Miguel Bosè (Magazine – luglio 2007)

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Sesso e lacrime. Arte e tori. Si parla di questo con Miguel Bosé, 51 anni. Il suppe-suppe-man che faceva ballare gli adolescenti nei primi anni Ottanta, sfodera una raccoltona dei suoi successi degli ultimi trent’anni in cui duetta con megastar come Shakira, Ricky Martin, Laura Pausini e Mina, e vende, anche in Italia, più di un bibitaro nel deserto. L’operazione (Papito) è un po’ furba, ma funziona. E permette a Bosé una piccola vendetta nei confronti di quel mercato nostrano che dal 1984 lo ha snobbato, mentre altrove spopolava. Anche come opinion maker. Per dire: ha partecipato alla campagna elettorale della presidentessa cilena Michelle Bachelet e prima di cominciare questa intervista ha incontrato i giovani socialisti spagnoli nel suo giardino per registrare un saluto al Congresso nazionale. Giovane efebico ai tempi di Bravi ragazzi («Tutti poeti noi del ’56»), Bosé ha avuto un sussulto di notorietà italica, quando ha interpretato un travestito nel film di Pedro Almodóvar Tacchi a spillo. Da lì, è nata anche una curiosità morbosetta sul suo orientamento sessuale. Anche perché lui una volta, scherzando, si è definito «trisessuale».
Perché le chiedono tutti della sua sessualità?
«Perché tutti mi si vogliono fare».
Ehm, come ha detto, scusi?
«Ho avuto il privilegio di avere un fisico per cui sono sempre piaciuto alle ragazze, ma ho sempre creato turbamento anche negli uomini. Detto ciò mi pare assurdo che ancora si parli di queste cose».
Roba vecchia?
«Ma non assimilata dalla società. Chi siamo noi, omini minuscoli, per giudicare ciò che ha deciso il Dio amore?».
La butta sul filosofico?
«Dico solo che in democrazia si dovrebbe essere più tolleranti. Certo, in Italia voi avete il Vaticano».
Abbiamo anche molti politici che criticano il travestitismo e considerano l’omosessualità una «devianza».
«Pensi che per molti i deviati sono loro. Il mondo tollera le rigidità e le stranezze di certi religiosi, loro facciano lo stesso. Facciamola finita con questa dittatura eterosessuale».
La democrazia dovrebbe essere bisessuale?
«Di più: pansessuale».
Lei è pansessuale?
«Non glielo dico. Ho una sessualità di una normalità allucinante».
Etero e monogamo?
«Ho detto normale. Anche un travestito se parla di sé si definisce normale».
Sta facendo il furbo.
«È lei che mi costringe. È preoccupante quanto il sesso sia ancora un argomento che condiziona la società. Basta pensare a Bill Clinton…».
Lo scabroso affaire Lewinsky.
«Appunto. Perché scabroso? Ci si doveva domandare: Clinton funziona come leader? Se sì, allora i rapporti orali li avrebbero dovuti finanziare i cittadini».
Fellatio di Stato.
«Se invece Clinton non funzionava, allora doveva andarsene a prescindere dalle prestazioni di Monica Lewinsky».
La sua gavetta?
«Sono nato a Panama».
Come mai?
«Mio padre…».
Il leggendario torero Luis Miguel Dominguin…
«…e mia madre…».
L’attrice e prima Miss Italia, Lucia Bosé…
«…avevano programmato di farmi nascere a Medellin, in Colombia, che era la vera patria di papà. Ma gli spostamenti allora erano complicati e così…».
Scuole?
«Liceo francese a Madrid. È lì che ho cominciato a fare un po’ di teatro. Mettevamo in scena spettacoli vietati dalla censura franchista. Dopo la maturità sono partito per Londra».
Dalla Madrid di Franco alla swinging London?
«Una meraviglia. Volevo frequentare la scuola di Lindsay Kemp: danza, mimo… Ero con mia sorella Lucia. Senza soldi. I primi sei giorni abbiamo dormito in un parco, poi abbiamo rintracciato degli amici».
Chi?
«La mia prima guida londinese è stata Amanda Lear».
Si dice che vi siate fidanzati.
«Solo perché l’immagine di una coppia così era arrapantissima: l’efebo insieme con quell’essere straordinario».
Come ha conosciuto Amanda Lear?
