Paolo Cirino Pomicino (7 – Luglio 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 19 luglio 2019)

Dopo avermi fatto accomodare nel salotto della sua abitazione romana, si infila in una stanzetta e ne esce con in mano una locandina. C’è stampata l’immagine di un cuore, un cuore vero. Chiedo: che cos’è? Replica: «E’ il mio vecchio cuore democristiano. Dopo il trapianto, nel 2007, me lo hanno portato in un barattolo, l’ho fotografato e gli ho detto addio». Paolo Cirino Pomicino sta per compiere ottant’anni e porta nel petto un cuore sessantatreenne. Dal 1979 in poi ha avuto vari infarti, malori, operazioni. L’ultima nel gennaio scorso gli ha portato un nuovo rene. Qualche anno fa, vedendolo ancora arzillo a parlar di politica in tv, lo scrittore Fulvio Abbate sentenziò: «Se Andreotti era il Divo, Paolo Cirino Pomicino è l’Eterno». Pomicino ha surfato sulle onde d’oro degli anni Ottanta da diccì di rito andreottiano. Ha attraversato la Seconda Repubblica navigando nell’arcipelago di micro-isole centro-centriste. Ora osserva la Terza traballare, mantenendo il culto della Prima: «La selezione della classe dirigente era darwiniana e non cortigiana, come oggi». Alle ultime Europee sono spuntati gossip su un suo accordo elettorale con il democratico Nicola Zingaretti. Lui nega: «Gli ho solo detto che avrei votato Pd». Ma ammette di apprezzare la democrazia interna piddina e l’idea zingarettiana di una Costituente delle idee. Quando gli faccio notare che appena il suo nome è stato accostato al Pd sono spuntati articoli che citavano i suoi guai giudiziari tangentopolisti, Pomicino comincia a elencare i processi che lo hanno visto assolto e a descrivere i suoi diciassette giorni di carcere: «Ho le spalle larghe». Spiega: «Rivendico di aver contribuito a finanziare la politica democratica del Paese. Nessuno dei deputati e dei senatori di allora, si è arricchito. I soldi servivano per le campagne elettorali. Una volta ero in tv con l’ex pm Antonio Di Pietro e ho sbottato: “Facciamo un confronto tra il mio e il tuo patrimonio. Tra i nostri redditi. Siamo stati entrambi dipendenti pubblici, ministri della Repubblica, parlamentari… Vediamo chi di noi ha rubato, se qualcuno ha rubato”. Calcoli che né io né le mie figlie abbiamo case di proprietà, nemmeno a nostra insaputa». Sbuffa: «I partiti ormai non hanno più una bussola, una visione rispetto alle sfide del Terzo Millennio».

Matteo Salvini, leader della Lega, una visione sembra averla: meno tasse, più muri.

«Salvini? E’ il giorno per giorno come cultura di riferimento. E’ il bullismo eletto a chiave di volta dell’azione politica».

Agli italiani piace: ha appena preso il 34% alle Europee.

«Sarà travolto dalla realtà. Oggi è la realtà l’opposizione più efficace al governo».

Salvini è maestro di comunicazione politica.

«Anche il male si può fare bene. Faccio una valutazione statistica: tutti i segretari di partiti personali nello spazio di pochi anni sono caduti. Un partito è tale se ha un gruppo dirigente interfungibile».

Cioè?

«Adatto a più ruoli. Nei partiti personali solo il leader può aspirare alla carica di Presidente del Consiglio. Noi avevamo sei o sette nomi adatti alla premiership, otto o nove per gli Esteri…».

Noi chi?

«La Dc. E in generale i partiti della Prima Repubblica. La nostra regola era che chi stava al governo non poteva avere incarichi di partito».

Amintore Fanfani e Ciriaco De Mita furono contemporaneamente segretari della Dc e Presidenti del Consiglio.

«In maniera transitoria».

Luigi Di Maio è Capo politico del M5S, vice premier, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico.

«Il nulla, sintatticamente imperfetto».

C’è chi sostiene che Di Maio abbia un animo democristiano.

«Lo ha detto Bruno Vespa perché Di Maio usa toni più moderati di Alessandro Di Battista. Ma forse Vespa ha dimenticato l’ideale diccì. In realtà credo che la Lega e il M5S abbiano elettorati diversi ma seguano lo stesso modello autoritario: padri-padroni e poca classe dirigente. Lo sa che in Italia sono ventisette anni che l’economia è retta da un tecnico? L’ultimo ministro politico sono stato io».

La vulgata vuole che i governi diccì della fine della Prima Repubblica siano quelli che hanno causato l’esplosione del debito pubblico.

«Non è vero. Qualche anno fa Mario Draghi mi chiamò per dirmi che secondo la società italiana degli economisti il primo governo che ha cominciato a risanare i conti pubblici è stato quello in cui io ero ministro del Bilancio, con Andreotti premier».

Quando la presiedeva lei, la Commissione Bilancio di Montecitorio era soprannominata “sportello Pomicino”.

«Non lo era. Chiedevo ai partiti, anche a quelli di opposizione, quali fossero i loro punti irrinunciabili, e pur mantenendo la linea economica della maggioranza, cercavo di accontentare tutti. E’ un principio degasperiano: quando si governa, non lo si fa solo pensando ai propri sostenitori, ma a tutti».

Sta per compiere ottant’anni. Un’immagine per ogni decade vissuta. Da zero a dieci anni…

«Mia madre che mi sorprende sotto a un tavolo mentre cerco di strozzarmi a causa di una delusione scolastica».

Da dieci a venti.

«Il silenzio che cala in chiesa perché io, balbuziente, non riesco ad andare avanti nella lettura del Vangelo».

Dai venti ai trenta.

«Il mio primo intervento pubblico, a occhi chiusi».

Da politico?

«No, ero assistente neuro-chirurgo e parlavo a un’assemblea di medici. Entrai in politica nel 1970, come consigliere comunale a Napoli».

Dai trenta ai quaranta?

«Il primo congresso da delegato Dc, nel 1973. Il garbo con cui Fanfani fa capire ad Andreotti che è stato fregato durante una riunione notturna».

Dai quaranta ai cinquanta?

«L’apertura della prima conferenza europea dei presidenti delle Commissioni Bilancio. E la prima partita della Nazionale di calcio dei parlamentari».

Cinquanta-sessanta.

«I processi. Ne ho avuti quarantadue e ho assistito, anche intervenendo, a tutte le udienze».

L’ultima decade.

«Il matrimonio con Lucia, nel 2014».

Lucia Marotta, che ha ventisette anni meno di Pomicino, ogni tanto si affaccia nel salone dove si svolge l’intervista. Quando si sono conosciuti era amica di una delle due figlie che lui ha avuto dal primo matrimonio. Pomicino: «Abbiamo saltato i dieci anni tra i sessanta e i settanta. L’immagine…».

Davo per scontato che fosse il trapianto del cuore.

«Ci sono anche due elezioni vinte da anginoso».

Lei è in contatto con la famiglia della persona che le ha donato il cuore?

«Certo. Siamo amici. Ci vediamo con la figlia del donatore nel giorno dell’anniversario del trapianto. E’ un pranzo pieno di pianti».

Categorie : interviste
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