travaglio chiama il suo Lodo “metastasi”. Il senatore girotondin-dipietrista Pancho Pardi lo definisce “un duro colpo all’uguaglianza”.
«Devo commentare quelli dell’insulto permanente?».
Considera anche Anna Finocchiaro una dell’insulto permanente?
«No, ma abbiamo idee diverse».
Finocchiaro ha definito il Lodo una legge che crea un presidenzialismo di fatto e che in pratica crea un sovrano senza limiti.
«Intanto non ritengo che l’accusa di presidenzialismo sia offensiva. E poi alla Finocchiaro farei notare che il leader del Pd Veltroni è accusato da molti suoi colleghi di partito di essere uno che non fa esercizio di democrazia».
Un centinaio di costituzionalisti hanno firmato un documento per denunciare l’incostituzionalità del Lodo.
«L’ex presidente della Consulta, Capotosti, dice che il Lodo non è incostituzionale. E con lui alcune decine di altri costituzionalisti».
Lei, ovviamente, è inamovibile. I maligni dicono: «Alfano obbedisce al Sultano».
«Non mi scompongo».
L’hanno soprannominata Angelino Jolie.
«Non sono facilmente impressionabile».
Hanno scritto che il vero ministro è l’avvocato/onorevole Ghedini.
«Ma figuriamoci».
In che rapporti è con Ghedini?
«Ottimi. Da molti anni. Guardi che mi criticavano pure prima della legge che protegge le cariche dello Stato: appena nominato mi dissero che ero troppo giovane e troppo vicino a Berlusconi».
E lei replicò che John Fitzgerald Kennedy aveva nominato ministro della Giustizia il suo giovane fratello Bob. Viene da dire che Bob non firmò una legge “salva Jfk”.
«Ma la critica su vicinanza e giovinezza è arrivata prima del Lodo. Quindi era un pregiudizio».
Uhm. Quando le è stato comunicato che avrebbe fatto il Guardasigilli?
«Me lo disse Berlusconi. Lo incontrai a Palazzo Grazioli pochi giorni prima di salire al Colle».
Si immaginava di finire subito sulla graticola dell’opposizione?
«A quattro giorni dalla formazione del governo avevo già capito l’antifona. Il nome del Guardasigilli era il solo su cui ancora si discuteva. Era chiaro che sulla giustizia ci sarebbe stata molta attenzione. Il primo giorno qui in via Arenula mi sono venuti i brividi».
Quando ha capito che cosa avrebbe dovuto affrontare?
«No. Quando sono passato accanto alla targa che ricorda Giovanni Falcone. La morte di Falcone, nel 1992, mi ha segnato. Io allora ero a Milano, ospite di un collegio. I miei compagni universitari mi chiedevano: “Ma come possono accadere certe cose in Sicilia?”. Una rabbia…».
Lei ha fama di essere un siciliano non “mascariato”, non sporcato da fatti di giustizia.
«Ho dedicato la mia nomina a ministro al giudice Rosario Livatino, morto all’età in cui io sono entrato qui dentro».
Dentro Forza Italia di siciliani “mascariati” ce ne sono… Dell’Utri…
«Io andavo alle elementari, dalle suore Ancelle Riparatrici, quando la mafia ha ucciso Mattarella. Ero alle medie quando hanno sparato a Dalla Chiesa e al ginnasio quando hanno ammazzato Chinnici. La mia generazione ha una sorta di vaccino culturale antimafia».
Questo non c’entra col fatto che alcuni rappresentanti siciliani di Forza Italia…
«Rispondo con i fatti».
Quali?
«Nei giorni scorsi ho partecipato alla commemorazione di Paolo Borsellino e di altri morti di mafia. In ogni occasione ho annunciato l’approvazione di nuove leggi contro la criminalità».
Parla dell’inasprimento del 41 bis?
«Non solo. Ci sono anche nuove regole per la confisca dei beni ai mafiosi. Tra l’altro, su questi temi, con l’opposizione ho instaurato un ottimo rapporto».
Quando ha cominciato a fare politica?
«Al liceo. Credo di avere ancora il record di voti presi all’elezione del consiglio di Istituto».
Controlla ancora i record conquistati da studentello?
«Per un bel po’ di anni mi hanno chiamato per dirmi che resisteva. A quei tempi guardavo con simpatia il percorso del sindaco di Palermo».
Nome e cognome: Leoluca Orlando. Oggi antiberlusconiano di ferro.
«Il “primo” Orlando aveva una carica incredibile. E molta volontà di cambiamento».
Lei è figlio di un ex vicesindaco democristiano di Agrigento.
«Sì. E ho frequentato il movimento giovanile dello Scudo crociato».
Chi c’era allora in quel movimento?
«Dario Franceschini, Renzo Lusetti, Enrico Letta, Mario Adinolfi».
Ora sono tutti nel Pd.
«Sono rimasto in ottimi rapporti con loro. Adinolfi su Europa ha scritto che sarei stato un ottimo ministro e soprattutto che la mia nomina dimostrava la capacità di Berlusconi di rinnovare, cosa che la sinistra non aveva saputo fare».
La sua prima elezione?
«Nel ’94, alle provinciali di Agrigento, ero già in Forza Italia».
Anche lei come Prestigiacomo si è convertito nei saloni di Arcore?

