Emma Bonino (Magazine – gennaio 2008)

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La ministra mi accoglie con un portacenere in mano. «Aspetti che finisco di pulire la stanza ». Siamo nella sede storica dei radicali a Roma. Emma Bonino, responsabile per il Commercio internazionale e per le Politiche europee del governo Prodi, dopo aver spolverato la scrivania di plastica, sbuffa: «Vuole cominciare proprio con l’aborto?». «Be’, sì», rispondo. La moratoria proposta da Giuliano Ferrara, direttore del Foglio, ha risbattuto l’aborto in prima pagina. Persino Papa Ratzinger (più o meno esplicitamente) ha rilanciato l’argomento.
Bonino, lei è dal ’74 che se ne occupa…
«Appunto, vorrei andare avanti, parlare d’altro».
Per esempio?
«Testamento biologico, fecondazione assistita… Mi pare che nessuno voglia realmente mettere in discussione la legge 194. E il resto mi sembrano chiacchiere».
Ferrara propone: stop all’aborto di massa e alla deriva eugenetica di pianificazione familiare.
«Ma quale deriva eugenetica!».
Parliamo della scienza usata per selezionare e crescere solo i figli più sani.
«A me pare che sia un atto di amore da parte dei genitori tentare, nei limiti delle possibilità offerte dalla scienza, di non far nascere un figlio con una grave malattia ereditaria».
C’è chi la chiama eugenetica, appunto… E la scelta di non far nascere un bambino con la sindrome di Down? Ci sono limiti?
«La coscienza dei genitori. Alla fine decide la madre, a seconda della propria sensibilità».
Per questo Ferrara parla di tutelare anche i diritti della vita prenatale: una vita che comincia dal momento del concepimento…
«Questo è quel che pensano i cattolici. Ma lo Stato mica può sposare una morale esclusiva. Lo Stato deve fornire un quadro in cui convivano credenti e non credenti».
Oggi non c’è una leggerezza eccessiva nel prendere la decisione di abortire?
«Ma dove? Ma chi? Per le donne è sempre e comunque una scelta dolorosa».
Walter Veltroni ha aperto le porte del suo Loft democratico al dibattito, partendo da un presupposto: «L’aborto è un dramma da contrastare, non è un diritto assoluto».
«Chi ha mai pensato che fosse un diritto assoluto? Non mi attribuiscano cose che non ho mai detto. Il diritto da difendere è quello di avere una maternità che sia una scelta consapevole».
Sempre Ferrara: «È giusto mettere l’aborto fuori dalla coscienza accettata di ciò che sono i diritti umani».
«E allora proponga più informazione nelle scuole, distribuzione della pillola del giorno dopo senza bisogno della ricetta e una solida campagna sulla contraccezione. Nel ’74 i radicali sfilarono in piazza San Pietro con lo striscione “No all’aborto, sì alla pillola”».
Proprio in quel ’74 lei ebbe un aborto.
«Non usavo contraccettivi perché mi avevano detto che ero sterile, invece… Dato che io e il mio compagno non volevamo il bambino, cominciammo a cercare un dottore che fosse disposto a operare. Era illegale. Furono umilianti quelle visite notturne, la segretezza…».
Da lì iniziò la sua esperienza politica.
«Allora insegnavo lingue: qualche supplenza. Andai a trovare a Milano la radicale Adele Faccio che si occupava proprio di aborti».
Marco Pannella quando lo ha conosciuto?
«Nel gennaio del 1975. Dopo l’irruzione della polizia nella clinica di Giorgio Conciani…».
…soprannominata “la clinica della morte”…
«…era una delle cliniche dove portavamo le ragazze che non si potevano permettere gli istituti privati gestiti da suore e primari. Io e Adele venimmo contattate da Pannella. Arrivammo di notte nella sua mansarda sgarrupata, a Roma. Ci preparò una cofana di pasta. Il giorno dopo fu arrestato Spadaccia, segretario del Partito radicale e noi partimmo per Parigi: era scattato il nostro mandato di cattura per procurato aborto».
Bonino latitante.
«Ci fu una riunione clandestina a Roma durante la quale i compagni mi spiegarono come sarebbe stato il carcere».
L’arresto plateale a Bra, la sua città.
«Nel seggio elettorale per le amministrative del giugno 1975. Il presidente del seggio che era un mio vecchio maestro di scuola disse: “Emma, non ti preoccupare, glielo dico io che sei una brava ragazza”».
Non aveva capito che lei era lì apposta per farsi prendere.
«Già. La carta da bollo per verbalizzare l’arresto la comprò mio fratello».
Nel ’76, a 28 anni, venne eletta a Montecitorio coi radicali.
«E proprio sulla legge 194 feci uno dei miei primi ostruzionismi parlamentari».
Eravate contrari all’approvazione della 194?
«È una legge troppo statalista, e in parte ipocrita. Durante gli interventi non era concesso mangiare, ma Sandro Pertini, allora presidente della Camera, si impietosì e mi portò un pezzo di cioccolata».
I vecchi radicali: arresti, ostruzionismo parlamentare, scioperi della fame, barricate mediatiche… Da quando siete al governo siete spariti. Autoimbavagliati.
«Non mi pare. Certo, nell’ultimo anno abbiamo puntato molto sulla moratoria per la pena di morte, ma…».
Dove eravate quando i Dico, le unioni civili, si sono perse nelle sagrestie dell’Unione?
«La mia voce si sentirebbe se fossi trattata come gli altri ministri. Però in Italia ti ascoltano solo se minacci la crisi di governo».
E i radicali non possono minacciare nulla. Oggi contano i senatori. E voi non ne avete…
