Lorenzo Fioramonti (7 – Dicembre 2019)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 6 dicembre 2019)
Lorenzo Fioramonti è il ministro pentastellato dell’Istruzione. Ha quarantadue anni, un corposo curriculum accademico e un insolito attivismo mediatico. Lo rivendica: «Penso che un ministro abbia anche il ruolo dell’ opinion maker ». È diventato celebre perché vuole infilare lo sviluppo sostenibile nei programmi scolastici, perché sostiene di preferire le mappe del mondo ai crocifissi nelle classi e perché voleva introdurre la Sugar Tax, la cosiddetta tassa sulle merendine. Dopo qualche minuto che stiamo parlando del M5S dice: «Il Movimento ha subìto uno snaturamento dovuto a un’attenzione eccessiva ai sondaggi e al concentrarsi su alcune tematiche importanti ma non dirimenti».
Quali sarebbero queste tematiche?
«Il taglio dei parlamentari, i vitalizi…».
Le vostre battaglie di bandiera.
«Giustissime e indispensabili. Ma non costituiscono una visione di Paese. Ci si
ottiene un consenso trasversale, a destra e a sinistra, poi però quando si
tratta di governare, vengono al pettine i nodi creati dall’aver tenuto insieme
persone con visioni opposte del Paese».
Fioramonti ha ricoperto il ruolo di viceministro ai tempi della maggioranza giallo-verde. Ora spiega: «L’anno di governo con la Lega ci ha logorati. Su molte questioni avremmo dovuto avere il coraggio di dire “no”».
Quali questioni?
«I decreti sicurezza, la legittima difesa, il caso Diciotti…».
Lei che cosa ci sta a fare in un M5S
snaturato, logorato e con poco coraggio?
«Cerco di portare avanti i contenuti e la filosofia primordiale del Movimento,
che nacque progressista e ambientalista. Se questa filosofia dovesse venire a
mancare, faremo dei ragionamenti».
Una scissione? La creazione di un’altra
creatura politica?
«Intanto provo a far ragionare il Movimento di cui faccio parte, poi si vedrà».
Alcuni retroscena la indicano come leader
alternativo a Luigi Di Maio.
«Non ho questa ambizione. Ma secondo me il M5S, oltre a una carenza di visione
del Paese, ha anche un problema di organizzazione interna. C’è un bellissimo
studio degli anni Settanta di Jo Freeman che si chiama La
tirannia dell’assenza di struttura: spiega che
nei movimenti che si dicono fluidi, in cui si racconta che tutti partecipano e
però c’è un solo leader, in realtà a decidere sarà solo il leader e chi gli sta
intorno».
«MI CHIEDO: CHE RELAZIONE C’È TRA NOI E
UN’AZIENDA PRIVATA CHE NON SI CAPISCE
A QUALE TITOLO GESTISCE PARTE DELLE NOSTRE
RISORSE E CHE SI INSERISCE NELL’AGENDA POLITICA?»
Sembra descrivere proprio il M5S.
«Oggi servirebbe una struttura. Serve un radicamento sul territorio e idee
chiare di partecipazione non solo digitale. Mi chiedo: che relazione c’è tra
noi e un’azienda privata che non si capisce a quale titolo gestisce parte delle
nostre risorse e che si inserisce nell’agenda politica?».
Boom. Si riferisce alla Casaleggio
Associati?
«Va benissimo un server provider che ci fa il sito web, ma questa situazione
dimostra che il problema più che la leadership, è l’organizzazione del
Movimento».
Lei come si è avvicinato al M5S?
«Attraverso i meet up bolognesi ai tempi dei primi V-day. Poi un paio di anni
fa, Giorgio Sorial, ex parlamentare Cinque Stelle, che aveva letto il mio
libro Presi per il Pil, mi ha invitato a presentarlo a Montecitorio».
Nel suo profilo Facebook sono stati
trovati insulti del 2013 contro Daniela Santanchè e altri personaggi pubblici.
Roba da haters grillini.
«Non ero un attivista Cinque Stelle, ma un semplice cittadino. È passato molto
tempo e, in ogni caso, non vado fiero dei toni. Ho già chiesto scusa in
pubblico e in privato».
Ha tuttora un buon rapporto con Beppe
Grillo?
«Sono sempre stato un suo fan e lo considero un grande visionario. Ci siamo
sentiti al telefono qualche giorno fa. Si voleva complimentare per la proposta
di introdurre lo sviluppo sostenibile tra le materie di studio. Quando Grillo
ha capito che ero un po’ frustrato per come vengo trattato, mi ha rassicurato:
“Non ti preoccupare. È il problema di noi elevati”. Solo in Italia un
provvedimento sulla didattica ecologista è considerato folkloristico».
Quando comincio a citare i commenti ironici dei suoi detrattori il ministro si sfoga: «Greta Thunberg ha fatto un tweet per complimentarsi con me. Ho ricevuto l’ endorsement di Bernie Sanders. Grazie a questa proposta sono stato invitato alla conferenza dell’Onu sui cambiamenti climatici COP25 di Madrid. E il settimanale tedesco Stern ha scritto: “Ecco perché la Germania ha bisogno di un ministro così”. L’economia ecologica nel mondo è mainstream ed è candidata al Nobel, qui è ridotta a macchietta, con un ambientalismo spesso ancillare. Se è vero che siamo entrati nella sesta estinzione di massa, questi dovrebbero essere argomenti centrali in ogni decisione politica».
Lei ha proposto la tassa sulle merendine.
