Antonio di Pietro (7 – Maggio 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 24 maggio 2019)

Arriva con un trolley di cuoio a forma di cartella. Entra in casa: «Aspetti che svuoto la valigia». Si dirige verso la cucina: «Ho portato qualche uovo di quaglia». Antonio Di Pietro, 69 anni, è stato il pubblico ministero più famoso d’Italia. Per rendere l’idea di quanto fosse popolare quando era la star del pool Mani Pulite, Gian Antonio Stella qualche anno fa sul Corriere mise in fila alcuni elogi: «… La Voce titolava: “Così eroe, così normale”. Maurizio Gasparri tendeva entusiasta il saluto romano: “È un mito: mejo lui del Duce”. Silvio Berlusconi gli rendeva omaggio: “Le mie televisioni sono al suo servizio”. Romano Prodi lo blandiva: “Quello lì dove va si porta dietro i voti come la lumaca il guscio”. Per non dire di Francesco Cossiga: “Ha le qualità morali per andare al Quirinale”. Un sondaggio di Elle lo immortalò come l’uomo più sexy del pianeta dopo Harrison Ford».

Ministro con Prodi, l’8% con Italia dei Valori, poi la masseria

Siamo nella casa romana di sua figlia Anna, che lo ospita. Dismessa la toga alla fine del 1994, Di Pietro è stato ministro nei governi Prodi, è diventato uno dei più virulenti avversari di Berlusconi, ha guidato un partito, l’Italia dei Valori, che ha toccato l’8% dei votanti e poi si è sgretolato nel nulla. Ora, da circa cinque anni ha lasciato la politica, fa l’avvocato, ogni tanto spunta il suo nome per qualche candidatura (o autocandidatura?), ma soprattutto, è tornato col cuore in campagna. Approfondiamo. Fa una lunga premessa: «C’è stato un momento in cui sul mio carro sono zompati tutti. Si appiccicavano al mio nome come mosche. Poi quando il carro ha cominciato a incepparsi sono scesi. È normale. Non ho invidie, gelosie o rancori». Prosegue poetico: «Ho sempre vissuto col pensiero che sarei tornato nella mia masseria molisana per sdraiarmi sulla terra a guardare le stelle, come faceva mio padre. Vivo questa terza fase della mia vita con la voglia di tornare alle origini».

Vino, lino, olio… «produco anche salami»

A Bergamo, dove vive con la moglie Susanna, tiene galline e gallinacci. A Montenero di Bisaccia in Molise, ci sono le bestie più grandi e le terre: «Sto piantando un mandorleto». Produce il vino, come Massimo D’Alema e Bruno Vespa? «Ho una vigna e consegno l’uva alla cooperativa. Imbottiglio solo un po’ di rosso». Elenca gli altri prodotti dei suoi campi: «Cinquantacinque quintali di lino, una ventina di quintali d’olio… L’altra mattina un vicino mi ha dato le uova di quaglia in cambio di un pezzo di ventricina». Un pezzo di ventri…che? «La ventricina. È un salame. Lo faccio io. Il suino lo ammazziamo a Natale, a Montenero». Lei ammazza i maiali? «Quest’anno no. L’anno scorso sì. Ora non li si fa più soffrire, eh. Ma quando mio padre me lo faceva fare per educarmi…». Suona il campanello di casa. È la figlia Anna. Entra e dice al padre che ha trovato una ricetta su Google per le uova. Lei ha trent’anni, è avvocato e lavora all’Onu. Anche Antonino, il terzogenito, è avvocato, ma vive a Milano.

«Diffamatori puniti, ma vorrei ci fossero cento Gabanelli»

Di Pietro racconta: «Oggi venendo qui, sono passato per piazza Dante, dove stavano inaugurando la nuova sede dei servizi segreti. Un signore mi ha chiesto se stessi andando anche io alla cerimonia. Ho risposto che non ci azzecco niente». Gli faccio notare che in realtà molti hanno ipotizzato che lui fosse legato ai servizi. Mi gela con una leggera risata: «E mi hanno pagato parecchi risarcimenti». Comincia a citare le centinaia di cause aperte contro chi, a vario titolo, lo ha diffamato. È diventato ricco a colpi di cause per diffamazione? «Purtroppo c’è chi non paga mai perché dice di non avere i soldi. Per fortuna c’è chi paga sempre e subito. Berlusconi paga subito». Di Pietro racconta che hanno pagato anche gli intervistati da Report, che durante un servizio sull’Italia dei Valori, contribuirono alla demolizione del suo partito parlando di una gestione poco limpida dei rimborsi elettorali: «Li ho portati tutti in tribunale. Se chiudo gli occhi ho bene in mente quanto mi fece male quella trasmissione. Ma io preferirei che ci fossero cento Milene Gabanelli piuttosto che nessuna».