«Ne dovremmo avere 4 e stiamo aspettando che la Giunta per le elezioni si pronunci. Il ricatto non è nelle nostre corde, ma se avessimo quei senatori agli altri verrebbe il riflesso condizionato di chiederci che cosa pensiamo».
Lei ha detto: «Vedo troppi politici andare Oltretevere a baciare la pantofola al Papa».
«Non è una novità. Invece, in Belgio la riforma sull’eutanasia è portata avanti da una parlamentare diccì. L’ho incontrata. Mi ha detto che lì un vescovo non si permetterebbe mai di fare pressioni su un politico».
In visita dal Papa ci siete andati anche lei e Pannella. Ci sono le foto.
«Uno scatto del 1986, durante un incontro per la campagna contro lo sterminio per fame nel mondo. Presentai Pannella a Giovanni Paolo II. Wojtyla disse a Marco: “Ma guardi che io la conosco, la sento su Radio Radicale”».
Sembra uno spot. Torniamo al mutismo radicale. In materia economica…
«Noi sapevamo bene di entrare in una coalizione di governo in cui è forte l’area conservatrice e statalista. Da subito abbiamo detto: “Saremo leali, ma non subalterni”».
Ora, un po’ subalterni lo sembrate. Sulle pensioni lei aveva detto che non avrebbe accettato passi indietro.
«Io ero per mantenere lo scalone di Maroni. Ma questo non è il governo Bonino, né il governo di Milton Friedman…».
Quindi accetta tutto in silenzio?
«Cerco di rafforzare la componente liberale, con gli strumenti che ho: quasi nessuno».
Molti si aspettavano una Bonino più battagliera anche sui diritti negati in Cina.
«Quando siamo andati a Pechino con Prodi, ho fatto un discorso durissimo di fronte a 2.000 funzionari cinesi. In Italia non se ne è accorto nessuno: quella missione la si ricorda solo per il caso Telecom-Rovati».
Magari se avesse fatto qualcosa di più plateale… L’ex radicale Benedetto Della Vedova vi invitò a incontrare i dissidenti.
«L’ho fatto in Russia. Se avessi voluto far felice la stampa italiana mi sarei potuta legare a un palo con un cartello al collo, a Tien an men. Ma sarebbe servito ai cinesi? Penso sia stato più utile parlarne con il loro ministro del Commercio: ciascuno deve portare avanti le battaglie al proprio livello di responsabilità».
Lo vede, ormai si è accomodata sulla poltrona del ministero.
«Ho un’identità solida. Ora sto facendo la ministra. In Italia suona come una cosa assurda, ma ritengo di dover fare il mio lavoro. Mi piacerebbe essere misurata su questo. Sono stata una buona commissaria europea senza dovermi spogliare in pubblico».
È vero che la sua nomina in Commissione fu imposta da Pannella a Berlusconi?
«Sì. Nel ’94. Ferrara, che allora era ministro dei Rapporti con il Parlamento, sponsorizzava la candidatura bipartisan di Giorgio Napolitano. Marco occupò lo studio del premier e ne uscì solo quando ebbe la garanzia della mia nomina. Tra l’altro io non ne sapevo nulla».
In che senso?
«Fu una di quelle volte in cui Pannella mi ha imposto una sua decisione».
Litigate spesso?
«Capita. Le discussioni di solito si svolgono nella sala grande della sede del partito. Sono tutte registrate. È un’abitudine radicale».
Su Internet si è visto lo scontro Pannella & Bonino vs Capezzone. Sono volate bestemmie.
«Ci sono scontri e scontri. Quando io e Marco litighiamo, al massimo poi non ci parliamo per qualche giorno».
Come una coppia di fidanzatini.
«Ma figuriamoci. Se c’è una cosa che ci ha salvati è proprio non aver mai avuto complicazioni sentimentali».
Dopo l’esperienza in Commissione europea, partì la campagna per Bonino Presidente (della Repubblica). Un trionfo. I sondaggi la davano al 34% nelle preferenze degli italiani. Alle Europee di quell’anno i radicali con la Lista Bonino presero l’8,6%.
«Poi si spensero i riflettori. Alle politiche del 2001 scendemmo al 2,2%».
E lei crollò anche fisicamente.
«Per avere un po’ di attenzione sulla nostra campagna per le staminali con Luca Coscioni, avevo fatto uno sciopero della fame e della sete estenuante. Alla fine mi ballavano i denti».
Decise di trasferirsi in Egitto.
«Per studiare l’arabo».
A cena col nemico?
«Con l’avversario: uhm… Se mi lasciasse parlare… Giulio Tremonti».
Lei ha un clan di amici?
«Di amiche: Irene Bignardi, Patrizia Piccioli, Mimmola Girosi, Carmela Galeone. Siamo molto legate. Facciamo famiglia».
Il libro della vita.
«Abolire la miseria di Ernesto Rossi».
La canzone?
«Un’idea di Giorgio Gaber: “Se potessi mangiare un’idea/ avrei fatto la mia rivoluzione…”».
Primarie Usa: Obama o Clinton?
«Hillary! È preparatissima. Non si può dire che sia simpatica. Ma a me è piaciuto pure come ha gestito il rapporto con quel marito bislacco».
Cultura generale. I confini del Kenya?
«Etiopia, Sudan, Tanzania, Uganda…».
Quanto costa un litro di benzina?
«Non lo so».
E uno di latte?

«Non faccio la spesa. In compenso so quanto costano i voli aerei. Con quel che si paga con l’Alitalia per il Roma-Milano, con altri ci si arriva in Benin».
Sessanta anni della Costituzione. L’ultimo articolo?
«È quello sul divieto di revisione della forma repubblicana ».
La Costituzione va riformata?
«Intanto andrebbe applicata».
Un articolo che andrebbe cambiato?
«Il 7. Abolirei i Patti lateranensi».

Categorie : interviste
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