Carlo Freccero (Doppio Binario – 7 – Aprile 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 4 aprile 2019)

È in corso una discussione telefonica sulla promozione di L’embarcadero, sexy fiction spagnola di Álex Pina, autore di La casa di carta. Parte un urlo: «Non va annunciata!». Poi rivolto a me: «Contro-programmo la partita della Juventus con una serie tv da élite. È un esperimento estremo». Incontro al quarto piano di viale Mazzini con Carlo Freccero, 71 anni, direttore di Raidue, navigatore spericolato dei palinsesti, prima con Mediaset poi con la tv di Stato, e professore di comunicazione all’Università di Genova. Quando gli chiedo di replicare alla domanda della copertina Dove vola la tv?, risponde con una battuta: «La tv vola basso, perché internet le ha bruciato le ali». Chiama over the top le piattaforme globali come Netflix, Amazon e Apple e quando deve stabilire una relazione tra queste e la tv generalista usa una metafora culinaria: «La tv generalista è un menù degustazione, le over the top sono il menù alla carta. Tra poco ne parliamo, ma prima guardi quella…». Su una parete della sua stanza c’è una lavagna con delle scritte fitte fitte: ci sono elencate tutte le trasmissioni in onda sul suo canale, con orari e percentuali di share: «Quella è la mia coscienza. Nel disegnare il palinsesto mi muovo anche su concetti che non tutti conoscono». Un esempio? «La serie di monografie Benigni c’è, Celentano c’è… In quei casi non conta lo share ottenuto, ma i contatti: il numero di persone che cambiando canale, non si sono fermate, ma hanno capito che su Raidue qualcosa è cambiato».

Freccero mette sul tavolo un libro pubblicato dal Gruppo Abele, la onlus di don Luigi Ciotti. Titolo: Fata e strega. «Parlo dell’evoluzione della tv. Da quella pedagogica alle attuali piattaforme, passando per la commerciale e la digitale. La tv non è più il medium sovrano, è costretta a dividere il suo potere con altri media, primo fra tutti Internet». Aggiunge: «Marshall McLuhan diceva: “Il medium è il messaggio”. Beh, un autore deve affidarsi al medium, conoscerne i meccanismi profondi. Oggi la mia ossessione è portare su Raidue un pubblico giovane. Voglio quel target». Freccero per attirare i ragazzi al momento manda in onda La porta rossa, Il collegioThe Voice

Lei voleva portare a The Voice il rapper Sfera Ebbasta. L’hanno stoppata.
«Soprattutto a causa dei testi disturbanti delle sue canzoni. Si pone una domanda culturale e filosofica. Ciò che è politicamente scorretto deve essere escluso dalla Rai? Penso di no, altrimenti perdiamo il mondo dei ragazzi e dei social».

Accenno al fatto che al posto di Sfera Ebbasta poteva coinvolgere Ultimo o Irama, artisti altrettanto popolari tra i giovanissimi. Mi guarda come se avessi bestemmiato e spinge una sedia contro la sua scrivania: «E no! Sfera sui social è molto più potente».

Chi verrà al posto suo?
«Gigi D’Alessio, un amico».

Proseguiamo sulle trasmissioni per giovani. Per loro c’è anche The good doctor: «È l’unica cosa che ho chiesto. L’unico giocatore che ho preteso di avere nel team». Comincia un parallelo tra la costruzione del palinsesto e quella di una squadra di calcio che sfocia nell’elenco dei suoi azzurri preferiti: «Donnarumma, Conti (o Calabria), Caldara, Romagnoli, Spinazzola, Verratti, Barella, Zaniolo, Bernardeschi, Kean e Balotelli… Sono manciniano. Potremmo vincere l’Europeo. In tv il bomber è la trasmissione che fa ascolti sicuri…». Provoco: per ora gli ascolti di Raidue non brillano. Risponde: «Non mi sembra proprio che sia così». Srotola qualche numero: «Da Sanremo a oggi Raidue ha aumentato gli ascolti complessivi della Rete rispetto allo stesso periodo del 2018. Da 5,25% a 6,99%». Entra un assistente, Vincenzo. Freccero, indicandomi, gli dice: «Questo giornalista è venuto a godere della mia morte. Ma io me ne frego altamente. La mia vera squadra la vedrete a ottobre».