«All’inizio degli anni Settanta. Ero in crociera con mio padre e Romy Schneider. Ci siamo fermati al largo della spiaggia di Port Ligat. A un certo punto vediamo che qualcuno si avvicina a nuoto e sale le scalette della barca. Una creatura stupenda. Bionda, in topless, con due capezzoli che inchiodavano il cielo».
Era la Lear.
«Sì, aveva una corona di spine in testa e delle lacrime disegnate sul viso. Con la sua voce cavernosa disse: “Siete invitati da Salvador Dalí a mangiare…”. Chiuse gli occhi e aveva due uova fritte disegnate sulle palpebre. Geniale».
Oltre che di Dalí suo padre era amico di Picasso.
«Pablo è l’unico di questi giganti che frequentavano casa mia di cui ho memoria. Di Jean Marais ed Ernest Hemingway non ho ricordi».
E di Luchino Visconti?
«Beh, lui era il mio padrino. Quando lo si andava a trovare mi dovevo mettere degli orribili abiti di flanella e le cravatte che mi aveva regalato».
Lei rischiò pure di finire in un suo film.
«Morte a Venezia. Lui sosteneva fossi perfetto per interpretare Tadzio, ma mio padre si oppose».
Lei come reagì?
«A me non dissero nulla. Io comunque il Visconti regista non lo amavo. Avevo visto Rocco e i suoi fratelli. Pensavo: ma perché mi hanno messo questo tipo per padrino? Di Picasso ho ricordi più piacevoli».
Racconti.
Andavamo spesso nella sua villa vicino a Cannes, la Californie. E lui ci faceva disegnare. Metteva i pennelli in mano a me e a mia sorella Lucia, e ci chiedeva di aiutarlo, usando solo due colori: il verde e il rosa».
Aiutarlo per gioco.
«Mica tanto. Una volta, a New York, in casa di amici, davanti a un Picasso, ho riconosciuto un angolo rosa che avevo fatto io».
Torniamo alla gavetta.
«Nel 1977 ci fu la mia prima apparizione televisiva. Durante la trasmissione Esta noche fiesta. Cantai Linda e altre due canzoni. Ballavo. In platea, oltre a mio padre e mia madre, c’erano anche Nicki Lauda e Raffaella Carrà».
L’Italia…
«Successi strepitosi. Super superman, il look alla Bosé: la giacca con le maniche arricciate, la maglietta con le maniche arrotolate».
Le stelle e poi le stalle.
«In Italia non tollerate i cambiamenti. Se Eros Ramazzotti cambiasse la sua sonorità perché ne sente il bisogno lo cancellereste».
Esagerato.
«Io decisi che volevo cambiare. Il produttore Roberto Colombo mi aiutò. Ma la casa discografica non accettò la svolta».
In Spagna, invece?
«Un trionfo. E anche in Sud America. Lì tra l’altro ho conosciuto molti dei cantanti con cui ho duettato in questo ultimo disco. Shakira era una fan a cui firmavo gli autografi da bambina. Ricky Martin era in prima fila ai miei concerti».
Come mai ha deciso di prendere il nome di sua madre?
«Perché in Spagna, in Argentina, in Colombia… nessuno avrebbe accettato un Dominguin cantante e ballerino. Sarebbe stato un sacrilegio. Dominguin è sinonimo di torero. Io sono l’unico maschio della famiglia a non lavorare coi tori. Ho pure due nipoti toreri: Cayetano Rivera, che ora fa la pubblicità del profumo Armani, e suo fratello».
Li va a vedere?
«Vado poco nelle arene. A meno che non ci sia qualcosa di speciale. Tipo il rientro del leggendario José Tomás: uno che ferma il tempo prima di infilzare il toro».
Gli ambientalisti vorrebbero fermare le corride.
«La corrida è una tradizione radicatissima e incomprensibile. Finito il franchismo si pensava sarebbe scomparsa, perché era un segno identitario forte del regime. Invece… oggi vanno a vedere le corride anche gli adolescenti».
Lei ha mai pensato di fare il torero?
«No. Ma era naturale che il figlio di un torero ci provasse. E io ci ho provato. Da bambini era una specie di gioco. Però nell’arena di mio padre, passavo più tempo per aria e per terra che non in piedi. Ero più interessato all’allevamento. Ma anche lì… mi affezionavo agli animali e quando vedevo i novillos, i giovani tori, partire per la corrida…».
