Paola Taverna (7 – Gennaio 2020)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 31 gennaio 2020)
E’ irriducibile. Nel Movimento Cinque Stelle che perde consensi, capi politici e truppe dissidenti, Paola Taverna incarna l’ortodossia grillina. Il toto-leadership pentastellato la vede tra i favoriti per la successione a Luigi Di Maio. Commenta: “Sono discorsi precoci. Il Movimento ha bisogno di tutti noi al massimo delle nostre possibilità. Conclusi gli Stati Generali di marzo, ci faremo altre domande”. Aggiunge: “La militanza per il M5S è come una relazione sentimentale. C’è la fase dell’innamoramento e poi quella dell’amore. Io amo il Movimento e quando si ama lo si fa anche se ci sono problemi”.
C’è chi dà il M5S per finito.
“I nostri risultati sono sotto gli occhi di tutti: la legge Spazzacorrotti, il Reddito di cittadinanza, lo stop alla prescrizione, il decreto dignità con cui abbiamo svuotato il Jobs Act…”.
Gianluigi Paragone sostiene che il M5S stia perdendo la sua natura.
“Nell’attività parlamentare di Gianluigi non ho riscontrato un grande apporto costruttivo”.
Alessandro Di Battista lo ha difeso.
“Io no”.
Tra ala contiana, che vede il movimento naturalmente alleato del Pd, e ala indipendentista, lei come si colloca?
“L’unico aggettivo di cui mi fregio è rivoluzionaria. Dobbiamo riportare la politica al servizio dei cittadini”.
Da quasi due anni lei è vice-presidente del Senato. Vive ancora nella borgata Torre Maura.
“In cinquanta metri quadri. Con mio figlio Davide e con mia madre Graziella. Vedo le montagne. Non mi trasferirei mai negli ambienti ovattati del Centro: lì è facile perdere la percezione di come campa la maggioranza degli italiani. Sotto casa ho venti secchioni della spazzatura, il mio termometro sull’amministrazione Raggi”.
Lei ha cinquant’anni tondi. Pensi a un’immagine per ogni decennio vissuto. Da zero a dieci?
“Le vacanze campestri nel paesino di Calmazzo, nelle Marche, con la nonna e i cugini”.
Da dieci a venti…
“Avevo diciassette anni. Mio padre ebbe un’aneurisma a un’aorta. In ospedale lo scambiarono per un infarto e lo dimisero. Rientrato a casa morì davanti ai miei occhi. Per molti anni l’ho colpevolizzato: «Ci accanni così? Ci lasci da sole?». Mia madre casalinga, mia sorella studiava all’Università…”.
Lei che adolescente era?
“Una paninara di borgata. L’ultimo regalo di Natale che mi fece mio padre fu l’agognato piumino Ciesse. Avevo la cinta del Charro…”.
Quella borchiata da cowboy. Che scuole frequentava?
“Un istituto tecnico. Con la morte di papà svanirono le prospettive universitarie”.
Si è laureata lo scorso ottobre in Scienze politiche.
“Un traguardo per la crescita personale più che per un futuro lavoro”.
Che cosa farà una volta chiuso il secondo mandato da parlamentare?
“Non lo so. Ma la militanza nei Cinque Stelle prescinde dai mandati”.
Torniamo alle decadi. Dai venti ai trenta?
“Mi sono sposata a ventinove anni. Divorziata a trentacinque”.
Ha lavorato in un poliambulatorio d’analisi per tredici anni. La politica quando è arrivata?
“Nel decennio successivo. Ma l’immagine tra i trenta e i quaranta è quella della nascita di mio figlio Davide. Ora lui ha diciassette anni”.
Lei una volta ha definito suo figlio un “tradizionalista”.
“Un conservatore. Tra un anno potrà votare. Non so dove andrà a finire. Forse con la Lega”.
Il pedigree politico della sua famiglia?
“Mio padre era di destra. Mia sorella cantava gli Inti Illimani. Io ho dato qualche voto a sinistra”.
Come si è avvicinata al M5S?
“Nel 2007 in borgata, a Torre Maura, la crisi già si sentiva. I partiti mi sembravano concentrati sul proprio ombelico. Trovai il blog di Beppe Grillo e cominciai a frequentare anche i suoi spettacoli”.
I primi meet up capitolini?
“Ci incontravamo nella sagrestia di una parrocchia del quartiere Prati, c’era anche Roberta Lombardi. Al V-Day romano ci accorgemmo di non essere soli: la fila alla raccolta firme per il «parlamento pulito» era interminabile”.
L’immagine dell’ultimo decennio.
“Roma. Piazza San Giovanni. Chiusura della campagna elettorale per le politiche del 2013. Un agente della Digos si avvicinò e mi disse: «Per motivi di sicurezza dovete annunciare che la piazza è piena». Mancavano tre ore all’intervento di Beppe. Salii sul palco. C’era una quantità di gente inimmaginabile. Pensai: «Abbiamo fatto la rivoluzione»”.
Mi aspettavo che descrivesse la sua prima volta sullo scranno della presidenza del Senato.
“Ahah. Se quando sono approdata in Parlamento, proprio nel 2013, qualcuno mi avesse detto che sarei diventata vice-presidente del Senato avrei cominciato a ridere fino allo svenimento”.
Nel 2013 lei urlava ai colleghi senatori degli altri partiti «Siete gneeente». E scriveva sonetti in dialetto romano per fustigare i grillini «aperturisti» che non disdegnavano alleanze con altri partiti: «Proponi accordi strani e vedi prospettive/Mentre io guardo ‘ste merde e genero invettive». In seguito uno dei suoi bersagli polemici preferiti è stato Matteo Renzi. Ora Renzi è un suo alleato nella maggioranza del governo giallo-rosso.
“Le farò una confessione”.
Dica.
“Con Renzi non incrocio neanche lo sguardo. E continuiamo a non parlarci”.