Nel frattempo ha dovuto chiudere Popolo sovrano.
«Capita anche ai grandi numeri 10 di fallire una partita. Mea culpa. Il vero conduttore di quella trasmissione doveva essere il popolo. Abbiamo commesso un errore. Chiuso. Andiamo avanti. Domande».

Paolo Tiramani, parlamentare leghista, in Commissione di Vigilanza Rai, l’ha bastonata a causa dei bassi ascolti di Raidue. Il video di lei che replica battendo i pugni sul tavolo è diventato cult sui social network.
«Ho risposto punto su punto. E la media degli ascolti di Raidue anche rispetto alla fascia Prime Time del 2018 è: più 0,52%. Più. Capito?».

Il Foglio ha scritto che nella nuova Rai sovranista tutto è “sgrammaticato, sgraziato, stridente, stracotto”.
«Risponderò con un libro, in cui racconterò questa mia esperienza e spiegherò le regole per fare la tv generalista».

Nel 2019, la tv generalista può resistere all’incredibile offerta di prodotti offerti da Sky, da Amazon, da Netflix e da Apple?
«La tv generalista e le over the top sono l’alfa e l’omega del mondo mediatico. La tv generalista resiste perché rappresenta l’identità di un Paese e la sua memoria storica. Aggiungo: pur nell’enorme differenza le grandi piattaforme stanno assumendo una cosa tipica della tv generalista, cioè la linea editoriale. Amazon punta sul gender, Netflix sui giovani… Stanno acquisendo un brand».

Freccero prende un pennarellone e si mette a disegnare alla lavagna: «Osservi questa curva gaussiana. Le generaliste hanno perso i maniaci dello sport e le élite, ma mantengono il pubblico mediano. La domanda più sottile oggi è se, con tutte le over the top in circolazione, il servizio pubblico possa resistere».

Si dia una risposta.
«Penso di sì. La tv pubblica, che oggi è tv generalista, potrebbe sanare la frattura tra chi ha soldi e chi no, tra chi può abbonarsi e chi no, tra chi ha tempo di sfogliare un lungo menù per scegliere lo spettacolo a cui assistere e chi arriva a casa distrutto e non vuole fare nessuna fatica. Il problema è che voi avete trasformato tutto in mercato».

Voi chi?
«Voi. Il mainstream che piano piano ha sostenuto l’idea che il servizio pubblico si dovesse fare azienda. Ora è urgente sviluppare il portale online della Rai, proprio per sganciare la tv pubblica dal modello generalista che ti costringe alle declinazioni della maggioranza. Per rimettere al centro la tv pubblica come bene comune ci vorrebbe un nuovo labourismo». U

n nuovo labourismo? Lei viene etichettato come uno dei fautori della tv populista e sovranista.
«Mi dica un contenuto di tipo sovranista andato in onda su Raidue».

Le cito due titoli: Povera patria e Popolo sovrano.
«Sono titoli. E rappresentano lo spirito del tempo. Io sono “parlato dalla tv”. Non posso pensare di essere più importante della tv e di imporre qualcosa che non aderisca alla mia epoca».

Il direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano, è considerato sovranista, vicino alla Lega, e si auto-definisce “un contestatore del sistema”.
«È un grande intellettuale di destra. La televisione gli interessa poco. Fa parte di quella destra che mi interessa perché combatte contro il pensiero unico, nel famoso schema verticale che vede contrapposti élite e popolo».

Quindi… se dovesse scegliere tra Emanuel Macron e i gilet gialli?
«I gilet gialli. Che sono una moltitudine complessa, un insieme di differenze. Macron è uno sconfitto predestinato. Non ho ancora tutti gli elementi, sto studiando, ma il lavoro e i diritti stanno tornando centrali e quindi credo che presto si imporrà di nuovo la contrapposizione destra-sinistra».