Piangeva?
«Li odiavo».
Le lacrime sono un leitmotiv della sua esistenza. Ci ha scritto pure una canzone Los chicos no lloran.
«Sono cresciuto in un mondo in cui chi piangeva era considerato debole. Invece piangere fa bene. Le lacrime liberano tossine emozionali».
Le lacrime sono poco torere.
«Poco franchiste. E poi mio padre certe cose non le capiva proprio. Amavo i pesci e gli animali e lui diceva a mia madre: “Ma se questo bambino ama i pesci, perché non va a pescare? Se ama gli animali perché non caccia? Capito?”. Era un po’ naïf. E allarmante».
La svolta lacrimosa?
«Sono stato cresciuto soprattutto da sette donne: mia madre, mia nonna, la tata, le mie due sorelle e due vicine di casa amiche. Con loro potevo stappare certe emozioni senza paura».
Una canzone che la fa piangere?
«Ad alcune frasi della Bohème di Puccini non resisto».
Fabio De Luigi l’ha imitata mentre conduceva lo show di Italia1 Operazione Trionfo. La sfotteva per le lacrime. Esilarante.
«Non per me».
Permaloso.
«Diciamo che non stimo gli imitatori, non hanno un talento vero. Dovrebbero pagare un canone a chi imitano. Tipo il 20% dei guadagni».
Resta il fatto che quella trasmissione fu un flop.
«Ho sempre pensato che fosse colpa mia, invece recentemente Maria De Filippi mi ha detto che le mie parolacce e la mia spontaneità andavano benissimo».
Se lo dice lei. L’uomo più affascinante della terra?
«Michael Stipe, il leader dei Rem».
Troppo facile, è uno dei duetti del suo disco.
«È un opinion leader. Un grande».
La donna più affascinante del pianeta?
«Deve ancora nascere».
Qualche imbarazzo quando ha interpretato il travestito in Tacchi a spillo?
«Macché. Quando mi sono visto la prima volta truccato, con quelle gambe compresse nelle calze, il gonfiore delle tette, ho pensato: “Se fossi così sarei più autonomo”». Quel Miguel alle sue domande di prima darebbe risposte secche».
Cioè?
«Chi è la donna più affascinante? Io. L’uomo? Io. Il travestito? Me medesimo».
L’errore della vita?
«Ne ho fatti talmente tanti… Ma ho una grandissima capacità di dimenticare gli eventi traumatici».
Si chiama «rimozione». La sua sliding door?
«Avrei voluto fare oceanografia. Ho abbandonato l’idea appena mi sono accorto che non capivo molto di matematica. Ora, tra l’altro, faccio il sub».
A cena con il nemico?
«Con Josè Maria Aznar, l’ex premier centrista. Ci uscirei con spirito antropologico. Come uscirei con una giraffa: per vedere come si comporta».
Vivere: a Roma o a Londra?
«A Londra».
A Londra o a New York?
«A Londra».
Perché?
«A Londra puoi vivere anche senza soldi. New York dopo qualche giorno ti dà la claustrofobia. Roma è il caos. È affascinante, ma troppo disordinata. E io ho bisogno di civiltà».
Negli Stati Uniti: Barack Obama o Hillary Clinton?
«Il politico si misura per quel che fa, non dai discorsetti».
A pelle?
«Obama: sarebbe un grande passo avanti per gli Usa».
Delete. Deve cancellare un numero dal suo cellulare: Juan Carlos o Zapatero?
«Cancello Zapatero. Che è bravo, ma deve ancora dimostrare molto. Il Re ha fatto tanto per la Spagna».
Mina o Laura Pausini?
«Cancello chi non conosco. Conosco Laura e la amo».
Prodi o Berlusconi?
«Via Berlusconi».
Tony Blair o Walter Veltroni?
«Chi è Veltroni?».
Ma come… È un leader politico. Il sindaco di Roma.
«Non lo conosco».
Marco Materazzi o Zinedine Zidane?
«Cancello il provocatore Materazzi. Zidane è Zidane, e non lo dico da madridista».
Cultura generale. Quanto costa un litro di latte?
«Non lo so».
Un euro e venti circa. I confini dell’Iraq?
«Afghanistan e Uzbekistan?».
No.
«Iran? Boh, non lo so».
Che cos’è Second Life?
«Il sequel di Simple Life, la trasmissione di Paris Hilton?».
Uhm.
«Ah, no, aspetti. È quello dove puoi sceglierti un corpo e una personalità nuova».
Anche una pan-personalità.

