Nichi Vendola (7 – Agosto 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 9 agosto 2019)

Nichi Vendola, sessant’anni, due volte presidente della Regione Puglia ed ex leader di Sel, dal 2016, insieme con il compagno Ed, è padre arcobaleno di Tobia, bambino nato attraverso «gestazione per altri». Vendola è un oratore funambolico, scrive poesie e piroetta con le parole. Quando gli faccio notare che la «gestazione per altri» viene comunemente chiamata «utero in affitto», racconta: «Abbiamo tradotto “utero in affitto” sia alla ragazza che ci ha donato l’ovulo sia a quella che ha partorito Tobia. Entrambe sono rimaste sbalordite e indignate per la violenza e la volgarità dell’espressione». Obietto che in tanti, anche a sinistra, criticano la possibilità di pagare delle donne per portare avanti la gravidanza di un figlio da cui si separeranno al momento del parto.

Si parla di deriva mercantile o capitalistica della famiglia.
«Il matrimonio, nella storia umana, è stato prevalentemente un contratto economico: le famiglie si sono formate al buio o con promessi sposi che magari si conoscevano per la prima volta sull’altare. La famiglia è stata anche un luogo di coercizione e di violenza. La famiglia non è un feticcio né un’icona pubblicitaria. La famiglia è l’idea singolare di una cosa che si declina sempre al plurale, le famiglie…».

Ha mai avuto ripensamenti sulla scelta di avere un bambino con la “gestazione per altri”?
«No. Certamente è stata la scelta più impegnativa e la più difficile della mia vita. Ma anche la più bella».

Tobia ha già conosciuto le donne che lo hanno fatto nascere?
«Farà da paggetto al matrimonio della ragazza che ha donato l’ovulo e presto conoscerà quella che lo ha partorito. Sono entrambe parte della nostra famiglia».

Se un giorno suo figlio tornasse da scuola in lacrime preso in giro da un compagno perché non ha una mamma?
«Se conoscesse Tobia non mi farebbe questa domanda. Lui conosce e ama due padri. Ama ciascun papà di un amore speciale. È un bambino solare e socievole. Nei modi e nei tempi giusti saprà tutta la verità su come è venuto al mondo. Una cosa è certa: se non lo avessimo voluto noi, Tobia oggi non esisterebbe».

La giornata della vostra famiglia.
«Sveglia presto. Mezz’ora di gioco e di coccole nel letto. Colazione tutti insieme. Poi con papà Ed di corsa all’asilo. Nel pomeriggio vado io a prendere Tobia a scuola e lo porto a zonzo per la città: parliamo tantissimo di animali, contempliamo giocattoli e ogni tanto ne compriamo uno. Ed sostiene che dovrei sostituire l’espressione “0gni tanto” con “molto spesso”. Poi torniamo a casa. Cartoni animati, cena e a nanna con annessa storia da raccontare. Da poco comincio a sussurrargli parole in rima».

Lei è anche poeta.
«Con Tobia siamo alle prime filastrocche: C’era una volta una piccola bocca/che raccontava una filastrocca… ».

Le prime parole di suo figlio?
«È un chiacchierone. È in fase “Perché?”. Qualche giorno fa giocando con un mappamondo mi ha chiesto se esiste anche il mappastelle».

Vendola, padre pacifista e non violento alle prese col maschietto che chiede spade e pistole.
«La prima volta che ha indicato una spada giocattolo mi sono irrigidito. Poi ho ceduto. Ora è un continuo di battaglie campali, guerre coi cuscini, ragnatele di Spiderman…».

Lo vizia?
«Con moderazione».

Si dia un voto come padre.
«Ed è un padre straordinario, premuroso, attento a ogni dettaglio, rispettoso dell’indipendenza di Tobia. Io… sono molto innamorato, punto».

Com’è l’occhio degli altri sulla vostra famiglia?
«C’è sempre tanta curiosità. C’è molto rispetto».

