Piero Angela (Sette – maggio 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 15 maggio 2015).
E’ l’uomo divulgazione. Lo spiegatore in tivvù. Il maestro della semplificazione. Ha scritto decine di saggi ed è andato in onda con la Rai per centinaia di ore. Piero Angela, 86 anni, ha nove lauree honoris causa, ma riesce a essere pura cultura e scienza pop. Ha approfondito qualsiasi argomento: cellule, pianeti, rovine romane, elefanti marini… La sua voce avvolge le cuffiette dei turisti che assistono alle ricostruzioni storiche high-tech dei Fori Imperiali. Il suo sapere rassicurante ha preso forme paperesche in un fumetto di Topolino. Due astronomi gli hanno dedicato l’asteroide 7197.
Lo incontro nella sua casa romana. Le pareti sono tappezzate di cucchiai asiatici, maschere piumate, monili di legno. Un’immagine votiva ricorda Picasso: «Come lei saprà, l’arte moderna deve molto all’Africa». Racconta: «Per evitare mete troppo turistiche, per molti anni ho viaggiato con tenda e sacco a pelo. Insieme con mia moglie e con i miei figli». Gli chiedo se l’imitazione che fa Neri Marcoré di suo figlio Alberto, lo infastidisce. La replica: «Al contrario. Ho detto ad Alberto che è stato fortunato. Un giorno, in uno studio Rai, stavo parlando con Alighiero Noschese. Lo chiamarono al telefono. Era un politico. In seguito gli ho domandato se era qualcuno che protestava per una parodia. E lui: «No, era un ministro che si lamentava perché non lo imito da troppo tempo. Capito?».
Angela sta per pubblicare un libro, Tredici miliardi di anni (Mondadori) che è un dialogo immaginario sulla storia dell’Universo e della vita terrestre, ma durante l’intervista tiene appoggiata sulle gambe un suo volumetto del 2011. Titolo: A cosa serve la politica? Dice: «So che lei vuole parlare anche di attualità e quindi mi sono attrezzato». Saprebbe darmi una risposta lampo sull’utilità della politica? «La politica dovrebbe mettere la società nelle condizioni di produrre ricchezza, per poi distribuirla. Una volta, per spiegarne i meccanismi, ho realizzato una puntata di Quark: portai una mucca nello studio televisivo, misi alcune scodelle per terra e cominciai a riempirle di latte. Una scodella rappresentava la sanità, un’altra rappresentava il sistema pensionistico… Il latte versato era il debito pubblico». Partiamo da qui.
La politica oggi in Italia…
«Osservando i dibattiti in tv si resta spesso un po’ amareggiati».
Perché?
«Litigi, pasticci. È naturale che gli italiani non abbiano molta fiducia. Ci si concentra sulla cresta dell’onda, sulla superficie. E non sulle correnti profonde che percorrono i mari. Non si trattano quasi mai le questioni che muovono davvero il mondo».
Quali sarebbero?
«Ricorda il programma elettorale di Tony Blair? Education, education, education. Ho provato a seguire il dibattito italiano sulla riforma della scuola. Precari, finanziamenti, edilizia… Ma di quello che dovrebbero imparare i ragazzi si parlerà mai? È giusto non trascurare alcun vagone, ma lo capiamo o no che dobbiamo concentrarci anche sulla formazione di una locomotiva adeguata, cioè di una classe dirigente capace di trainare il Paese? Servono luoghi di eccellenza».
Altre correnti su cui ci si dovrebbe concentrare?
«Le rivoluzioni demografiche».
Renzi & Co si dovrebbero occupare di demografia?
«Sì. La popolazione italiana invecchia. E avrà sempre più bisogno di cure e di assistenza. I giovani continueranno a studiare. La fascia d’età intermedia, sempre più assottigliata, dovrà finanziare da sola sanità e scuola per tutti. Queste tendenze non si cambiano in cinque minuti. C’è bisogno di una visione».
Di demografia lei parla anche nell’ultimo capitolo del suo ultimo libro.
«Ci arrivo partendo da lontano. Nel libro c’è anche la nascita della morte».
Quando nasce la morte?
«Quando una colonia di cellule non si riproduce più replicando se stessa, ma attraverso cellule sessuali specializzate. In pratica la sessualità e la morte sono nate insieme».
Eros e Thanatos.
«Con i primi organismi pluricellulari, in cui ogni batterio si specializza e permette all’altro di sopravvivere, invece, nasce l’altruismo. Dal contenuto del libro verranno fuori anche due nuove puntate di Super Quark, con immagini stupende».
Come nasce una puntata di Quark o di Super Quark?
