Enrico Letta (7- Aprile 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 18 aprile 2019)

SCANDISCE: «Succederà esattamente il contrario di quello che i sovranisti vanno propagandando». Seduto in un bar del quartiere Testaccio, a Roma, Enrico Letta, 52 anni, ex premier, ora direttore della Scuola di Affari Internazionali nella parigina SciencesPo, comincia a srotolare il suo vaticinio su quel che avverrà nei prossimi mesi in Italia e in Europa. Lui naviga nei corridoi continentali dai suoi esordi in politica. Per dire: a inizio anni Novanta, mentre i suoi colleghi di area democristiana sgomitavano per le poltrone italiane, Letta, con in tasca un dottorato in Diritto della Comunità Europea, diventava presidente dei giovani popolari europei. Delle Politiche Comunitarie è stato anche ministro, mentre a Palazzo Chigi c’era Massimo D’Alema. Quando gli domando se il 26 maggio, dopo le elezioni, l’Unione Europea annegherà sotto l’ondata sovranista, impugna i sondaggi ed esclama: «No, no. E per noi sarà una sveglia, perché purtroppo succederà che l’Italia metterà la maggioranza dei suoi parlamentari nella minoranza dell’Europarlamento». Continua: «Matteo Salvini e Luigi Di Maio dicono che il vento del cambiamento italiano contagerà l’Europa? Io dico che accadrà l’opposto. L’Italia purtroppo arretrerà, soprattutto come rilievo nelle istituzioni del Continente. Oggi abbiamo il Presidente del Parlamento, Antonio Tajani, e il ministro degli Esteri della Commissione Ue, Federica Mogherini, che in condizioni difficili hanno fatto un ottimo lavoro. Il presidente della Bce, Mario Draghi, che sta salvando l’Ue… Non credo che nel prossimo futuro avremo lo stesso peso».

INSOMMA, secondo Letta il sovranismo potrà pure ottenere molti voti tra gli italiani, ma in Europa ha il fiato corto. Appena accenno alla scuola di sovranismo a cui sta lavorando Steve Bannon, l’ex stratega di Donald Trump che si aggira per l’Europa in cerca di adepti, sbuffa: «Bannon? È un esempio del provincialismo italiano. Solo noi gli diamo importanza. Negli Stati Uniti è un personaggio ininfluente, non conta nulla. È come quei giocatori del basket Nba che a fine carriera vengono a svernare in Italia. Il motivo per cui il sovranismo è un suicidio, lo trova in questa immagine». Letta tira fuori il telefono, clic, spunta una vignetta. «È presa da un numero della Domenica del Corriere del 1966. Rappresenta la distribuzione demografica del pianeta. Su 100 persone, 55 sono asiatici, 21 sono europei e il resto è sparso tra Americhe, Africa e Oceania. L’ho riprodotta anche nel mio libro Ho imparato e ne ho fatta realizzare una versione attualizzata al 2050: è simile, ma si è ribaltato completamente il rapporto tra Europa e Africa. Inoltre, mentre nel 1966 sulla Terra c’erano tre miliardi di persone con poche automobili e con pochissimi condizionatori d’aria, nel 2050 ci saranno 10 miliardi di esseri umani tutti smaniosi di consumare e di stare al fresco. Questo avrà delle conseguenze enormi. Il dato complessivo ci dice che Greta Thunberg e i nostri figli hanno ragione a manifestare in massa per l’ambiente, ma ci racconta anche che il sovranismo è un suicidio».

Perché?
«Perché solo uniti i Paesi europei possono evitare di diventare delle colonie americane o cinesi. Solo unita l’Europa può imporre una forte sensibilità ambientale, può resistere alla politica dei dazi degli Stati Uniti e può lavorare per tutelare i cittadini nella guerra del futuro».

Quale guerra?
«Quella che si combatterà per i dati sensibili contenuti negli smartphone, su cui puntano sempre di più il marketing commerciale e quello politico. È chiaro a tutti che gli Stati Uniti e la Cina non hanno lo stesso rispetto sacrale per la protezione dell’identità digitale che abbiamo noi europei?».

Lei parla di Europa unita, di ambiente e intanto in Francia i gilet gialli contestano le tasse pro-ambiente dell’europeista Emmanuel Macron.
«Molti francesi hanno cominciato a dire: “Non mi posso occupare della fine del mondo se già sono preoccupato su come arrivare a fine mese”. Ma qui il tema è più sociale che ambientale».

