Gabriella Greison (Doppio Binario – 7 – Febbraio 2019)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 28 febbraio 2019)

TIRA FUORI UN’IMMAGINE IN BIANCO E NERO. È una foto di gruppo scattata a Bruxelles nel 1927. Dice: «Io sono ossessionata da questo scatto. È la testimonianza del Quinto congresso Solvay della Fisica a cui presero parte le menti più brillanti del pianeta. Albert Einstein, che era presente, la soprannominò The Witches’ Sabbah, il convegno delle streghe». Doppio Binario nella metropolitana milanese con Gabriella Greison, classe 1976, fisica, scrittrice e attrice. Da quattro anni sforna libri e spettacoli teatrali che hanno come oggetto principale la Fisica quantistica e le star della scienza, con un’attenzione particolare alle studiose donne. È una narratrice naturale. Una specie di aedo divulgatore, inarrestabile. Durante i cento minuti della nostra conversazione, senza che nessuno glielo chieda, riesce a infilare il racconto di come la star hollywoodiana Hedy Lamarr abbia contribuito all’invenzione del wi-fi, di come Marie Curie sia diventata la regina dei Raggi X e di quanto fosse stronzo Albert Einstein con la sua compagna di vita Mileva Maric, prima donna ad aver studiato Fisica al Politecnico di Zurigo. Mentre parla della sua stessa vita ogni tanto imbocca la via laterale di una biografia illustre, o i versi della poetessa Wislawa Szymborska o una strofa di una canzone di Fabrizio De André o la spiegazione del perché senza la Fisica quantistica oggi non avremmo la risonanza magnetica o i lettori dvd. Quando le chiedo della sua famiglia, prende fiato e comincia a srotolare le avventure dei Mc Greison, casata scozzese. Sorride, si accorge di aver esagerato: «Sono partita da troppo lontano?». Cerco di riportarla su parentele più recenti e lei si immerge nei ricordi della sua casa genovese in Alta Val Bisagno. Mi distraggo un secondo ed eccola descrivere le passeggiate di Einstein in giro per i sentieri liguri. La stoppo. Ci diamo del tu.

Mettiamo un po’ d’ordine. Volevo sapere qualcosa della tua infanzia, di come sei diventata una piccola rock star della divulgazione scientifica. I tuoi genitori…

«Papà era dirigente d’azienda, viaggiava molto. Mia madre lavorava nella moda, ma non la vedo da più vent’anni e sono felice così. Si separarono quando avevo un anno. Non ho mai avuto riferimenti solidi, mi sono formata da sola, e a un certo punto ho semplicemente scelto di stare dalla parte di mio padre. Da ragazza, pur vivendo a Milano, appena potevo scappavo a Genova. Cercavo la solitudine».

A scuola come andavi?

«Studiavo, ero sempre preparata, ma simpatizzavo per le ultime file».

Passioni giovanili?

«Ho sempre voluto capire come funzionava il mondo. I meccanismi che regolano l’universo…».

Sembra una risposta confezionata per la stampa.

«Ma no, è la verità. Smontavo il telefono di casa, facevo intrugli con detersivi e farina».

All’università, ovviamente ti sei iscritta a Fisica..

«Sì, sempre a Milano. Vivevo con un gruppo di studenti della Facoltà. Eravamo abbastanza politicizzati, volevamo cambiare il mondo. Avevamo anche un nome di battaglia: Corrente alternativa. Studiavo velocemente per poter giocare con loro a briscola o per andare tutti insieme ad arrampicare in montagna».

Non è esattamente il manifesto dello studente modello.

«Einstein diceva: “Se non si perde tempo, non si arriva da nessuna parte”. Ai ragazzi che vengono ad ascoltare i miei monologhi dico sempre: “Divertitevi, riposate, oziate”».

Quanto ci hai messo a laurearti?

«Il giusto: quattro anni. Poi mi sono trasferita a Parigi all’École Polytechnique».

Perché non hai continuato a studiare?

è«Perché volevo emergere e ho capito che nel mondo della ricerca universitaria sarei stata una dei tanti. E poi perché mi è venuta l’esigenza di raccontare la Fisica con una nuova narrativa che esisteva solo nella mia testa».

Mancano due fermate alla nostra, “Duomo”. Greison, anche se diluvia, vuole raggiungere la targa che testimonia il soggiorno meneghino di Einstein. Le squilla il cellulare. La suoneria è la colonna sonora della serie nerd-oriented Big Bang Theory. Risponde e tira subito fuori un’agenda cartacea gonfia di appunti e di post-it scarabocchiati. Rivolta a me: «Hai visto? Praticamente vivo in treno». Effettivamente sull’agenda ci sono appuntamenti per le prossime settimane a Zurigo, Genova, Vienna, Trieste… Lei: «Il treno e la metro sono luoghi perfetti per un fisico. Albert Einstein e Niels Bohr, il suo nemico/avversario, una volta a Copenhagen restarono sei ore in un tram a parlare». Quando le domando come faccia a saperlo, mi spiega che i suoi racconti sono costruiti attraverso la ricerca sul campo: lei parla con testimoni, parenti, studiosi, esamina corrispondenze e diari. E quando proprio manca una parte del racconto aggiunge una sua interpretazione romanzata. Appoggiato a una parete dello scompartimento c’è un ragazzo che sta leggendo L’ordine del tempo del fisico di Carlo Rovelli. Greison gli si avvicina: «Che meraviglia. Studi fisica?».