Dove studia? Che cosa legge? Vista la diffidenza nei confronti della stampa mainstream…
«Leggo tutto. Ma anche quello che lei non immagina».

A questo punto Freccero tira fuori il suo cellulare e mostra l’elenco dei siti preferiti: Il nodo gordiano, L’intellettuale dissidente, Byoblu, NoeuroL’antidiplomatico… Comincia a parlare dei cambiamenti in corso negli Stati Uniti con Donald Trump, in Italia con i gialloverdi e in Francia con i gilet gialli, che inevitabilmente verranno stoppati.

Da chi?
«Dal deep state».

Il deep state?
«Sì, le forze nascoste che si muovono nell’ombra perché nulla cambi. Comanda il deep state. Gli anglosassoni stanno descrivendo molto bene il meccanismo con le serie tv Homeland Deep State. Mi piacerebbe realizzare una fiction italiana che se ne occupi. Da noi la prima manifestazione evidente di deep state in azione è stata con la strage di Piazza Fontana».

La tv pubblica italiana può avere un ruolo nell’immagine che si dà all’estero del nostro Paese? Come fanno la Bbc, France Tv…
«È inevitabile perché la tv generalista racconta il DNA di un Paese. Mentre le altre tv, nate con il digitale, sono globaliste».

Oltre alle serie sulle cospirazioni, che cosa guarda in tv?
«Tutto. Anche i talk che nei periodi come questo, in cui è chiaro che nulla cambierà, diventano il simulacro imbalsamato di una democrazia stanca. E le serie. Ho finito la terza di True detective e ho pianto. Poi Game of Thrones ».

È una serie fantasy con draghi, cappe e spade…
«È un esempio di come negli Stati Uniti si usi l’immaginario televisivo, meglio della politica o della saggistica, per fare critica sociale».

Game of Thrones è critica sociale?
«Certo, descrive un mondo senza contratto sociale in cui ci sono sette regni. I sette regni rappresentano le multinazionali».

Ci trasferiamo nel corridoio. Luogo leggendario della tv di Stato. Camminiamo verso gli ascensori. Sottopongo a Freccero la leggenda secondo cui lui si vestirebbe di nero in memoria dell’antico desiderio di farsi prete. Sorride: «Dovrebbe parlare col mio assistente spirituale per farsi raccontare di quando decisi di non diventare sacerdote dopo aver letto L’età della ragione di Jean-Paul Sartre». Quando gli chiedo quale consideri la “sua” tv, dice che è necessariamente quella che gli ha fatto pagare dazio e che aveva come pilastro Sciuscià di Michele Santoro e come complemento Satyricon di Daniele Luttazzi. Si sa che Freccero sta cercando (con difficoltà) di riportare Luttazzi in Rai. Probabilmente mosso dallo stesso spirito di riconoscenza e di vendetta che gli ha fatto trasmettere in prima serata l’Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, pellicola condannata al rogo nel 1976.

Rivorrebbe anche Santoro nella sua Raidue?
«Chi non lo vorrebbe? Il mio sogno sarebbe stato far condurre una prima serata a Federica Sciarelli, mettendo come autore Michele Santoro. Pagherei qualsiasi cosa per mandare in onda questa accoppiata micidiale».

La Raidue frecceriana dei primi Duemila venne purgata dall’“editto bulgaro” di Silvio Berlusconi. Ora Matteo Salvini attacca periodicamente Fabio Fazio.
«Lo fa per dimostrare che la Rai non è sua».

Lo faceva anche Berlusconi quando diceva che la tv di Stato era piena di comunisti.
«Identico».

Lei cominciò a lavorare in tv proprio con Berlusconi. Lo ha incontrato recentemente?
«Sì, negli studi di Povera patria. È stato commovente. Non ci parlavamo dal 1992».