LINK:
La casa di Miguel è in un comprensorio alla periferia di Madrid. Tra un villone blindato e l’altro, lui vive in un garage ristrutturato con un parco intorno: piscina, erba rasata, rose, galline. Intorno a lui si muove un famiglione fatto di collaboratrici zelanti («Una, Belen Moreno, è pure conservatrice») e fustacchioni che friggono uova fresche di prima mattina. Ci sono dieci cagnolini che obbediscono a ogni schiocco delle sue dita. E che Miguel ami i cani lo si capisce, oltre che dal rapporto che ha con i suoi, da come parla di quegli degli altri. Prende un catalogo. «Lo vedi questo?», dice indicando un bassotto fotografato accanto a Picasso. «Leccava i quadri di Pablo e poi se li mangiava». Mai cibo per cani costò di più.

Categorie : interviste
Commenti
Peter Boom 19 Febbraio 2010

Per comprendere meglio la pansessualità che vive in ognuno di noi leggete la Filosofia della Pansessualità sul sito http://www.pansexuality.it
Grazie.

vz 19 Febbraio 2010

Grazie per il suggerimento.

Peter Boom 30 Maggio 2010

Dedicato al meraviglioso Miguel Bosé!!!
Dopo 38 anni ecco che riesce, grazie a Youtube, il primo disco di lotta gay in Italia:

http://www.youtube.com/watch?v=9rkDYgr5C9E
http://www.youtube.com/watch?v=ulp3VrPwM7I&feature=related

Peter Boom, nato nel 1936 a Bloemendaal (Olanda) e residente in Italia dal 1956 ha scoperto la sua omosessualità all’età di 23 anni e pochi mesi dopo l’ha dichiarato in famiglia (1959).
Ha partecipato a riunioni del FUORI a Torino (1971) e anche alla prima manifestazione gay in Italia ( 5 – 6 aprile 1972), nata per contestare un congresso di sessuologìa a San Remo. Il 1 maggio 1972 partecipa al primo raduno omosessuale a Roma a Campo de’ Fiori. In quello stesso anno una piccola casa discografica fa uscire il primo disco di lotta gay in Italia con le canzoni FUORI e LUI AMA LUI (Lei ama lei), un 45-giri registrato alla Sonic (RM): Peter può registrare i brani una sola volta a causa della paura del titolare dello studio che temeva carabinieri, ritorsioni, etc.
Erano davvero altri tempi!
Il disco ancora senza copertina veniva sequestrato a causa dell’etichetta “Ciao 2001”, che era anche il nome di una nota rivista per giovani, la quale bloccò l’uscita non volendo compromettere il buon nome del periodico.
La carriera di cantante di colonne sonore (dischi, cinema, serate) di Peter venne di colpo bloccata.
Un cantante apertamente gay non poteva ancora venir accettato dalla società italiana.

http://digilander.iol.it/pboom
http://www.pansexuality.it

note:
Non si sa chi ha pubblicato su Youtube le canzoni.
Sono state anche pubblicate canzoni di un omonimo di Peter Boom, cantante di canzonette popolari tedesche, olandese come lui, ma residente in Germania.

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