Al centro delle proteste c’è sempre un’Ue difettosa.
«Sì, però è arrivato il momento di essere meno generici nelle critiche e un po’ più chirurgici».

In che senso?
«Si critica l’Europa, e anche io penso che molte cose debbano cambiare, ma in realtà andrebbero criticati soprattutto i veti posti da alcuni Stati. Se negli ultimi trent’anni è mancata un’Europa sociale, per esempio, la colpa è britannica. Fu Margaret Thatcher a mettere il veto su ogni discussione per sviluppare a livello europeo provvedimenti come l’assicurazione sulla disoccupazione o il salario minimo. Ed è sempre inglese il veto che ha bloccato ogni tentativo di armonizzazione fiscale e che ha avuto come effetto la presenza all’interno dei confini europei di paradisi fiscali come il Lussemburgo e l’Olanda».

Ora c’è la Brexit.
«E per l’Europa potrebbe essere un’occasione. Senza la Gran Bretagna cadranno dei veti e cadrà l’alibi di chi si accodava furbescamente ai veti. A proposito: ha notato che i leghisti e i Cinque Stelle che inneggiavano alla Brexit da qualche mese non ne parlano più? Dicevano: “Gli inglesi hanno capito tutto”. Ora hanno capito che l’alternativa all’Ue è disastrosa, il caos».

L’Ue negli ultimi anni è stata anche sinonimo di austerity e di rigore eccessivo.
«Anche qui dobbiamo essere chirurgici. Quando è esplosa la crisi, nel 2008, per tre anni la Germania di Angela Merkel ha posto il veto su qualsiasi soluzione comunitaria. Dicevano: “Ognuno ha i margini di manovra nazionali per affrontare le difficoltà”. Le cose sono cambiate tra il 2010 e il 2011».

In che modo?
«Grazie a un asse vincente tra Silvio Berlusconi, il francese Nicolas Sarkozy e lo spagnolo Mariano Rajoy. Quando si trattò di sostituire Jean-Claude Trichet alla presidenza della Bce, questo asse riuscì a imporre il nome di Mario Draghi, invece di quello del tedesco Axel Weber. Con il rigorista Weber sarebbe esploso l’euro. Anche nella gestione dei migranti oggi, più che l’Europa, il problema sono i veti».

Di chi?
«Di chi come la Polonia e l’Ungheria si oppongono a rilocalizzare i migranti».

La Polonia e l’Ungheria sono i principali punti di riferimento europei di Matteo Salvini.
«Ed è paradossale. La Polonia e l’Ungheria sono i più anti italiani. È evidente che i muri salviniani non siano la soluzione. Il nostro Paese è in mezzo al Mediterraneo, non è difficile capire che, se tutti costruiscono muri, i migranti resteranno un problema unicamente per l’Italia, per la Grecia, per la Spagna e per Malta».

Salvini porta avanti la politica dei porti chiusi. E sostiene di farlo anche per farsi sentire in Europa.
«I ricatti stanno portando a qualche risultato? Non mi pare. Io tra l’altro, rivendico di aver portato avanti, da premier, l’operazione Mare Nostrum. Abbiamo salvato migliaia di vite da morte sicura. Oggi sarebbe importante trovare un accordo sui migranti, fuori dai trattati esistenti, come avvenne inizialmente con l’area di Schengen. Bisognerebbe farlo senza tener conto delle opinioni della Polonia e dell’Ungheria. Si potrebbe chiamare il Trattato di Lampedusa e potrebbe permettere di gestire i flussi di migranti senza creare continue emergenze. Anche perché i migranti sono necessari».

Le destre dicono: stop ai migranti, avanti con le politiche per la natalità.
«Io sono favorevole a fare più figli, figuriamoci. Ma la migliore delle politiche per la natalità inciderà sulla demografia europea tra trent’anni. I lavoratori invece servono già oggi. Soprattutto in Paesi invecchiati come l’Italia e la Germania».

