Vincenzo Amendola (7 – Novembre 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 22 novembre 2019)

A un certo punto, mentre stiamo parlando delle varie scissioni vissute dal Pd, dice: «Ogni volta che Matteo Renzi sostiene che se ne sia andato perché molti dem lo guardavano con rancore, mi viene da ridere». Perché? «Se chi ha subito torti da parte sua dovesse parlare, nascerebbe una nutritissima associazione vittime renziane. Alle Politiche del 2018 sono stato candidato in una posizione per cui non sarei mai stato eletto. Non ho aperto bocca e ho accettato il mio destino, perché vengo da una scuola che ti insegna a non portare rancore». Vincenzo Amendola, 45 anni, è il neo-ministro per gli Affari Europei. La scuola a cui fa riferimento è quella degli ex Ds. Spiega: «La mia è l’ultima generazione di professionisti della politica». Il “professionismo politico” ormai è considerato quasi un mestiere infamante. «Tornerà di moda».

Potrebbe spiegare a un odiatore da social network le doti del professionismo politico?
«La disciplina. Lo studio. Ho fatto in tempo a frequentare le Botteghe Oscure…».

La sede storica del Pci.
«Lì, durante alcune riunioni non potevi nemmeno prendere appunti e si parlava solo quando si aveva qualcosa da dire. Si imparava a non entrare in surriscaldamento. Oggi ci si accende e ci si surriscalda troppo facilmente».

Lei stesso di fronte ai cinguettii degli alleati di governo ha dichiarato: «La pazienza del Pd ha un limite».
«È nulla rispetto a quanto si sente in tv o sui social network».

Si twitta, si polemizza, si dichiara, si creano stories…
«Quando sono entrato in Parlamento nel 2013, mi sono sentito un settantenne appartenente a un mondo che non esisteva più».

Amendola, eloquio partenopeo e movenze da apparato, sostiene che troppi politici non sappiano più ragionare sugli obiettivi di lungo periodo. A chi gli chiede quale sia l’obiettivo di lungo periodo di un partito come il Pd che negli ultimi sette anni è stato alfiere dell’austerity montiana, acerrimo nemico e poi alleato di Silvio Berlusconi, oppositore aspro del Movimento Cinque Stelle e poi sodale dell’attuale maggioranza con i pentastellati, risponde: «Si chiama senso di responsabilità nazionale».

C’è chi lo definisce tafazzismo.
«Ci prendiamo carico della tenuta del Paese. È un limite? Io la ritengo una caratteristica importante della sinistra riformista».

Piccolo test sui valori della sinistra riformista. Lei è favorevole ai matrimoni tra coppie gay?
«Sicuramente sì».

Alle adozioni da parte di coppie arcobaleno?
«Favorevole».

L’eutanasia…
«Sono per regolarla e per la libertà di scelta».

Quanto è ambientalista nella vita privata?
«Molto. Credo che su ecologia e ambiente, come sul lavoro e sulle politiche sociali dobbiamo fare cose molto più radicali».

Rossana Rossanda, fondatrice de il manifesto , ha detto che quando ha sentito Greta Thunberg dire ai vertici dell’Onu «Non vi perdono», avrebbe voluto replicarle: «Ma stai zitta, ragazzina».
«Quella ragazzina ha fatto la storia, altroché».

Su immigrazione e su accoglienza è favorevole a mettere mano alla Legge Bossi – Fini?
«Certo. Noi dobbiamo avere un rapporto strutturale con l’Africa e con il Medio Oriente. Servono corridoi umanitari, non muri».

Lo Ius soli…
«Ce l’ho in casa. Mia moglie…».

… la giornalista Karima Moual, di origini marocchine…
«…… Ha raggiunto i suoi genitori in Italia nel 1990, dopo 8 anni di separazione, grazie alla legge Martelli che li ha fatti uscire dalla clandestinità. Oggi tutta la sua grande famiglia è italiana. Sui bambini non ci dovrebbe essere discussione: se frequenti le scuole qui, sei italiano. Non capisco la paura. Un Paese che integra è più coeso e la sua identità nazionale è più solida».

Ha figli?
«Due. Jamila, di cinque anni, e Carlo, nato nei giorni delle scorse Europee».

Lei viene da una famiglia molto politicizzata?
«Mio padre era un medico democristiano. Ho frequentato scuole cattoliche. Quando mi sono iscritto alla Federazione dei giovani comunisti italiani non la prese bene».

Era adolescente nella Napoli di Diego Armando Maradona.
«Già, ma sono interista. Shhh, questo non lo diciamo però».

Miti musicali?
«Bruce Springsteen, Eric Clapton, David Bowie».

Quando ha esordito in politica chi c’era dei leader attuali?
«Nicola Zingaretti lo conobbi durante un campeggio degli Studenti Medi in Toscana. Il segretario della Fgci era Gianni Cuperlo».

«IO NON AVEVO NEMMENO TRENT’ANNI E VENIVO
DA VIENNA. DE MITA NE AVEVA QUASI OTTANTA. LA PRIMA
VOLTA CHE CI MISERO NELLA STESSA RIUNIONE
FU DEPRIMENTE. LUI MI GUARDAVA COME SE FOSSI
UN MARZIANO. POI IL RAPPORTO DIVENTÒ FANTASTICO»

Ha frequentato le Frattocchie, la scuola politica del Pci?
«Sì. Fotocopiavamo e studiavano pacchi di documenti. I relatori dei seminari erano super professori o leader».

Il suo primo incarico politico?
«A diciotto anni venni eletto consigliere municipale a Napoli. Molto lavoro sul territorio. Nel 2001 ci fu una svolta: il G8 di Genova».

Lei è stato No Global?
«No, in piazza a Genova c’era di tutto e di più. Io ero nella Sinistra Giovanile. Chi c’era ha subito una violenza tragica, fisica e psicologica. Decisi di cambiare aria e di accettare un incarico alla Iusy».

L’Internazionale dei giovani socialisti.
«Segretario generale. Mi trasferii a Vienna per sei anni. Volevo restare lì, perché finito l’incarico avevo cominciato a lavorare come consulente, ma Piero Fassino mi chiamò nella segreteria dei Ds e mi chiese di guidare il partito campano. Erano gli anni della nascita del Pd: restai settimane chiuso in una stanza con Ciriaco De Mita per disegnare una struttura unitaria tra ex Ds ed ex Dc».

Lei e De Mita…
«Io non avevo nemmeno trent’anni e venivo da Vienna. De Mita ne aveva quasi ottanta. La prima volta che ci misero nella stessa riunione fu deprimente. Lui mi guardava come se fossi un marziano. A me venivano in mente tutti gli slogan contro di lui che masticavamo da ragazzi. Poi il rapporto diventò fantastico: lui parlava, parlava… e a me piaceva ascoltare».

Come è venuto a sapere che avrebbe fatto il ministro?
«La voce ha cominciato a girare mentre ero in Marocco con la famiglia. Abbiamo una casetta vicino a Tangeri».

L’ha chiamata Zingaretti?
«No, no. Mi ha telefonato Andrea Orlando. Con Zingaretti non devi chiedere e lui non deve dirti. È il suo stile».

Categorie : interviste
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