Roberto Calderoli (7 – Luglio 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 12 luglio 2019)

La sua prima volta in Parlamento risale al 1992. Decano del leghismo, Roberto Calderoli, 63 anni, è stato Segretario nazionale lombardo, “saggio della baita”, ideatore di federalismi spericolati, triumviro, ma anche urlatore da sagra del Carroccio e battutista sguaiato contro i musulmani, i terroni e gli omosessuali. È uno stimatissimo vicepresidente del Senato, minuzioso gestore dell’Aula, e allo stesso tempo provocatore ridens con tanto di insulti indicibili. Il paragone con un orango dedicato all’ex ministra lettiana Cécile Kyenge gli è costato una condanna in primo grado per diffamazione con l’aggravante dell’odio razziale. Per descrivere la natura calderoliana, Rina Gagliardi, senatrice di Rifondazione comunista scomodò Robert Louis Stevenson: «Quando presiede, da mister Hyde torna ad essere il dottor Jekyll». Lo incontro nella sua stanza di Palazzo Madama. Jeans, giacca e cravatta. Essendo un navigatore consumatissimo dei mari burrascosi della politica italiana gli chiedo se il governo giallo-verde durerà o se ci sono elezioni in arrivo. Prima dichiara: «Reggiamo per altri quattro anni. Credo che possa essere un governo di legislatura». Poi, però, quando lo invito a tirar fuori il suo cuore bergamasco in un gioco politico-calcistico, si lascia sfuggire una battuta rivelatrice.

Meglio l’Atalanta vittoriosa in Champions League o Matteo Salvini premier?

«Perché dovrei scegliere? Perché dopo il primo non può arrivare il secondo e poi il dolce?».

Quale sarebbe il primo?

«Salvini premier».

Questo vuol dire che l’Atalanta dovrebbe attendere le elezioni, quindi quattro anni, prima di vincere la Champions.

«La legislatura non si interrompe mica con un cambiamento del Presidente del Consiglio!».

Lei è stato tre volte ministro di governi berlusconiani. Come mai non accelerate per ricostituire una maggioranza omogenea di centrodestra? I sondaggi sono dalla vostra parte.

«In un anno abbiamo avviato la flat tax, dato una forte stretta sull’immigrazione, superato la legge Fornero, ora partono le autonomie… Tutte queste cose le avremmo fatte se fossimo stati alleati con gli altri del centrodestra? E le riforme che vogliamo ancora realizzare?».

Si dia una risposta.

«Penso proprio di no. Quindi dico: andiamo avanti. Squadra che vince non si cambia. Ogni tanto con i Cinque Stelle emergono alcuni nodi, ma è normale».

Nodi salviniani: Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio porta avanti i mini-Bot, Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, li ha stoppati.

«L’emissione di titoli di piccolo taglio per i pagamenti della Pubblica Amministrazione è prevista dal contratto».

Voi leghisti siete fissati con lo stampar titoli e col battere moneta. Lei stesso nel 2005, a Pontida, aveva proposto l’introduzione del “calderolo”, una valuta locale.

«Quella era un’altra storia. Ora, se la Pubblica Amministrazione non paga, le imprese rischiano di saltare. E questo non lo possiamo permettere. Salvini ha ribadito che i debiti in qualche modo vanno pagati».

Una definizione per Matteo Salvini.

«Un guerriero». È anche un comunicatore feroce. La differenza fondamentale con Umberto Bossi? «Ai tempi di Bossi o avevi dietro i giornali e le tv o ti vedevano in pochi nelle piazze. Oggi Salvini ha a disposizione canali forti, come Internet e i social network, non controllati dai grandi gruppi editoriali».

Umberto Bossi…

«E’ come un fratello maggiore, a cui voglio molto bene. Il mio vero inizio politico è stato con lui».

Quando si occupava delle espulsioni dal partito per conto del Senatùr, lei proclamò: «Se Umberto chiede di espellermi, io mi espello». La leggenda però vuole che nell’aprile 2012 fu proprio lei a chiedere a Bossi di dimettersi da Segretario federale per il bene della Lega.

«Eravamo nel suo ufficio di via Bellerio. Lui non era d’accordo. Alla fine è stata una scelta giusta».

Gli esordi con Bossi.

