Emanuele Felice (7 – Marzo 2020)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 13 marzo 2020)

Quando gli chiedo chi siano stati i suoi miti giovanili comincia a srotolare nomi di cantautori assortiti: De Gregori, Serrat, Vysotskij. E’ un dylaniano convinto e come Bob ha in testa una massa disordinata di ricci. Emanuele Felice, 43 anni, è il nuovo responsabile economico del Partito democratico. Sugli effetti del Coronavirus è laconico: “Poteva andare molto peggio. Per ora”. Si accende sulla “Questione meridionale”, sua specialità. Dice: “Bisogna cambiare le regole su come spendere le risorse europee. Le Regioni non hanno gli strumenti per programmare i fondi”. Il politologo Piero Ignazi ha salutato l’arrivo di Felice con un articolo intitolato “Un Pd finalmente di sinistra”.

Quand’è che il Pd ha smesso di essere di sinistra?
“Tra i Novanta e i primi Duemila, non solo in Italia, il centrosinistra è stato contagiato dall’ideologia neo-liberale. E ha smesso di occuparsi delle disuguaglianze”.

Lei come si definisce?

“Socialista, democratico, liberale”.

Le sue proposte economiche…

“Il nostro tema è il cambiamento dell’Europa. Dobbiamo usare la flessibilità per attuare politiche di crescita e di sviluppo”.

Un po’ vago.

“L’Italia declina anche perché specializzata in settori industriali a scarsa innovazione. Dobbiamo intervenire su scuole, istruzione e politiche per l’innovazione. I dem devono porsi come il partito che torna a dare certezze ai giovani: welfare per i lavori precari, garanzie sul mutuo per la casa, specie ai laureati… Il Jobs Act è stata una riforma fatta male”.

Il Jobs Act è il cavallo di battaglia di Matteo Renzi.

“Renzi ha sconfinato spesso in politiche di destra. Per venti anni abbiamo pensato di competere a livello globale sul costo del lavoro. E’ stato un fallimento”.

Felice è favorevole alla legalizzazione delle droghe leggere e all’eutanasia. Vorrebbe abolire Quota100 ed è abbastanza critico sul Reddito di Cittadinanza.

Il M5S potrebbe essere un alleato stabile del Pd?

“Nel M5S ci sono personalità come Giuseppe Conte e Roberto Fico con cui c’è qualche affinità. Ma noi siamo diversi dal populismo a Cinque Stelle”.

Tra Renzi e Fico…

“Oggi sceglierei Fico. E guardi che la prima retorica di Renzi, quella del libro Stil novo era molto grillina”.

Renzi ora ha un suo partito. Roberto Speranza ed Elly Schlein, che uscirono dal Pd in polemica con l’ex sindaco di Firenze, dovrebbero rientrare?

“Faccio notare che c’è chi è rimasto nel partito e se lo è ripreso. Ma non sono rigido: se Schlein e Speranza si vogliono iscrivere sono contento”.

Alle primarie dem negli Stati Uniti lei oggi chi voterebbe?

“Bernie Sanders. Ma vorrei che l’ala moderata e quella radicale del partito trovassero un accordo: L’importante è battere Trump”.

Lei è ordinario di Politica Economica a Pescara.

“Ma vivo tra Bologna e Roma”.

Perché? A Bologna ha una compagna-moglie-fidanzata?

“Una volta, anche. Ma ho sempre fatto parte della comunità Lgbt (e queer). Forse non credo molto nella vita di coppia. A Bologna ho molti amici e interessi. È diventata la mia città di adozione, sin dai tempi dell’Università. Essendo di Vasto e avendo ancora lì i miei genitori non ho mai pensato di andare a vivere a Pescara”.

L’infanzia a Vasto.

“In periferia. I miei genitori erano prof di liceo. Ero un bambino difficile. Mi sono salvato grazie alla passione per la storia, nata a dieci anni, in una forma quasi autistica. A dodici organizzai il mio primo sciopero a scuola. Scrissi una «Dichiarazione dei diritti dello studente» perché pioveva in aula”.

Ha fondato la prima sezione della Sinistra Giovanile di Vasto.
“Nel 1993. Sulla tessera c’era la firma di Nicola Zingaretti, che era segretario nazionale degli juniores del Pds. Terminata quell’esperienza non ho più fatto politica, fino alla nomina di qualche settimana fa. Dopo la maturità ho solo studiato. E da quando mi sono laureato in Economia, a Bologna, mi sono sempre mantenuto da solo”.

Come?

“Con una borsa di Dottorato a Pisa fino al 2003 e con assegni di ricerca fino al 2006. Sono stato anche un anno alla London School of Economics a Londra. Poi sono stato precario per quattro anni: facevo corsi a contratto a seicento euro al mese. Un periodo non facile. Di sofferenza. Ne sono uscito pubblicando articoli su riviste internazionali e conquistando un posto all’Autonoma di Barcellona”.

E’ vero che ama molto viaggiare?

“Sì, spesso da solo. Sono appena stato in Patagonia, dopo un convegno a Montevideo, in Uruguay. E prima di una conferenza a Goa, ho visitato Mumbay”.

Lei ha scritto un libro su Dubai, L’ultima utopia.

“Ma non è un volume turistico. Dubai è il luogo in cui il capitalismo si separa dai diritti dell’uomo nella maniera più sfacciata. Oggi questo è un tema enorme. Dobbiamo porci la questione della difesa dei diritti dell’uomo in maniera prevalente anche rispetto agli interessi economici. Penso ai forti interessi italiani in Egitto, che frenano l’azione del governo sul caso Regeni. E all’Arabia Saudita…”.

Renzi è stato lì per tenere delle conferenze.

“Mi risulta che Renzi abbia anche detto che l’Arabia Saudita sia una superpotenza della cultura. Beh, che lo faccia un ex presidente del Consiglio, ex leader di un partito di sinistra è davvero scandaloso. Il problema non è andare a sciare in Pakistan, uno va in vacanza dove gli pare. Il problema è che Renzi è pagato dagli italiani per fare il senatore, ma invece di stare in Parlamento fa conferenze in giro per il mondo, pagato da questi regimi autocratici, cui offre in cambio legittimità. Questo è veramente agghiacciante, per tutti quelli che credono nel valore dei diritti dell’uomo e in una politica onesta”.

Categorie : interviste
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