Filippo Andreatta (7 – Febbraio 2020)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 14 febbraio 2020)

Filippo Andreatta ha cinquantuno anni e un figlio di dieci che porta il nome del nonno, Beniamino, economista democristiano e pluri-ministro. Intellettuale di area dem, dirige il Dipartimento di Scienze politiche all’Università di Bologna. Il piglio professorale fa sì che i suoi ragionamenti si dividano spesso in punti o in elenchi. “Punto uno… Punto due… Punto tre….”. Insegna politica internazionale. Dice: “Viviamo in un mondo multipolare in cui le alleanze sono volatili. La credibilità di uno Stato diventa sempre più importante”.

L’Italia è credibile?
“No. Il nostro sistema istituzionale e di governo è inadeguato. E poi giochiamo con un handicap pesantissimo”.

Quale?

“L’orizzonte temporale ed elettorale dei nostri governanti, sia a destra sia a sinistra, impedisce di trovare soluzioni ambiziose. Non affrontiamo mai le grandi politiche: i rapporti internazionali, il debito pubblico e il debito demografico”.

Sul debito demografico la destra propone incentivi alle famiglie italiane…

“E io non sono contrario. Ma hanno effetti nei decenni. Nel frattempo dal 1990 a oggi i nati a Bologna sono calati di un terzo. Se non ci fosse l’immigrazione rischieremmo il vuoto”.

La sinistra teorizza l’accoglienza e l’integrazione, ma poi non lotta per lo Ius Culturae e nemmeno per abolire i decreti sicurezza salviniani.

“C’è in molti la percezione che sia proprio il popolo della sinistra a essere spaventato dagli immigrati. Una sinistra che non cavalca la buona integrazione e l’accoglienza però nega se stessa. La sinistra nasce con l’Illuminismo, dovrebbe essere razionale. E oggi essere razionali vuol dire capire che le ex democrazie industriali stanno diventando delle maxi case di riposo”.

Negando o meno se stessa, la sinistra ha vinto in Emilia Romagna.

“Per tre motivi: Bonaccini ha governato bene, la liquefazione del M5S ha polarizzato il voto tra Pd e Lega e Salvini ha sbagliato l’ultima settimana di campagna elettorale”.

Che cosa ha sbagliato?

“Se fosse rimasto a casa forse avrebbe vinto. La sua presenza capillare ha reso le elezioni un referendum personale. E si sa, gli italiani di fronte a un referendum su una persona sono imprevedibili”.

Le sardine hanno contribuito alla vittoria del centrosinistra?

“Hanno galvanizzato chi era orientato a votare a sinistra”.

Lei è sceso in piazza?

“No, non sono piazzaiolo”.

A maggio si vota di nuovo: in Toscana, in Campania, in Puglia, in Liguria… Se dovesse suggerire una strategia al Pd…

“Un programma credibile che non neghi la propria identità, candidati adeguati e uno sforzo per allargare il campo”.

Tutti parlano di allargare questo campo.

“La pulsione c’è. Ma nessuno sa come fare, perché i partiti italiani sono chiusi, non sanno attirare energie nuove”.

Le primarie sono lo strumento, giusto?

“Sono state un’occasione perduta. Le primarie sono nate per dare forza ai candidati istituzionali e per farli governare contro l’anonima partiti. Le ultime grandi primarie, invece, sono state organizzate da un Matteo Renzi sconfitto per legittimare la sua segreteria nel Pd. Una virata di 180 gradi. Ora poi con il proporzionale le primarie non sono più utilizzabili perché le alleanze si fanno dopo le elezioni”.

Renzi ha lasciato il Pd per creare Italia Viva.

“Renzi ha straordinarie capacità tattiche molto adatte all’attuale sistema proporzionale. Ma il sistema proporzionale è deleterio per il Paese. Produce coalizioni eterogenee e poco ambiziose”.

Lei non sembra molto soddisfatto di come si è evoluta la storia del Pd.

“Il Pd doveva essere un partito nuovo, invece è nato e cresciuto come un nuovo partito, cioè una nuova sigla, un’unione di nomenclature”.

Con Renzi e con Zingaretti c’è stato un ricambio generazionale.

“Un ricambio anagrafico. Non generazionale. I singoli leader sono più giovani, ma non c’è una coscienza generazionale”.

Come si dovrebbe manifestare questa coscienza?

“Sono allibito da come una maggioranza di cittadini elettori, i diciotto-quarantenni, si sia fatta imporre politiche contro i loro interessi. Il passaggio dalle pensioni retributive a quelle contributive senza ritoccare le prime, senza ridurre il debito pubblico e senza occuparsi dei cambiamenti climatici. Una miopia di cui pagheremo il conto per decenni. La mia, la sua, è la prima generazione che deve lottare per ottenere meno di quello che avevano i nostri padri. Per le generazioni successive andrà anche peggio”.

Padri. Il suo era ingombrante.

“Voleva proteggere me e mio fratello dal nepotismo. Non voleva che vivessi da «figlio di». A sedici anni mi mandò in Galles, nel Collegio del Mondo Unito, una struttura con studenti che provenivano da centoventi Paesi diversi”.

Casa Andreatta. Un ricordo politico della sua infanzia.

“Elezioni politiche del 1976. Avevo otto anni. L’angoscia dei miei genitori per la paura del sorpasso del Pci nei confronti della Dc. Io giravo per casa con una bandiera rossa per provocarli”.

Romano Prodi frequentava molto casa sua.

“Era allievo di mio padre. Per me è quasi una figura paterna”.

I suoi miti giovanili?
“I Duran Duran, Alessandro Altobelli, storico attaccante dell’Inter e l’uomo che a Tienanmen fermò i carri armati del regime cinese”.

La sua prima esperienza politica?

“Nella seconda metà degli anni Ottanta con i democristiani juniores. In quel periodo legai con Enrico Letta. Poi, a inizio Novanta, con alcuni amici anticipammo il passaggio dalla Dc al Ppi, dando vita ai giovani popolari. Ci incontrammo tra i tavolacci di una festa dell’Unità e scrivemmo lo statuto su un tovagliolo”.

Ha mai pensato di candidarsi per qualche incarico?

“Ci sono andato vicino nel 2006. Il Pd ancora non esisteva e sembrava davvero che ognuno potesse immaginarlo e contagiarlo con idee originali”.

Ora non le piacerebbe partecipare a una nuova rinascita del centrosinistra?

“Faccio un mestiere che mi piace, e ritengo che ci sia una ricaduta sociale nel formare le giovani generazioni. Lo faccio a tempo pieno. Mi resta solo un po’ di tempo per mio figlio”.

Il tempo per il piccolo Beniamino.

“Sono un padre separato. E quando faccio il papà sono solo. La sera, quando stacco mi dedico completamente a lui. Giochi, racconti storici…”.

Qualche cartoon?

“Meglio un documentario, no?”.

Categorie : interviste
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