«Su Tangentopoli ho un archivio che vorrei bruciare»

Lui ce l’ha soprattutto con i suoi ex collaboratori della Procura che lo hanno tradito quando era pm: «Una parte delle istituzioni a un certo punto ha voluto fermare dei servitori dello Stato». Prende carta e penna. Disegna frecce e linee, scrive “150”, che sarebbe l’ammontare in miliardi di lire della maxi-tangente del processo Enimont. Le “provviste”. Sostiene che nei faldoni che custodisce a Montenero ci siano le tracce per svelare i misteri di Tangentopoli rimasti in sospeso: «Io e mia figlia vorremmo dare fuoco all’archivio. Mia moglie e Antonino lo vogliono tenere». Quali sono gli errori che si rimprovera maggiormente? «Sul piano tecnico-investigativo la gestione dell’operazione Gardini». Raul Gardini, il super manager morto suicida nel ‘93. «Era disposto a parlarmi della maxi-tangente Enimont, ma non voleva finire in carcere. Non sono riuscito a interrogarlo. Se mi avesse raccontato quel che sapeva… Il secondo errore: dal punto di vista dei comportamenti…». La testata che diede a un cronista dell’Ansa? «Ma no. Ero arrabbiato, conoscevo quel giornalista… Una cosa più seria». Aver dato un ruolo eccessivo nell’IdV al suo primogenito Cristiano? «No, no. Lui era solo consigliere regionale, contava come il due a briscola. Mi riferisco alla leggerezza con cui affittai al partito un mio appartamento milanese».

Niente social, o quasi; via da Twitter nel 2014

Di Pietro è quasi a-social. Non è su Instagram e il suo ultimo tweet è del 2014. Si concede al massimo un post al mese su Facebook. Tra i politici con chi è rimasto in buoni rapporti? «Non ho più rapporti con i politici. E non frequento i salotti». Chi frequenta? «Un po’ i vicini della mia masseria: Enzo, Luigi, Valentino…». E a Bergamo? «I familiari di mia moglie». Gli ultimi contatti politici? «Sono andato a salutare il neosegretario del Pd Nicola Zingaretti». Intendevo contatti concreti, operativi. «Prima delle Regionali in Molise del 2018. Dal territorio arrivavano inviti per candidarmi. Avrei accettato solo se ci fosse stata una coalizione ulivista unita. Ne andai a parlare con Piero Fassino. Non se ne è fatto nulla».

«I Cinque Stelle si scordano i loro padri»

Il M5S le ha mai proposto un incarico? «No. Io li considero miei figliocci. Non voglio fare il gradasso, ma insomma… ora i Cinque Stelle si scordano i loro padri. La mia Italia dei Valori, come la prima esperienza grillina, ha portato nelle urne una rabbia che altrimenti sarebbe sfociata nelle piazze. Oggi nei pentastellati di governo vorrei vedere più concretezza e meno supponenza». Una volta Beppe Grillo ha detto che avrebbe voluto vedere Di Pietro al Quirinale. «Abbiamo un rapporto di stima reciproca. Ci messaggiamo, ma parliamo di stupidaggini, non di politica». Con Gianroberto Casaleggio, invece, parlava anche di politica? «Stava con me prima di legarsi ai grillini. Alla fine degli Anni ‘90 si propose per curare la mia comunicazione. E anche quando il rapporto professionale si interruppe io continuai a fargli da avvocato». Lei era l’avvocato di Casaleggio? «Nelle cause per diffamazione. Quando lavorava per me il nostro rapporto era soprattutto online. Assunsi un paio dei suoi ragazzi». Fuori i nomi. «I nomi no. Se non sbaglio ora lavorano per il Movimento Cinque Stelle».

Categorie : interviste
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