«No. Scelsi Berlusconi senza conoscerlo personalmente. Non credevo nella diaspora dei diccìe nei micropartiti. Vidi in Forza Italia l’alternativa moderata alla sinistra».
Nel ’96 diventò deputato regionale.
«Il Giornale di Sicilia, che da noi fa testo, titolò: “Mamma vado a fare l’onorevole”. Vivevo ancora dai miei».
Bamboccione?
«Be’, insomma, avevo 25 anni, ero giovane».
La leggenda vuole che nel paesino di Sant’Angelo Muxaro la accolsero con una pioggia di petali di rose.
«Non è una leggenda. È la verità. A Palazzo dei Normanni, sede del governo regionale, in compenso, gli uscieri non mi riconobbero e mi fecero fare un giro assurdo per entrare».
Berlusconi quando lo conobbe?
«Tra il ’96 e il ’99 mi capitò di stringergli la mano un paio di volte. Ma nel 2000 andai ad Arcore insieme con Gianfranco Micciché per spiegargli che in Sicilia volevamo fare il controribaltone».
Che cosa sarebbe?
«Volevamo portare Cuffaro, che prima era assessore con il centrodestra e poi era passato con il centrosinistra, definitivamente dalla nostra parte e conquistare la presidenza della Regione».
La trasferta ad Arcore, nel 2000, rafforzò il suo innamoramento per Berlusconi?
«Il Presidente dimostrò di saper sintetizzare al volo le cose che gli dicevamo».
Vi suonò pure qualcosa?
«No. L’incontro avvenne tra la sala da pranzo e il giardino. L’anno dopo venni eletto deputato e Berlusconi mi chiamò a palazzo Grazioli. Avevo uno studiolo accanto al suo».
Viste le intercettazioni di cui si è parlato negli ultimi giorni, chissà quante ne ha sentite da quell’osservatorio privilegiatissimo.
«No, no. Avevamo ritmi di lavoro da maratoneti. Berlusconi ha una costanza assurda. Ogni tanto interrompeva il lavoro, o le riunioni, e ci raccontava qualche storiella. Relax».
Malignità: l’unico “no” che lei ha detto a Berlusconi è quando il premier le ha suggerito il trapianto di capelli.
«Non mi è mai capitato di ricevere indicazioni sconvenienti da Berlusconi. Non è un uomo che dà ordini».
Forza Italia, il Pdl… sono monarchie.
«Forza Italia ha un’origine carismatica. Ma moltissimi dirigenti si sono formati nelle amministrazioni locali, conquistando voti sul territorio».
Di chi parla?
«A parte il sottoscritto: Isabella Bertolini, Maria Stella Gelmini, Maurizio Lupi, Raffaele Fitto, Mauro Pili e Guido Crosetto».
Questa generazione tenterà mai di scalare il vertice del partito?
«Non riesco a immaginare un dopo Forza Italia senza Berlusconi».
Dopo di lui il diluvio?
«Dopo di lui un partito non più fondato sul carisma del leader».
Fare il ministro le ha cambiato la vita quotidiana?
«Vivo sotto scorta. Ho dovuto cambiare casa».
Perché?
«Quella che avevo a Roma in centro, non era adatta. Per “difenderla” bisognava bloccare le strade di mezzo quartiere».
Lei ha mai fatto l’avvocato?
«Ho preso l’abilitazione, ma la trincea forense non l’ho mai affrontata. Sono stato eletto deputato alla Regione Sicilia tre giorni prima dell’esame da avvocato. La politica ha preso il sopravvento. Ho avuto giusto il tempo di discutere il dottorato».
L’errore più grande che ha fatto?
«Ne ho fatti una miriade».
In questi giorni ha mai pensato che il Lodo fosse uno di questi?
«Insiste? Quella è una legge giusta».
A cena col nemico?
«Con Enrico Letta. Tra l’altro mi capita di andarci».
Con Travaglio o con Santoro?
«Preferisco un panino secco a casa da solo».
Chi mangia da solo si strozza! Con Prestigiacomo o con Carfagna?
«Con Prestigiacomo. Stefania è una mia amica, anche se per motivi politici litighiamo spesso».
La canzone della sua vita?
«Argentina, di Guccini».
Del compagno Guccini.
«Sono stato almeno sei volte a vederlo dal vivo. E so le sue canzoni a memoria».
Il film?
«Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore».
Negli Usa: Obama o McCain?
«McCain».
Non preferisce il “giovane” Obama?
«Mica si può tifare sempre per i coetanei».
Cultura generale. Quanto costa un litro di benzina?
«Purtroppo più di un euro e mezzo».
Che cosa è un podcast?
«Un accessorio dell’iPod?».
È un file scaricato dalla Rete. Continui il detto latino: Simul stabunt…
«…simul cadent».
Oltraggio: ne sa più di Berlusconi, lui ha sbagliato, a Montecitorio, parlando dai banchi del governo.
«Ho appena avuto un confronto in Aula a colpi di brocardi, le massime giuridiche latine».
Chi ha avuto la meglio?
«Credo io. Una senatrice ne aveva usato uno per sottolineare che la Corte costituzionale non si era pronunciata su un determinato passaggio. Le ho risposto: Ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit».
Saccentello. Traduca.
«Mi riferivo alla Consulta: dove ha voluto ha detto, dove non ha voluto ha taciuto».

Categorie : interviste
Commenti
giovanni 12 Maggio 2011

Mi sembra che Alfano sia un “grande”… quasi come BERLUSCONI. Congratulazioni.

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