«Ho proposto la Sugar Tax. Il Green New Deal deve passare attraverso un fisco
intelligente, altrimenti è fuffa. Ho seguito un principio elementare:
rimodulare l’Iva aumentandola sui prodotti dannosi per la salute e per
l’ambiente e diminuendola su altri prodotti. Più alta quella sulle bevande
zuccherine e sui voli aerei, più bassa quella sui pannolini. E lo sa perché è
saltata quest’idea di rimodulazione green del fisco?».
Perché?
«Perché Renzi si è opposto e Di Maio, invece di dire “Renzi non capisce nulla”,
gli è andato dietro. Avremmo dovuto tenere la barra dritta».
Lei quanto è ambientalista?
«Quando vivevo a Pretoria avevo una casa completamente ecosostenibile:
riciclavo l’acqua piovana e la usavo per irrigare l’orto, l’energia veniva dai
pannelli solari. Mia moglie oltre che vegana è anche un’attivista plastic free
».
Sua moglie Janine, tedesca.
«È bilingue, tedesco e spagnolo».
È vero che discutete in inglese?
«Viene spontaneo. Ma io parlo in inglese anche con i miei figli, Damiano che ha
nove anni e Lukas che ne ha cinque».
Davvero? E perché?
«Ho sbagliato a dirlo? Tranquillizzo tutti: ho sempre parlato loro in italiano.
Quando ho visto che lo sapevano bene, visto che con la madre parlano spagnolo,
ho preferito tenere in allenamento l’inglese».
CON I FIGLI DI 9 E 5 ANNI PARLA IN
INGLESE:
«HO VISTO CHE L’ITALIANO LO SANNO BENE E
ALLORA LI TENGO ALLENATI SU QUELLA LINGUA»
Le hanno rinfacciato di mandarli nelle
scuole private, invece che nelle pubbliche.
«Frequentano da sempre scuole internazionali, in giro per il mondo. E ormai la
loro continuità didattica e curriculare è legata a quel percorso. Ora comunque
vivono in Germania. Con Janine, che deve seguire un po’ i suoi anziani
genitori, abbiamo deciso di tenerli lontani dai casini della nostra politica. Li
raggiungo appena posso».
È per questo che, come ha raccontato
durante la trasmissione Otto e mezzo , le capita di dormire spesso sul divano
nella sua stanza ministeriale?
«Sì. A volte è più comodo che raggiungere casa, che si trova ai Castelli».
Perché, invece di usare un’abitazione
romana che spetta a ogni ministro, ha una casa a sud-est della Capitale?
«Mio padre vive a Zagarolo e i miei fratelli a Frascati. Io sono collocato in
quella zona. Sono cresciuto a Tor Bella Monaca».
Quartiere della zona sud-est di Roma,
appunto. Mi racconti la sua infanzia.
«Papà era medico di pronto soccorso, mamma insegnava alle medie. Un’infanzia
nella norma».
Miti giovanili?
«Poca roba. Giocavo a pallamano, allo Scientifico ero rappresentante d’istituto
e scrivevo per il giornalino della scuola La
finestra sul cortile».
A vent’anni flirtava con l’IdV di Antonio
Di Pietro.
«Sì, durante gli anni dell’Università a Tor Vergata».
Master a Siena e dottorato a Fiesole.
«In mezzo il servizio civile internazionale a Gand, in Belgio».
A Gand?
«Non ero mai uscito dall’Italia. Mi sembrava un buon modo per andare
all’estero. Finii in una Ong ambientalista: sgobbavo nel loro bed and
breakfast. La sera piangevo, chiamavo mia madre… non pensavo che sarebbe
stata così dura».
DI UNA COSA VA FIERO: «IL TWEET
DI GRETA PER COMPLIMENTARSI CON ME»
Il suo curriculum la vede rimbalzare da
Londra all’Università di Pretoria, in Sud Africa, passando per Heidelberg in
Germania. Il momento più duro da espatriato?
«Il momento più duro in realtà l’ho vissuto a Bologna, nel 2009. Janine era
incinta. Io rischiavo di diventare disoccupato per aver sfidato l’Università
presentandomi al concorso contro la richiesta avanzata dallo stesso
dipartimento di non mettere in imbarazzo la commissione che doveva portare
avanti un altro candidato. Avevamo investito tutti i nostri risparmi per
costruire un’abitazione/centro di ricerca sullo sviluppo sostenibile, ma il
terreno era andato distrutto durante i lavori per la variante di valico…».
Come ne uscì?
«Con un’offerta molto ben retribuita che arrivò da un’università tedesca».
Ora è ministro dell’Istruzione. Qual è il
gol che vorrebbe realizzare entro la fine del mandato?
«Portare la scuola al centro della programmazione economica del Paese. La
scuola come modello di sviluppo».
Spesso, oggi, il dibattito pubblico sulle
scuole, è fatto di classifiche tra istituti. Lo sa che ci sono dirigenti
scolastici che dicono agli studenti «se non siete in grado di tenere il ritmo
del nostro istituto vi consigliamo di abbandonare»?
«Spero che non sia vero. È un fenomeno che si chiama self-selection bias: si
selezionano alla base i più bravi per dimostrare che la scuola è buona. Ma la
scuola ha un senso se accoglie chiunque e lo rende competente, se riattiva un
ascensore sociale che in Italia è fermo da troppo tempo».
Lei ha detto che lascerà il ministero se
non ottiene un aumento della spesa per la scuola di tre miliardi di euro.
«Ci sto lavorando, milioncino dopo milioncino. E mi importa poco di che cosa
accadrà a me».
Davvero se ne andrà se non ottiene fondi adeguati?
«O colgo l’occasione per portare un cambiamento oppure è davvero inutile
restare al ministero a scaldare la poltrona».