«Ricordo un cazziatone furioso a Dalmine, in una pizzeria. Io ero consigliere comunale a Bergamo e avevo posizioni contrastanti rispetto al capogruppo Gisberto Magri che mi sembrava troppo sinistrorso. Umberto diceva che dovevo obbedire, ma in fondo avevo ragione io».

L’immagine che le piace ricordare di lei con Bossi?

«Noi due, nel 1996, su un’imbarcazione a Venezia, dopo aver raccolto l’acqua del Po alla fonte, sul Monviso… La catena umana sulle rive del fiume, l’approdo alla Riva degli Schiavoni e la dichiarazione di indipendenza della Padania».

Come si è avvicinato al secessionismo nordico?

«L’ho respirato in casa sin da piccolo. Mio nonno era uno dei fondatori del Mab, il Movimento autonomista bergamasco…».

… di cui era celebre lo slogan: «Bergamo nazione, tutto il resto è Meridione» …

«Avrò avuto quattro o cinque anni, e ricordo le riunioni in uno studiolo a cui partecipavano gli altoatesini, che lottavano per l’indipendenza a colpi di bombe, i valdostani… era un piccolo covo».

I Calderoli, dinastia di dentisti…

«Se il tuo dente g’à il caroel, devi andar da Calderoel. Il caroel è un vermicello che mangia le ciliegie, sarebbe la carie. Mio nonno, i miei zii, mio padre… alcuni facevano gli odontotecnici».

Un destino segnato. Che studi ha fatto?

«Medicina. E prima il Liceo Classico. Al terzo anno venni rimandato in greco perché disertai un compito in classe per partecipare a una prova dei campionati europei di moto».

Incidenti gravi in gara?

«Una volta, dopo un salto in moto sono rimasto appeso a un albero. Sono stato anche pilota di rally e mi sono spaccato un polso dopo aver preso male una curva a causa di un guasto al carburatore».

Corre ancora?

«Mi chiamano ogni tanto come apripista».

Sottopongo a Calderoli il tweet con cui Salvini nel 2014 criticava il Renzi impegnato a portare le Olimpiadi a Roma e lo confronto con quello di giubilo per l’assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 a Milano e a Cortina. Domando: c’è una contraddizione? Calderoli mantiene la linea: «No. Basta vedere come è ridotta Roma. Il degrado è ovunque, prima di pensare ai Giochi olimpici nella Capitale bisogna risolvere altri problemi». Calderoli è decisamente fedele alla linea, anche sul tema sbarchi e porti chiusi. Lo solletico su alcuni trascorsi folcloristici del suo leghismo: il primo matrimonio con rito celtico, i lupi che frequentavano la sua casa di Mozzo, nel bergamasco, il tigrotto che teneva in giardino a inizio anni Novanta e di cui si disfece dopo che il felino aveva azzannato un suo cane. Sorride. Provoco: «Alcune sue esternazioni sono roba da barbari». Replica: «Per lei barbaro è un insulto, per me è un complimento». Mi comunica che a breve dovrà tornare in Aula e ne approfitto per parlare dell’intervento in Senato del marzo scorso, con cui annunciò la sua lotta contro i tumori.

È vero che ha subìto sei operazioni?

«Credo siano di più. Dopo la sesta ho smesso di contare. L’ultimo ricovero è stato ad aprile scorso».

Quando le è stato diagnosticato il primo tumore?

«Nel 2012. Ero stato ricoverato per un ascesso che sembrava causato da un’appendice anomala. Mi operarono d’urgenza al colon. Ma ormai il male era in metastasi, in giro. Negli anni successivi ho saputo che alcuni ragazzi incontrati in corsia sono morti. La fede mi ha aiutato ad andare avanti. E non ho mai perso la convinzione che alla fine ce l’avrei fatta».

Dove si fa curare?

«Pur essendo ancora dipendente in aspettativa nell’ospedale di Bergamo, non sono mai stato ricoverato nella mia città. Sono in cura da un professore di Padova. Alla somministrazione degli anticorpi per l’immunoterapia, però, ci penso da solo. Attualmente una volta ogni tre settimane: ho tutta l’attrezzatura per infilarmi il tubo in pancia».

E’ vero che le è capitato di dirigere l’aula del Senato con indosso il drenaggio?

«Sì. Ero abilissimo a nasconderlo sotto alla giacca, con la sacca annessa, e a procedere come se nulla fosse. È fondamentale continuare a vivere normalmente. Chi si ripiega sul proprio male rischia di spegnersi».

Categorie : interviste
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