Michele Emiliano (7 – Febbraio 2020)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 28 febbraio 2020)

Michele Emiliano, sessant’anni, è un teorico del populismo istituzionale. E’ stato per dieci anni il primo cittadino di Bari e da cinque è Presidente della Puglia. Condisce il governo del territorio con exploit politico-mediatici da caudillo pop: da sindaco si travestì come uno sceriffo western per sottolineare l’indole ordine&disciplina, da dirigente del Pd, ai tempi della scissione bersaniana, si esibì in un triplo passo resto-esco-resto e con una piroetta estiva si ruppe un tendine accennando un saltello tarantolato. Concede a tutti il numero del suo cellulare: 335…840… 2227. In Primavera si ricandida a guidare la Regione, ma rispetto all’ultima tornata qualcosa è cambiato: il centrodestra melonian-salviniano ha numeri solidi e, soprattutto, nel centrosinistra è cominciato un piccolo tiro al bersaglio anti-Emiliano. Matteo Renzi e Carlo Calenda sono in prima fila. Teresa Bellanova, ministro delle Politiche Agricole, alla prima assemblea di Italia Viva, ha tuonato: “Quando diciamo no a Emiliano, diciamo no alla demagogia, no al trasformismo e no al peggior notabilato meridionale”. Applausi della platea renziana. Riferisco le critiche a Emiliano e lui replica: “Bellanova era un pilastro del dalemismo. Ora è passata con Renzi. Lui comunica con gli slogan e ha bisogno di puntare un nemico, ma non credo abbia capito il sistema pugliese”. Il Foglio e Linkiesta descrivendo le primarie del Pd che il governatore in carica ha appena vinto parlano dell’Armata Emiliano.

Le rinfacciano plebisciti bulgari anche dove governano sindaci di ultra destra. E le rimproverano una certa disinvoltura nel concedere posti nelle partecipate anche a esponenti di aree politiche lontane dalla sua.

“Sono critiche disperate. Io ho un metodo democratico dal basso rodato negli anni. Ho lavorato per istituzionalizzare il populismo: raccolgo le istanze dei cittadini e le porto nel programma. E per questo si può incontrare immedesimazione anche da parte di persone con storie politiche diverse. Il mio metodo è sempre stato: non voglio sapere da dove vieni, ma dove andiamo insieme”.

I suoi detrattori raccontano che dalla sua parte ci sia anche Pippi Mellone, sindaco di Nardò. Destra in purezza. 

“Non escludo che si sia innamorato del mio metodo anche chi ha una sensibilità lontana dalla mia”.

Mellone ha proposto di chiudere l’Anpi di Lecce.

“Impensabile, ovviamente. Antifascismo e Resistenza per me sono centrali. Ma l’abbattimento di Punta Perotti non ha un colore politico. No a pregiudicati e no ad antisemiti. Per il resto sono centrali il popolo e il programma”.

Vuol dire che malgrado critiche e insulti ora accoglierebbe nella sua coalizione anche i renziani e i calendiani?

“Certo, sono disponibile. Non sarò mai io a dire «voi no». L’importante è che condividano il programma e il processo dal basso con cui viene realizzato”.

Calenda sostiene che lei sia il peggior governatore d’Italia.

“Abbiamo sempre avuto idee molto diverse sull’Ilva. Da anni cerca di ridicolizzarmi perché sostengo la decarbonizzazione. Ora mi pare che anche il governo Conte bis sia sulla mia linea”.

Anni fa, lei definì così il suo rapporto con Renzi: “Per me è stato come Napoleone per Beethoven”. Da dove nascono le attuali durezze?

“Da quando Renzi andò a Palazzo Chigi. All’inizio lo sostenni, ma poi arrivarono le prime riforme. E io cominciai a criticare «La Buona Scuola». Conservo ancora un sms. Doveva venire a Bari al mio fianco in campagna elettorale. Mi scrisse: «Vista la tua posizione non vengo più»”.

Sta seguendo le schermaglie tra Renzi e il resto della maggioranza di governo?

“Renzi prima o poi troverà qualcuno che gli vuole bene e che lo salvi dal suo autolesionismo. E’ un giovane brillante, vederlo autodistruggersi è uno spreco”.

Lei si considera politicamente giallo-rosso? Non ha mai nascosto le sue simpatie per alcune istanze grilline.

“Ho sempre portato nel Pd la voglia di interloquire con il popolo Cinque Stelle, pur avendo subìto anche da parte loro molte critiche”.

Ha mai conosciuto Grillo?

“Andai dietro al palco di un suo spettacolo nel 2009. Gli raccontai che cosa stavo facendo a Bari. Mi disse: «Sei il sindaco meno peggio d’Italia». Visto quel che diceva all’epoca dei dirigenti dem, mi parve un buon risultato”.

Come sono i suoi rapporti con il premier Conte?
“Mi piace molto. E’ superiore per definizione, in quanto pugliese, ahahah. Lui e Nicola Zingaretti sono riferimenti fondamentali. Ho dato anche un mio contributo affinché si conoscessero, mettendoli in contatto telefonico. Conte ha vissuto un’avventura simile alla mia. Ma lui dalla società civile è arrivato a Palazzo Chigi”.

Lei era magistrato. E’ vero che la prima proposta di candidarsi a sindaco le venne dalla destra?

“Un sito web locale, Azienda Bari, aveva fatto un sondaggio e intorno al mio nome era esploso un incredibile consenso popolare. Salvatore Tatarella e Nino Marmo…”.

…due colonne del Msi pugliese…

“… chiesero a mio padre, uomo di destra con simpatie almirantiane, di potermi incontrare. Come si fa per i matrimoni, ahah”.

Come andò l’incontro?

“Si presentarono a casa dei miei genitori. Gli spiegai che sono di sinistra e che non sarei mai potuto salire su un palco con Silvio Berlusconi che attaccava i magistrati, visto che ero un pm antimafia”.

Lei quando ha deciso di entrare in magistratura?

“Ero da poco laureato in Giurisprudenza. Davanti al Tribunale incontrai Gianrico Carofiglio che mi informò del concorso in magistratura. Ci chiudemmo per quattro mesi a studiare nella mia dimora balneare di Rosa Marina. Per due anni, la mattina ho fatto l’uditore apprendista magistrato e il pomeriggio il tuttofare da mio padre, che aveva un’impresa che vendeva bilance”.

La prima destinazione come pm?

«Ad Agrigento. Poi l’antimafia a Brindisi”.

Vita sotto scorta?

“Mi ci misero quando cominciai a gestire il primo pentito della Sacra Corona Unita. Mi assegnarono una Argenta verde pisello che andava al massimo a novanta chilometri all’ora. Un bersaglio facile. Chiamai Giovanni Falcone per chiedergli di intervenire e lui in pochi giorni fece arrivare una Croma blu con una blindatura seria”.

E’ vero che lei girava armato?

“Certo, fino al giorno della candidatura a sindaco. Ero pronto a usare la pistola se necessario. Erano anni complicati. Non ero mica l’unico magistrato armato!”.

Anche Carofiglio…

“Sì, lui, Leone de Castris… Dato che molti di noi avevano figli piccoli, quando andavamo a cena gli uni degli altri, avevamo il problema di dove mettere tutte le pistole per evitare che i bambini le toccassero. Optavamo quasi sempre per i tetti degli armadi”.

Categorie : interviste
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