Irama (Doppio Binario – 7 – Marzo 2019)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 21 marzo 2019)
IRAMA. ANAGRAMMA DI MARIA, secondo nome di
Filippo Fanti, 23 anni, cantautore pop star, con virate rap e rock. Due
partecipazioni a Sanremo, una vittoria ad Amici. Doppio Binario in van. Perché Irama,
quando è in tour, vive in van: hotel, camerino, palco, camerino, hotel. Irama
ha serpenti tatuati su tutto il corpo e piume appese alle orecchie. Chiedo
lumi. I serpenti: «Sono un appassionato di simbologia egizia. E dentro i
disegni dei serpenti mi piace criptare ulteriori simboli. Guarda». Tira su la
manica della felpa e indica un disegnino nascosto nella testa del rettile:
«Questo è un fiore di loto, il primo fiore nato dopo il caos primordiale… quest’altro
è l’occhio di Ra… Leggo testi sugli egizi da quando ero ragazzino». Le piume:
«A casa ho pure un quadro fatto di piume. Fanno parte della mia identità. La
leggerezza? Gli angeli?».
All’ultimo Sanremo si è presentato con la
canzone La ragazza col cuore di latta. Un po’ di parlato
rappeggiante, un po’ di sentimento melodico, un coro gospel. Lui: «Uso i generi
come colori. Il rap, per esempio, mi serve quando devo essere più schietto».
Quella di Sanremo è una canzone che parla
della violenza di un padre su una figlia.
«Non è un pezzo di denuncia. Io racconto la verità».
Che cosa intendi per verità? È un concetto
un po’ vago.
«Una cosa reale e che sento. Io non potrei mai dire una bugia in una mia
canzone. Non scrivo testi per fare quello impegnato. Se qualche ragazza o
qualche ragazzo vestirà questa canzone, se ne sentirà parte e gli verrà voglia
di tirar fuori parole e dolore, ne sarò onorato perché vorrà dire che ho fatto
del bene».
SALIAMO SUL VAN per raggiungere il palazzetto dove si svolgerà il suo concerto bolognese. Irama: «Mi ispiro spesso a cose che leggo o che mi raccontano le persone che ho intorno».
Come ti informi? Leggi i quotidiani?
«Quelli di carta solo in treno».
Vai sui siti web delle principali testate
giornalistiche?
«È successo».
I tg?
«Vengo da una famiglia che guardava i tg a pranzo e a cena. A me ora succede,
ogni tanto. Mi informo soprattutto parlando con parenti, amici e
collaboratori».
PROVO A CHIEDERGLI un parere sui temi che da mesi riempiono le pagine dei quotidiani: la xenofobia, la paura dei migranti… Mi spiazza: «Per la mia generazione questa roba non esiste».
Non esiste la xenofobia?
«Tra ragazzi è impensabile: marocchini, albanesi… si sta insieme. Punto.
Stesso discorso per l’omofobia».
Non esiste neanche quella?
«Io ti parlo della mia generazione, delle persone che frequento».
Temo che tu sia un caso fortunato.
«Può essere. Se un amico mi dice che gli piace uno che si chiama Carlo, gli
chiedo se ci è già uscito, mica indugio sui suoi gusti sessuali».
ARRIVATI IN CAMERINO Irama chiede qualche minuto per cambiarsi. Mi mostra i vestiti che userà per il concerto. Ammette che la sua presenza su Instagram (circa un milione e mezzo di follower) e la sua notorietà gli garantiscono abiti gratis. Gli domando se con i social network lui riesca anche a guadagnare qualche euro. Spiega: «Mi capita qualche sponsorizzazione. Ma non ci muoio. Il mio lavoro è la musica».
Se non fossi diventato cantante?
«Confesso di non aver mai avuto un piano B».
Era il tuo sogno sin da bambino?
«Ho scritto la mia prima canzoncina con accompagnamento per flauto a sette
anni».
Titolo?
«Quel coglione di mio nonno irlandese ».
Hai un nonno irlandese?
«No. Era un gioco. Mi immaginavo questo vecchietto danzante. Mio nonno paterno
era medico. Praticava in Toscana. Per questo sono nato a Carrara».
Ma sei cresciuto a Monza.
«Esatto. In Versilia ci torno d’estate».
Che scuole hai frequentato?
«Mi sono fermato a pochi mesi dalla maturità».
Perché hai lasciato il liceo?
«Perché in classe dormivo. Durante l’ultimo anno avevo già ottenuto un
contratto discografico con un’etichetta indipendente. Scrivevo soprattutto di
notte tra le tre e le otto di mattina. E sul banco crollavo».
I tuoi genitori hanno accettato la tua
scelta senza dir nulla?
«No. Però hanno capito che non stavo perdendo tempo e che stavo cercando una
mia strada. Sono l’unico della famiglia a non essersi laureato. Appena avrò
tempo mi piacerebbe fare Filosofia. O Moda. I miei sono stati entrambi
avvocati. Ora mio padre è dirigente legale».
Hai un buon rapporto con tuo padre?
«Dipende da che cosa intendi. Ma diciamo di sì. Da ragazzo ho fatto una valanga
di cazzate e ho preso un sacco di schiaffoni educativi. Schiaffoni giusti, eh».
Giusti?
«Non parlo di abusi o di violenze. Uno schiaffo educativo ci sta. Quando per
strada vedo figli che non rispettano i genitori la considero una cosa
raccapricciante».