Una volta ha detto che per strada ricevete affetto, mentre sui social network molti insulti.
«Verissimo. Ho molta pena per lo stile da serial killer che dilaga sui social. Ci vorrebbe la penna di Italo Svevo, o quella di Luigi Pirandello, per raccontare questa umanità che si conforma all’odio e al disprezzo e che così si sente risarcita delle proprie frustrazioni. La cosa più grave è che la costruzione della lotta politica oggi si faccia anche organizzando eserciti di odiatori compulsivi e di diffusori di fake news che occupano militarmente la Rete».

Al governo ci sono ministri che vorrebbero negare il diritto di esistere alle coppie omosessuali…
«Al governo oggi c’è “la peggio gioventù” dell’Italia post-democratica, una élite incolta e irresponsabile che gioca col fuoco del razzismo e della xenofobia, che considera i diritti civili roba da radical chic. Al governo ci sono i nemici della laicità e del pluralismo, una piccola famelica casta di arrampicatori sociali, di imbonitori mediatici, di manipolatori professionali… Sono il peculiare laboratorio nazionale di quel fenomeno internazionale che è il radicalismo identitario e xenofobo della destra sovranista. In questo melmoso contesto la subalternità grillina al califfato di Salvini è la cosa più disgustosa e oggettivamente imbarazzante della politica italiana».

L’Italia salviniana è quella in cui Tobia vivrà la sua infanzia.
«Auguro di cuore all’Italia che la parabola del potere di Salvini duri molto meno dell’infanzia di mio figlio».

Dipende anche dalle alternative in campo. Nicola Zingaretti, leader del Pd, è la persona giusta per far rinascere un centrosinistra competitivo?
«Nicola ha attraversato la palude del potere rimanendo una persona pulita: e di questo gli va dato atto. Ma non ha il coraggio politico necessario alla rifondazione di una sinistra efficace e vincente: sembra tutto occupato a tenere insieme i cocci di un partito che è ormai sfranto… Oggi occorrerebbe la forza di un sogno che disveli la miseria dell’incubo salviniano…».

Lei e Zingaretti eravate insieme nella Fgci, i giovani comunisti italiani.
«Ricordo Nicola che era ragazzino, casa Zingaretti, Luca alle prime fatiche teatrali…».

Ricordi. Il gioco delle decadi. Un’immagine per ogni decennio vissuto. Da zero a dieci?
«Terlizzi, la cittadina pugliese dove sono cresciuto. Ho sei anni. È domenica mattina e si commemora un martire delle Fosse Ardeatine. Cerco papà. Lo trovo a braccetto con Pietro Ingrao. Ingrao mi dà una carezza e dice: “Preparati a diventare un buon comunista”».

Ha mai ricordato l’aneddoto a Ingrao?
«Sì. Quasi quarant’anni dopo. E chiosò: “Oggi non direi queste cose a un bambino”».

Dai dieci ai venti anni.
«1975, trentennale della Resistenza. Io studente al liceo scientifico di Ruvo di Puglia, premiato in piazza per una poesia sulla libertà».

Pensavo che mi raccontasse di quando da giovanissimo lasciò a bocca aperta Giorgio Amendola per un intervento contro il Partito.
«Me lo ricordo seduto accanto alla tribuna degli oratori, come imbalsamato, ascoltava ogni singola parola. Io intervenni contro la burocrazia di partito. Amendola poi mi mandò a chiamare e mi fece a bruciapelo delle domande che mi fucilarono: quanti braccianti ci sono nel tuo paese? E quanti operai? Non avere risposte fu imbarazzante. Una bella lezione».

Dai venti ai trenta?
«Sono su un’auto fighissima grigio-metallizzata con Rosalba e con sua sorella Anna Clelia. Ascoltiamo Albachiara di Vasco Rossi. Io ho venticinque anni. Anna Clelia ne ha ventidue e da cinque sta affrontando una lunga lotta contro una forma rara di cancro. Sa che le rimane poco tempo. Quella sera le consegnai la prima copia del mio primo libro di poesie Prima della battaglia, dedicato proprio a lei. Al suo funerale ho sepolto la mia adolescenza».