Il ragazzo: «No».

Greison: «Hai scelto il libro più complicato di Rovelli. Per questo sei fermo a pagina dodici».

Il ragazzo sorride.

Le chiedo se la sua fosse una stoccata a Rovelli, reo di essere troppo poco divulgativo. Greison: «Ma scherzi? È anche grazie a Rovelli se ho cominciato a pubblicare i miei libri sulla Fisica. Tornata da Parigi mi sono accorta che le sue Sette brevi lezioni di Fisica erano un successo e l’ho interpretato come un segnale. Mi sono messa a scrivere L’incredibile cena dei fisici quantistici e il Monologo quantistico che quest’anno ha raggiunto le centosettanta repliche teatrali. Ma avevo già un po’ di esperienza, eh».

Dov’è cominciata la tua azione divulgativa?

«Sulle pagine del Manifesto. Provai pure ad accreditarmi con una grande testata giornalistica nazionale per parlare di Fisica. Venni respinta e uscii dal colloquio in lacrime».

Perché?

«Andai lì e gli dissi: “Voi siete dei divulgatori, i vostri articoli sono pieni di errori, io posso fare molto meglio”. Mi mandarono via».

Non mi stupisce.

«Venivo da un mondo puro: tra i fisici vale il merito e il risultato. Lì, invece, ho capito che c’è una galassia fatta di relazioni professionali poco limpide. Nel frattempo comunque collaboravo anche con Radio Popolare. Avevo la “Striscia 42”, la scienza in cerca di domande».

Quarantadue?

«Non hai mai letto la Guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams?»

No, confesso.

«“Quarantadue” è la risposta che il super computer “Pensiero profondo” dopo aver elaborato dati per sette milioni e mezzo di anni dà alla “Domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto”. Ahahah. È uno scherzo che però fa anche pensare al fatto che non esistono spiegazioni semplici a problemi complessi. Io odio quelli che su Youtube pretendono di spiegare la Fisica quantistica con un video di tre minuti. A me, come a tutti i fisici, la Fisica quantistica pone sempre nuovi quesiti e fa sorgere ulteriori dubbi».

Mi hai anticipato. Ti avrei chiesto: come spiegheresti la teoria dei quanti a un bambino di otto anni?

«Gli direi che la Fisica quantistica racconta il mondo dell’infinitamente piccolo e farei degli esempi attuali partendo dall’osservazione della realtà. Einstein faceva così. Lo sai che cosa rispose alla regina Elisabetta del Belgio quando a tavola gli chiese che cosa fosse la relatività?».

Racconta.

«Immagina la scena. A tavola c’erano tutti i più grandi fisici dell’epoca Max Planck, Wolfgang Pauli, Arthur Compton… Ovviamente c’era anche Niels Bohr. La regina pose la sua domanda e in sala calò il silenzio. A quel punto Einstein disse: “Se voi mi chiudete per due ore in una stanza con lei, cara regina, il tempo sembrerà passare in un attimo … Ma se mi chiudete per due ore con il collega Bohr, il tempo sembrerà non passare mai”. Fece una battuta, insomma». Greison racconta che quando insegnava nei licei apriva e chiudeva le sue lezioni con della buona musica. Poi si sfoga: «Purtroppo oggi nelle scuole i programmi di Fisica sono sballati. Spesso gli studenti escono con in testa l’immagine dell’atomo circondato dagli elettroni».

È un’immagine sbagliata?

«È antica. Per la Fisica l’adagio di Italo Calvino per cui “l’ultimo avvenimento può cambiare il senso di tutto l’insieme” vale doppio. I manuali andrebbero proprio riscritti».

Ti hanno mai proposto di farlo?

«Continuamente. Ma non ho tempo».

Che cosa stai scrivendo ora?

«La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall».

Werner Heisenberg era il fisico che lavorava alla bomba atomica nazista.

«In realtà ebbe un ripensamento. Lui e altri fisici vennero catturati dagli inglesi e trasferiti a Farm Hall, un luogo isolato dove venivano spiati e intercettati. Fu una specie di Grande Fratello coatto pieno di scienziati. Ci farò sia un romanzo, sia un monologo. E poi con Audible sto registrando sedici lezioni facili di Fisica quantistica da 25 minuti ciascuna. Usciranno il 18 marzo. Si chiameranno Il cantico dei Quanti».

Citazione biblica. Credi in Dio?

«No. Credo in tutto ciò che può essere spiegato scientificamente. Un prete difficilmente cita Charles Darwin. Si possono coltivare dubbi, si può credere in qualche mistero, ma c’è una cosa che non sopporto».

Che cosa?

«L’adagio da canzonetta sanremese: “Il miracolo della vita”. Ma quale miracolo? Mi viene l’orticaria…».

Perché?

«Il modo per raccontare la vita c’è e non è con i miracoli. È con la scienza».

Categorie : interviste
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