Torniamo alla musica…
«Ho trascorso l’adolescenza sotto ai portici o sulle panchine con gli amici a
rappare, a cantare e a scrivere storie sulle basi».
Sei cresciuto col mito dei rapper?
«No, i miei miti giovanili sono stati Fabrizio De André e Francesco Guccini».
Test da fan. Concludi il verso: «Nel folto
di lunghe trecce bionde…».
«… il seno si confonde/ignudo in pieno sol. È Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers di De André. Ci
sono cresciuto. Da bimbo la consideravo una filastrocca».
Andiamo avanti: «Voi critici, voi
personaggi austeri…»
«… militanti severi, chiedo scusa a vossìa. È L’avvelenata di Guccini. Ne ho appena citato un verso
in un post di Instagram per chiarire che il gossip non mi interessa».
Quale verso gucciniano hai usato?
«Tanto ci sarà sempre lo sapete/Un musico fallito, un pio un teorete/ Un
Bertoncelli o un prete/ a sparare cazzate».
Hai mai incontrato Guccini?
«Una volta. Mi sono messo in fila per farmi firmare una copia di un suo disco.
Mi ero preparato un discorsetto di trenta secondi da ammiratore devoto. Lui mi
rispose solo: “Che nome è Irama?”. Poco tempo fa ho incontrato Ludovico Einaudi
in un ristorante».
Einaudi, il pianista. Ti piacerebbe
duettare con lui?
«Ho buttato giù qualche verso sulle note della sua Nuvole bianche. Non si sa mai».
Al ristorante…
«Mi sono avvicinato e l’ho salutato: “Piacere, sono Filippo, ho grande stima
del suo lavoro”. Lui probabilmente non sapeva neanche chi fossi. Poi sono
tornato al mio tavolo. E lì mi aspettavano due mie fan che chiedevano un
selfie».
Un bel corto-circuito. La richiesta più
assurda arrivata da una fan?
«Una signora mi ha chiesto la bottiglietta d’acqua da cui avevo bevuto. Una
ragazza ha preteso di conservare la pellicola di cellophane con cui proteggevo
un tatuaggio appena fatto».
RISALIAMO SUL VAN e ci spostiamo dal camerino al palco. E’ tempo di prove. Lo attendono duecento persone adoranti. Sono un gruppo di superfan privilegiate che hanno accesso al riscaldamento vocale di Irama: ci sono ragazze dai 10 ai 25 anni e mamme con la bandana griffata Irama sulla testa. Lui dedica loro tre canzoni. Partono i cori. Si alzano cartelli che ospitano dichiarazioni d’amore. Torniamo in camerino.
Quando è stata la tua prima esibizione?
«A parte una battle di free style davanti a una cinquantina di persone, il mio
primo palco è stato quello di Sanremo
Giovani nel 2015».
Nel 2018 hai vinto Amici, il
talent di Maria De Filippi.
«È stato un megafono eccezionale. E una scuola incredibile: quattro ore al
giorno a studiare con super professionisti».
Per questo i reduci da quella trasmissione
restano in adorazione di Maria De Filippi per anni?
«Lì dentro si cresce, ti danno tanto. Ti aiutano anche a livello personale. Ma
non ti regalano nulla. Ho visto ragazzi star male, c’è una pressione
incredibile: è come fare Sanremo ogni sabato per quattro mesi. Mi fanno
arrabbiare i giornalisti che sminuiscono gli artisti che vengono dai talent. È
un atteggiamento superficiale di chi non conosce quelle realtà. Mi piacerebbe
essere giudicato per le mie canzoni».
Che rapporto hai con la critica?
«Sono umano».
Quindi?
«Non temo i giudizi, ma se qualcuno scrive che una mia canzone fa cacare, ne
sento il peso. E però so anche fare la tara».
La tara?
«Se La ragazza col cuore di latta l’avesse cantata un
artista engagé, di quarant’anni e non venuto fuori da
un talent, avrebbe avuto un’altra accoglienza».
In Cosa resterà scrivi:
«…Ma poi iniziai a farmi di brutto/tornando a casa distrutto». Una canzone
contro la droga?
«Ripeto: io non faccio canzoni di denuncia. Descrivo una verità. In questo caso
i danni della droga».
Gira molta droga oggi tra ragazzi?
«Tanta. Ma non nel mio backstage. In compenso si beve, eheh».
MENTRE LO DICE SI ALZA, prende una bottiglia azzurra e sorride: «Ti va un gin tonic?». Beviamo insieme e cominciamo a parlare delle ansie d’artista: «Se non le avessi non farei questo mestiere». Chiacchierando di riti e di paure scopro che Irama non ama gli aerei, che gli è capitato di piantarsi in mezzo alla strada a causa di un gatto nero e che scrive di notte su blocchi di carta o su computer. È arrivato il momento di cominciare il concerto, prima di salutarlo gli chiedo se ci sia un momento in cui stacca completamente e si dedica solo a se stesso. Racconta: «Quando vado in Salento con Giulio». Giulio è Giulio Nenna, musicista e compositore.
«È un fratello. Scriviamo insieme dai miei esordi sanremesi. Quando arriva il momento affittiamo una villetta e ci rilassiamo».
Lì sei completamente off, ti disconnetti
anche da Instagram?
«No. Scherzi? Non posso farlo. Mi pesa ma non posso».
Perché non puoi?
«Io di mio non sarei così social. Ma c’è il rischio che i fan pensino che non
te ne frega nulla di loro. E poi oggi c’è musica ovunque, sparata ogni secondo,
e bisogna fare lo sforzo di esserci, sempre».