È vero che per due volte ha pensato di sposarsi con delle donne?
«Ho discusso due volte di mie intenzioni nuziali con due ragazze con cui ho avuto delle storie d’amore. Non c’è un copione nella vita, ci sono le cose che accadono, c’è il caso, c’è la fortuna. La mia vita non era già scritta. L’ho scritta io».

Trenta-quaranta?
«Sempre in auto. È il 1992 e sono stato eletto da pochi mesi alla Camera dei Deputati. Partecipo a una missione di pace. Siamo a pochi chilometri da Sarajevo e si combatte. Un soldato apre la portiera della macchina e mi tira fuori strattonandomi. È strafatto e ha l’odio nello sguardo. Sfodera una lama e urla: “Giudeo, giudeo”. Io penso: “Se mi accoltella, divento martire di un equivoco!”. Fortunatamente al volante della nostra auto c’era un napoletano eccezionale, Mimmo Pinto, storico capo del movimento dei disoccupati partenopei. Mimmo si affaccia dal finestrino e offre una stecca di sigarette al soldato. Quello sorride, mi dà una pacca sulla spalla e se ne va».

Dai quaranta ai cinquanta?
«È il giugno del 2000. A Roma si muore di caldo. Centinaia di migliaia di persone occupano le vie della Capitale».

Il Gay Pride, in pieno Giubileo.
«Tutti ballano canzoni sparate da stereo ciclopici. Io sono sul grande palco che si affaccia sul Circo Massimo. Accanto a me c’è Fausto Bertinotti. Quella sera mia madre al telefono segna il punto di non ritorno: “Ho detto a papà che ti dovremmo chiedere scusa per tante cose, parole, gesti. E lui è d’accordo”».

Oscar Wilde diceva che l’omosessualità è «l’amore che non osa pronunciare il suo nome». Lei quando ha pronunciato quel nome?
«A poco più di diciotto anni, in un paese del profondo Sud».

Ha subito sfottò o angherie?
«Ho dovuto farmi strada in un mondo in cui contro l’omosessualità vigeva una sorta di bullismo sociale».

I suoi genitori…
«Con loro ne ho discusso, talvolta animatamente, per un ventennio».

È vero che sua madre prima di entrare in mare assaggiava l’acqua?
«Misurava il grado di salinità. Il mare vero per lei doveva avere il sapore della scogliera adriatica. È morta prima della nascita di Tobia. Quando ho visto fare quello stesso gesto a mio figlio al suo primo bagno… Un’emozione forte».

Ultimo decennio: dai cinquanta ai sessanta?
«Il 27 febbraio 2016. La nascita di Tobia: ho sentito montarmi dentro un amore che non avevo ancora mai provato. Oceanico. Lo sa che la prima volta che gli ho cambiato i pannolini è stato come fare un intervento chirurgico? Ci ho messo un’ora, avevo paura di fare movimenti sbagliati, sudavo, temevo si potesse spezzare. Poi ho imparato».

Meno di un anno fa lei ha avuto anche un infarto.
«Nell’infermeria di Montecitorio. Mi hanno portato in barella solcando un angolo di Transatlantico, poi il viaggio verso l’ospedale Gemelli, durante il quale sono stato travolto da uno tsunami di pensieri, di ricordi e di ansie. Mi è restato dentro il senso di fragilità proprio della condizione umana».

Infarto e paternità si conciliano con la politica?
«Il mio infarto è roba vecchia. Ora c’è un altro infarto che mi preoccupa: riguarda il cuore della pubblica opinione, i princìpi e i valori che ispirano la nostra vita. E riguarda la direzione del vento della storia che ci soffia contro».

Pensa che concorrerà ancora, prima o poi, a una carica elettiva?
«Diciamo che non è nei miei desideri».

Categorie : interviste
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