Antonio Ricci, il padre-padrone di Striscia la notizia, ha raccontato che lei negli Anni 80 “aveva il pigiama ad Arcore”.
«Lavoravo quindici ore al giorno. Anche ad Arcore. Si andava avanti fino alle tre di notte. Se so fare tv è perché con Berlusconi ho fatto qualsiasi cosa: gli annunci, i promo…».

Come arrivò a lavorare per lui?
«Ero un cinéphile. Mi ritrovai a scrivere le trecentosessanta recensioni dei film che la Fininvest aveva appena acquisito dalla Titanus. Mi pagarono cinquecentomila lire e alla fine Berlusconi mi disse: “Venga a programmare quei film con me”».

Un cinéphile nel gorgo della tv commerciale.
«La tivvù per noi era merda. In televisione io guardavo i film di Bertolucci, o dei fratelli Taviani. Poi Berlusconi mi descrisse una stanzetta al quarto piano del Palazzo dei Cigni, a Milano2, dove venivano fatte cento telefonate al giorno: il sondaggio, l’audience. Rimasi folgorato. Quel sondaggio nel tempo non ha corrotto solo me, ma anche la politica».

In che senso?
«Dalla soggettività del leader carismatico si è passati al leader ventriloquo che interpreta i desideri del pubblico».

Torniamo ai suoi esordi in tv. Da Bertolucci al regno di Non è la Rai.
«Gianni Boncompagni, regista di Non è la Rai, ha capito per primo la forza del narcisismo. È stato un precursore dei reality. Ma lui non avrebbe mai fatto un vero reality perché odiava i format. Era un pittore. Da lui ho imparato l’importanza della scenografia. Per qualsiasi trasmissione lui partiva da lì: la scenografia come un quadro che doveva colpire il telespettatore a livello emotivo. Santoro è un altro mondo. Per lui c’è solo lo storytelling. Servizi, casting e ospiti al servizio del racconto. Ferrara invece…».

Giuliano Ferrara…
«Lui ora mi odia… Non aveva una scaletta, né un copione. Si appuntava quattro concetti su un foglietto e andava in onda. A Mediaset ho fatto tutta la gavetta. Accompagnavo in studio Mike Bongiorno. Mi adottò. Il primo giorno mi spiegò che i ruoli ufficiali in tv non contano: puoi essere anche un direttore generale di un’emittente, ma se non dimostri un’autorevolezza reale, vieni distrutto».

Quando lei era direttore di Italia1 ebbe nella sua scuderia anche Gianfranco Funari.
«Aveva fiuto, capì per primo la forza televisiva di Tangentopoli. Aveva un meter nel cervello».

Il meter è lo strumento con cui si misura l’audience. Oggi tra i conduttori televisivi in attività chi ha quel fiuto-meter?
«Maria De Filippi».

L’unica, oltre alla fiction Rai Montalbano, a fare super ascolti sulla tv generalista.
«Torniamo alla ripetizione e alla tv generalista come scuola di conformismo. L’audience produce audience. E lo sa chi ha trasmesso per la prima volta Montalbano in tv?».

Lei?
«Io. Non lo voleva nessuno. Dicevano che era un prodotto stretto, con troppo dialetto. Fu un successo clamoroso. E così decisero di toglierlo dalla mia Rai2 e di metterlo su Rai1».

Parliamo da due ore e non mi ha ancora detto quali sono i giocatori che metterà in campo a ottobre.
«Se parlo Salini mi uccide».

Forza e coraggio…
«Ci saranno quattro programmi di produzione, una fiction e due trasmissioni, diciamo… di magazzino».

Le produzioni. È vero che sta vagliando un nuovo gruppo di comici?
«Sto costruendo una programmazione del lunedì comica: Made in Sud, Stasera tutto è possibile e una terza soluzione con un gruppo milanese». Di chi parliamo? «Si chiamano Contenuti zero. Vuole un’altra novità?». Certo. «Oltre a Made in Sud, voglio realizzare Made in Nord ».

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