Fabiana Dadone (7 – Ottobre 2019)

0 commenti

(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 11 ottobre 2019)

«Ministro, ministra… E’ indifferente. Mi chiami come vuole». Fabiana Dadone da circa un mese è a capo del dicastero della Pubblica Amministrazione. E’ una pentastellata in purezza. Ha trentacinque anni, un figlio di tre che si chiama Primo e un compagno albanese di nome Ergys. Al giuramento nei saloni quirinalizi erano presenti entrambi i suoi genitori, tutti e due ex dipendenti pubblici: il padre ferroviere, la madre insegnante. Racconta: «Durante il discorso d’insediamento alla Camera erano tutti in tribuna, tranne Primo. L’ho dovuto lasciare qualche ora nei locali del gruppo parlamentare. Quando il premier Conte ha parlato di asili nido, l’ho sentito particolarmente vicino».

Perché?
«Mio figlio vive con Ergys e con i nonni a Mondovì, perché io qui non riuscirei a dedicargli l’attenzione dovuta e non saprei a chi appoggiarmi. Lo vedo nei weekend, comunichiamo con videochiamate e ricevo costantemente aggiornamenti fotografici».

Dadone parla con una cadenza ibrida tra il cuneese e il tarantino, ha un piccolo piercing sulla narice sinistra e i polsi cerchiati da bracciali portafortuna: «Non li tolgo mai. Vede questo? Ha agganciata la fede nuziale di mio nonno Pasquale: settantaquattro anni di matrimonio. La custodisco come buon auspicio».

Buoni auspici. Lei vorrebbe uscire da questo ministero lasciando una Pubblica Amministrazione…
«… digitale e con dipendenti ben formati e fieri».

Fieri?
«Vorrei attrarre nella PA le risorse migliori che escono dalle Università. E vorrei che si uscisse dall’ottica tutta negativa e punitiva per cui parlare di dipendenti pubblici vuol dire solo occuparsi di fannulloni e di furbetti».

I fannulloni e i furbetti esistono.
«Chi sbaglia va punito. Ma chi lavora bene va valorizzato. Illudersi che sia sufficiente controllare gli ingressi dei dipendenti con cartellini e con impronte digitali per far funzionare la macchina dello Stato è folle. Se un dipendente una volta entrato in ufficio non è motivato, farà poco. Serve un approccio culturale diverso: vorrei che i ragazzi invece di andare all’estero desiderassero diventare il braccio appassionato di uno Stato efficiente».

Questo governo ha promesso il Green New Deal. Lei ha annunciato di voler rendere la PA ecosostenibile.
«La prima cosa che ho fatto qui al ministero è stata abolire la rassegna stampa cartacea. Un tomo quotidiano enorme. Ora arriva su WhatsApp».

Lei è green anche nella vita quotidiana?
«Credo gandhianamente che si debba essere il cambiamento che si vuole vedere nel mondo».

Traduciamo. Che automobile ha?
«Un’utilitaria a gas».

Segue il decalogo ambientalista di Al Gore?
«Mia madre mi ha insegnato a non sprecare l’acqua. Mi viene naturale».

Mangia molta carne?
«Poca. E uso quasi tutta frutta e verdura di stagione a chilometro zero. Per me è abbastanza semplice: sono cresciuta in campagna, i miei hanno l’orto, mio padre fa ancora il vino e l’aceto».

La sua infanzia in campagna.
«Ho vissuto molti anni a Gratteria, una frazione di Mondovì con cento anime».

Adolescenza politicizzata?
«Adolescenza da adolescente. Tanta musica. Molti concerti».

La band di riferimento?
«I Satanic Surfers, roba alternative metal. L’anno scorso sono stata a una loro reunion, a Milano».

Lei suona?
«Suonavo la batteria in un gruppo che non ha fatto in tempo a darsi un nome. Facevamo soprattutto pezzi dei Sex Pistols».

Letture di riferimento?
«Non amo i romanzi. Se devo dare un titolo è Il giusto uso della volontà di Ceanne DeRohan».

Sport?
«Poco. A ventisette anni un po’ di Savate, che è una specie di kick boxing».

È vero che ha fatto molto volontariato?
«Nella Giovanni XXIII, la comunità di don Benzi. Per due anni mi sono occupata della tratta di esseri umani».

Migranti?
«Soprattutto donne, costrette alla prostituzione: ho visto bambine portate qui col sogno di un lavoro e poi buttate per strada, sottomesse psicologicamente con riti Voodoo… le ho viste diventare aguzzine delle proprie amiche. È un’esperienza che consiglio a chi vorrebbe riaprire le case chiuse».

Lei è contraria?
«Certo. Uno Stato che non ti sa offrire altro se non la possibilità di vendere il tuo corpo, è uno Stato che ha fallito. Lo Stato non deve lasciare indietro nessuno. Questo è un principio fondamentale dei Cinque Stelle».

Lasciare indietro. Lei è stata nella maggioranza di un governo, quello giallo-verde, che ha chiuso i porti alle imbarcazioni cariche di disperati.
«Quello dei migranti è un discorso che non si può affrontare con slogan. Gli sbarchi vanno gestiti. La tratta delle ragazzine è aumentata con gli arrivi via mare. Servono controlli rigidi».

«NEL 2011 UN MILITANTE MI HA AVVICINATA DURANTE
UN VOLANTINAGGIO SOTTO I PORTICI DI MONDOVÌ, ABBIAMO
PARLATO E HO COMINCIATO A FREQUENTARE I MEETUP»

Fedele alla linea. Quando si è avvicinata al Movimento Cinque Stelle?
«Nel 2011. Un militante mi ha avvicinata durante un volantinaggio sotto i portici di Mondovì, abbiamo parlato e pochi giorni dopo ho cominciato a frequentare i meetup».

Prima di allora aveva fatto politica?
«No. Votavo Italia dei Valori. Ed ero stata a un paio di spettacoli di Beppe Grillo».

Che mestiere farebbe se non fosse ministro e parlamentare?
«Sono praticante in uno studio legale di Ceva, cittadina del cuneese».

Praticante?
«Mi manca l’esame per l’abilitazione da avvocato. Ci sono andata vicino, ma nel 2013 sono entrata in Parlamento e non ho avuto tempo di occuparmi di altro. Ho seguito dossier complessi: una proposta di legge elettorale proporzionale, i referendum propositivi…».

Si dice che nel Movimento lei sia vicina a Roberto Fico, presidente della Camera.
«Fichiana, amica di Alessandro Di Battista, ma non lontana da Luigi Di Maio. Se ne dicono tante. Sono del M5S».

Di Maio è ancora un solido capo politico?
«È stato riconfermato da poco in questo ruolo con l’80% dei voti dei nostri iscritti, dopodiché…”.

Dopodiché…?
«… il Movimento si deve dare una struttura. E ci stiamo lavorando».

Categorie : interviste
Leave a comment