Arriva il caffè. Chiacchieriamo di quelle che Letta considera priorità europee. Dice: «L’istruzione salverà l’Europa». Mi fa vedere un video che ha postato su Instagram in cui sponsorizza il progetto Erasmus Teens insieme con lo scrittore Daniel Pennac. Racconta che per la prossima estate a Budapest ha organizzato la Scuola Estiva dell’Istituto Jacques Delors e della Scuola di Politiche, cioè l’istituzione no-profit intitolata a Nino Andreatta, che ha creato quando si è dimesso da premier. Lo riporto alle beghe del nostro cortile e gli ricordo che anni fa paragonò la politica al gioco del Subbuteo, sostenendo che chi ha la mano pesante alla fine perde. Gli faccio notare che la mano di Matteo Salvini è pesantissima, eppure il ministro degli Interni gode di consensi eccezionali. L’ex premier sorride: «Salvini l’ho conosciuto quando era consigliere comunale a Milano, ora mi sembra inebriato dal successo, con le sue divise e il vizio di diffondere dati falsi per fare propaganda. Penso che ci vorrebbe più rispetto del proprio ruolo istituzionale». Poi conclude: «È capitato a tanti di avere il vento in poppa per un breve periodo. I veri leader andrebbero misurati sull’impatto di lungo periodo».

Credo di cogliere un leggero riferimento a Matteo Renzi, l’ex leader del Pd che prese il posto di Letta a Palazzo Chigi dopo averlo rassicurato con il celebre #enricostaisereno. Letta glissa. Ma quando cominciamo a parlare del governo giallo-verde, la figura di Renzi torna un paio di volte: sul tema dei provvedimenti pre-elettorali acchiappavoti e sulla narrazione politica modello “anno zero”. Spiega: «Il primo è stato Berlusconi, poi Renzi, ora i giallo-verdi. Tutti a raccontare che con loro l’Italia avrebbe vissuto un nuovo inizio, un anno zero. L’anno zero non esiste. Esiste la continuità. Esiste un debito pubblico che è esploso tra gli anni Settanta e Ottanta e con cui abbiamo obbligatoriamente a che fare». Chiedo a Letta di dare un giudizio sulla manovra economica di Salvini e di Di Maio, si fa cupo: «Sono spaventato dall’autunno».

Ci sarà un autunno caldo?
«La legge di Bilancio non regge. Eravamo ciclisticamente nel gruppo di coda, fragili, e ora, mettendo soldi che non ci sono su operazioni elettorali, rischiamo di restare ancora più indietro».

Le preannuncio qualche attacco che riceverà dopo l’uscita di questa intervista: «Letta, gufo della Trilateral», oppure «Letta, l’uomo dei poteri forti”».
«Gufo? I dati sono sotto gli occhi di tutti. Mai peggio di così. E il disastro dei dati tra poco si trasferirà nelle tasche degli italiani. Possono darmi del gufo catastrofista, ma voglio bene all’Italia e l’allarme va lanciato. L’Italia va male da anni…».

Anche il centrosinistra di cui lei faceva parte ha delle responsabilità.
«Chi lo nega? Ora però ci si rimette in piedi con politiche concertate con gli altri Paesi europei. Noi, invece, diciamo no alla Tav e diamo l’immagine di un Paese inaffidabile su cui è bene non investire. E con il reddito di cittadinanza e quota 100, in pratica fatte a debito, è arrivata la mazzata finale».

Quota 100.
«È una riforma che fa pagare ai giovani un privilegio».

La pensione è un privilegio?
«Quando è anticipata e non pagata dai contributi… Glielo dice una persona che non avrà nessun privilegio pensionistico».

Lei è stato parlamentare in quattro legislature. Avrà un vitalizio.
«Non lo prenderò. Vivo di quello che guadagno con il mio lavoro».

Usciamo. Sul marciapiede fuori dal bar, una giovane rom chiede qualche soldo ai passanti. Domando a Letta che idea si sia fatto del caso Torre Maura, il quartiere di Roma dove il Comune aveva assegnato delle abitazioni ad alcune famiglie rom e dove la popolazione si è ribellata.

I due parlamentari del Pd che sono andati a Torre Maura a parlare con i cittadini anti-rom sono stati contestati duramente.
«Torre Maura descrive quel che succede in Come un gatto in tangenziale».

È un film che descrive come la sinistra europeista da qualche anno capisca molto poco le periferie italiane.
«Io da quella pellicola ho imparato qualcosa».

Che cosa?
«Che le periferie vanno frequentate e curate di più, che servono politiche migratorie pensate meglio, proprio a livello europeo, che va evitata la cosiddetta guerra tra poveri e che è sbagliato dare del razzista a chiunque abbia paura degli immigrati».

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