Roberto Speranza (7 – Gennaio 2020)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 17 gennaio 2020)

Roberto Speranza è a capo del ministero della Salute e rappresenta l’ala ultra-gauche del governo giallo-rosso. Dieci giorni fa ha gettato nello stagno della maggioranza l’idea di reintrodurre l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e di rivedere il Jobs Act. È convinto che durante questa legislatura si troverà un’intesa per approvare lo Ius Culturae. E rivendica il decreto con cui diventa operativa la legge sul biotestamento. Immediatamente prima di cominciare a srotolare dati sui risultati ottenuti nei primi cento giorni di governo, dice: «Io e il Servizio Sanitario Nazionale abbiamo appena compiuto quarantuno anni». Da venticinque Speranza sta con sua moglie Rosangela: l’ha conosciuta al liceo. Hanno due figli, entrambi con il doppio nome: Michele Simon, dove il secondo nome è ispirato a Simón Bolívar, il Libertador venezuelano, ed Emma Iris. Il ministro, invece, di nomi ne ha tre: oltre a Roberto ci sono Sandro («Mia madre era innamorata di Pertini») e Raul («Come il fratello di Fidel Castro»).

I figli, la As Roma e il tennis

Gli domando quali siano i momenti in cui dismette la casacca ministeriale per indossare quella paterna. Racconta: «Con Emma i risvegli mattutini. Con Michi… Beh siamo tifosi romanisti, abbonati in tribuna. Lui ha pianto all’addio di Francesco Totti. E pure a quello di Daniele De Rossi. Amiamo anche il tennis». Tira fuori lo smartphone e mostra una foto: «Qui siamo a Wimbledon durante la semifinale tra Roger Federer e Rafa Nadal. Michele vorrebbe diventare giornalista sportivo!. L’immagine scompare nella tasca interna della giacca. Il papà si politicizza: «I miei figli non hanno mai bevuto Coca-Cola. Non ne conoscono proprio il sapore. Le bibite gassate andrebbero limitate. Sulla sugar tax dovremmo spingere molto di più».

La sugar tax è il provvedimento più vilipeso di questo governo. E chi per primo l’ha proposto, cioè il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, ora si è dimesso.
«Fioramonti è un ragazzo di sinistra. Lo stimo molto».

«I MIEI FIGLI NON HANNO MAI BEVUTO
COCACOLA… LE BIBITE GASSATE
ANDREBBERO LIMITATE»

Speranza è uscito nel 2017 dal Pd in polemica con Matteo Renzi e, insieme con Pierluigi Bersani, ha dato vita ad Articolo 1 – MDP di cui ora è segretario. Renzi ha abbandonato i dem e ha creato Italia Viva. Perché lei non rientra nel Pd?
«Non si torna indietro. Si deve andare avanti».

Nel Pd ci sono ministri come Enzo Amendola e Peppe Provenzano che erano con lei nella Sinistra Giovanile, gli juniores dei Ds.
«Siamo amici da quando eravamo ragazzi e abbiamo la stessa cultura politica. Non c’è una ragione al mondo per cui gente come noi debba stare in partiti diversi».

Quindi…?
«È necessario dar vita a una nuova forza progressista. Insieme a chi è rimasto nel Pd».

Il Pd è vivo e vegeto.
«Il Pd non ce la fa. È marchiato da una storia politica. Serve una spinta dal basso. Dobbiamo intercettare quel che si muove tra i cittadini. Le sardine…».

Lei si sente un po’ sardina?
«Tra le sardine ci sono molti nostri elettori, compagni, ma io sono un ministro della Repubblica, non posso fare la sardina».

Lei è stato l’ultimo presidente della Sinistra Giovanile, organizzazione che chiuse i battenti nel 2007.
«Nicola Zingaretti era stato il primo. Per noi giovani Ds è sempre stato una personalità di riferimento».

Sanità: «La stagione dei tagli è finita»

Speranza ha una laurea in Scienze Politiche («Con tesi su Carlo Rosselli») e un dottorato in Storia dell’Europa Mediterranea. Per qualche mese ha lavorato nelle risorse umane della Barilla, a Parma, ma poi si è dimesso per dedicarsi full time alla politica. È entrato per la prima volta in Parlamento nel 2013 e in quella legislatura è diventato il presidente del gruppo Pd alla Camera, il più numeroso della storia repubblicana. Racconta: «Dopo dieci giorni dalla mia elezione ci fu la stroncatura della candidatura al Quirinale di Romano Prodi. È una ferita che sentiamo ancora sulla pelle. Io in modo particolare. Non credo che si rimarginerà facilmente». Ora che è ministro parlerebbe solo di sanità. Appena gli chiedo quali consideri i gol da realizzare come titolare della Salute, sfodera una piccola risma di pagine stampate. Dice: «Non amo stra-comunicare e non credo nelle bacchette magiche, ma guardi qui». Sui fogli verdi ci sono scritte bianche con i miliardi aggiunti alla spesa sanitaria, i dati sui risparmi per gli italiani in seguito all’abolizione del super ticket e i provvedimenti sul personale. Esclama: «La stagione dei tagli è finita. Ora si ricomincia a investire. E oltre agli investimenti servono riforme».

Di che tipo?
«La sanità pubblica è stata costruita sul modello ospedaliero. L’ospedale è il luogo delle emergenze. Essendosi rovesciata la piramide anagrafica — meno nascite, più invecchiamento — il modello va riformulato tenendo conto dell’esplosione delle cronicità, tipiche delle società anziane. Ecco, le cronicità si devono affrontare sul territorio».

DIRITTO ALLA SALUTE: «DIFENDERÒ
L’ARTICOLO 32 DELLA COSTITUZIONE
CON IL COLTELLO TRA I DENTI»

Usciamo dalla teoria.
«Stiamo approntando un piano per migliorare le attrezzature e i servizi dei cinquantamila studi di medicina generale e delle diciannovemila farmacie già esistenti in Italia».

Servono molti denari.
«Li abbiamo già stanziati. Ed entro la fine della legislatura troveremo dieci miliardi da mettere sul fondo sanitario nazionale. Il diritto alla salute prevale sulla tabella excel della Ragioneria dello Stato. L’articolo 32 della Costituzione parla chiaro».

Lo ricordi ai lettori.
«”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Difenderò questo articolo con il coltello tra i denti».

Il premier Giuseppe Conte è al suo fianco in questa lotta?
«Era al mio fianco alla conferenza stampa “Cento giorni per la Salute”. Devo dire che tra noi ministri, a differenza di quel che scrive la stampa, il clima è positivo».

Online circola la foto di una cena tra ministri. Roberto Gualtieri, titolare dell’Economia impugna la chitarra. Che cosa avete cantato?
«Io non ho cantato».

Gli altri?
«Mi pare Bella ciao, molte robe nazional popolari e poi Pino Daniele… Je so’ pazzo».

Categorie : interviste
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