«Nasce da un’idea che mi incuriosisce. Immagino un punto di approdo e lavoro per costruire il racconto con cui arrivarci. La narrazione viene arricchita dallo studio, dal lavoro dei miei collaboratori e dagli incontri con scienziati e tecnici».
Gli incontri…
«Quello più importante dal punto di vista scientifico è stato con Edoardo Amaldi».
Uno dei ragazzi di via Panisperna.
«Era nel gruppo di lavoro di Enrico Fermi. L’ho frequentato per molto tempo. Aveva un’incredibile statura morale. Mi ha raccontato che anche Fermi era un bravissimo divulgatore e che parlando coi suoi ricercatori provava a semplificare sempre le sue teorie. Io prima di licenziare un testo lo scrivo e lo riscrivo, lo cambio, lo limo, lo macino, lo macino e lo macino. Ha presente come funziona un frantoio? Devo avere la certezza che tutto sia comprensibile».
Comprensibile a chi?
«I dati Auditel dicono che ho un pubblico di persone curiose. Il linguaggio deve essere sempre accessibile. Quando disegno i miei schemini e butto giù l’impianto di una puntata penso di avere davanti un ventaglio di persone che va dalla casalinga al magistrato. Se non ti capiscono non ti guardano. E se non ti guardano non vieni mandato e in onda».
Auditel. Lei ha mai pensato di passare a Mediaset?
«Ho incontrato qualche volta per caso Silvio Berlusconi e lui mi ha sempre detto scherzosamente che mi avrebbe accolto a braccia aperte. Ma io ho sempre pensato che la mia casa è la Rai, il servizio pubblico».
Quando è entrato in Rai?
«Negli anni 50. Cominciai col Giornale Radio».
Poi divenne corrispondente del tg da Parigi e da Bruxelles.
«Rientrato a Roma ho realizzato il primo telegiornale condotto da un giornalista, sono stato il primo a condurre il Tg2 e il primo mezzobusto a colori».
Quando ha deciso di dedicarsi alla divulgazione scientifica?
«Mentre alternavo le conduzioni del Tg1 con Andrea Barbato, nel 1968. Nelle settimane di “non conduzione” partivamo per i reportage. Io andai negli Stati Uniti per seguire le missioni Apollo».
Lo sbarco sulla Luna del 1969.
«In quel periodo ho capito che invece di leggere dieci notizie ogni ora, avrei preferito studiarne una all’anno. Così dallo studio delle missioni Apollo è nato il mio primo documentario: Il futuro nello spazio. Nel 1971, poi, andò in onda la prima serie da dieci puntate sul sistema nervoso degli esseri umani».
Quarantacinque anni di divulgazione scientifico-culturale.
«Quel che conta è l’ultimo lavoro che hai realizzato. Quindi lo devi fare al meglio. Il valore si misura sul presente, i successi del passato valgono una medaglietta».
A cena col nemico?
«Andrei volentieri con un para-psicologo, per tentare inutilmente di convincerlo».
Lei è uno dei fondatori del Cicap, un’associazione per il controllo del para-normale.
«Ho perturbato con libri e trasmissioni un sistema di menzogne: telepatie, chiaroveggenze…».
È un ultra scettico?
«Credo che si debba essere mentalmente molto aperti, ma non fino a far cadere il cervello per terra. Con il Cicap abbiamo messo in palio un milione di euro a chi dimostra la veridicità di un qualsiasi fenomeno paranormale. Nessuno ha mai superato la prova».
Ha un clan di amici?
«Ho qualche amico superstite».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Partecipare casualmente a una selezione Rai per radiocronisti».
L’errore più grande che ha fatto?
«Confessare di essere astemio durante la cerimonia con cui mi veniva assegnato il premio Barolo? Ahah».
Che cosa guarda in tv?
«Non guardo mai i varietà e quasi mai le partite e i dibattiti… Faccia lei».
È su Twitter?
«No. Riconosco che sia un bene veder circolare tutte queste informazioni. Ma a me serve la solitudine per approfondire certi argomenti e trovare le giuste connessioni tra i dati e le idee. Niente social network, quindi. La tastiera con cui navigo più volentieri è quella del pianoforte».
Ha fama di essere un buon jazzista.
«Se non fossi diventato giornalista… Ora sto per ricomporre un piccolo gruppo. Suoneremo dal vivo».
La canzone preferita?
«Serenata a Vallechiara».
Romantico. Il libro?
«Il caso e la necessità di Jacques Monod».
Il film?
«Amarcord di Federico Fellini».
Sa quanto costa un litro di latte?
«Lo ammetto, no».
Quali sono i confini della Libia?
«Egitto, Tunisia…».
L’articolo 1 della Costituzione?
«Dice che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
È così?
«Mi piacerebbe che fosse una Repubblica democratica fondata sul lavoro intelligente».

Categorie : interviste
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