Francesco Piccolo (Doppio Binario – 7 – Dicembre 2018)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 13 dicembre 2018)
MENTRE STIAMO per uscire dallo studio seminterrato per andare a prendere il tram, si sente una voce. Viene da fuori. Urla: «Non andiamo a Torino per lo zero a zero. Capito?». Chiedo: «Chi è che strilla così?». Scopro che al terzo piano della palazzina vive un signore anziano convinto di essere un dirigente della As Roma, amico di Francesco Totti e stratega del calcio. Ci affacciamo per ascoltare. E così il Doppio Binario con Francesco Piccolo si sposta dalle rotaie alla finestra sul cortile. Siamo a Roma, zona Ostiense. Piccolo è uno scrittore arcinoto, che nel 2014 ha vinto il Premio Strega con Il desiderio di essere come tutti. Va ricordato, perché, come ha raccontato lo stesso romanziere: «Quando vinci il premio, per tutta la vita, qualsiasi cosa tu faccia, qualsiasi cazzata tu scriva o dica, qualsiasi opinione abbiano di te, quando ti annunciano dicono che hai vinto il premio». Lui è stato anche autore tv con Fabio Fazio e sceneggiatore di pellicole assortite tendenzialmente di sinistra (tra gli altri con Nanni Moretti e con Paolo Virzì). Ora è tra le firme di L’amica geniale, serie tv spacca ascolti, tratta dai romanzi di Elena Ferrante. E ha da poco dato alle stampe L’animale che mi porto dentro, autobiografia letteraria di un maschio italiano, arrogante, adultero, fiero portabandiera del coito ergo sum. Nel romanzo ci sono sua moglie, sua figlia, molte persone facilmente riconoscibili, il basket giovanile e i premi letterari. Tutto molto realistico. C’è anche un’amante, un padre che picchia il piccolo Piccolo e Piccolo che da giovane cestista picchia un tifoso avversario. C’è violenza. Così quando me lo trovo davanti, barbuto, con l’aria mite e la lieve cadenza campana, non posso non chiedergli (ingenuamente?) quanto ci sia di vero nel romanzo e come abbiano reagito a questa auto-esaltazione/auto-demolizione le persone che gli stanno vicine. Ci diamo del tu. La risposta è piuttosto dritta: «Sono cazzi miei».
Immagino che tu comprenda la curiosità.
«Certo. Sono io stesso a provocarla. Il vero e il falso, il semi-vero e il
semi-falso, devono assomigliare a me il più possibile. Ma il Francesco Piccolo
personaggio letterario fa come gli pare».
Tua moglie e la tua famiglia come si
comportano di fronte a questa rappresentazione delle loro vite?
«Questo non deve interessare al lettore. Loro fanno parte della mia vita vera
che non appartiene al lettore. Chi legge ha a disposizione la vita
autobiografica letteraria e mi sta bene che pensi che sia tutto vero».
Non pensi mai alle conseguenze di quello
che scrivi? Agli equivoci, al fatto che magari qualcuno un giorno ti ha
incontrato a cena e c’era anche una tale Marta, che poi nel libro descrivi come
la tua amante.
«Chissenefrega se per una sera un centinaio di persone durante un aperitivo nel
quartiere Prati di Roma giocheranno a che cosa è vero e che cosa è falso nel
romanzo…. Se dovessi stare attento a queste cose, il personaggio letterario
Francesco Piccolo sarebbe finito. Io parto da questa idea: mi prendo la
responsabilità diretta del personaggio. Punto al vero più che al giusto: dire
quel che si pensa senza aggiustarlo è vitale e porta a qualcosa di buono».
Il vero più che il giusto.
«L’animale dentro di me esiste, lo dico serenamente. La persona che ha quella
brutalità e quella arroganza e quella violenza sono io. Ma poi non posso
rivelare quali accadimenti siano reali e quali no, altrimenti l’autobiografia
letteraria morirebbe».
Camminiamo nel cortile, sul tetto di una struttura bassa. Il fotografo Massimo Sestini scatta, punta l’obiettivo su una pozza d’acqua. Giochiamo sul riflesso, la doppia immagine, la parte di Piccolo istintiva e quella addomesticata dalla cultura. Cominciamo a parlare di questo maschio che viene fuori dal libro: un animale inesorabilmente in preda ai propri istinti sessuali, un prevaricatore, che in pratica afferma con arroganza «siamo così e non siamo correggibili».
C’è un sapore leggermente compiaciuto e
auto-assolutorio.
«Dire che siamo superficiali e che non riusciamo a diventare migliori, che non
progrediamo se non di qualche millimetro rispetto ai chilometri che dovremmo
fare, non mi pare autoassolutorio. Escludo di aver scritto per auto-assolvermi.
Che poi io, tentando di denunciarmi, finisca per autoassolvermi è possibile».
In tempi di #MeToo, descrivere un maschio
che non può resistere alla propria indole animalesca, è un po’ come dire che
Harvey Weinstein potente com’era non poteva che finire per molestare le attrici.
«Ho cominciato a scrivere questo libro quattro anni fa, quando gli uomini erano
liberamente molestatori e non c’era il #MeToo. Detto questo il mio personaggio
non esercita mai il suo potere. E però dico di peggio, perché pur avendo guai
assortiti che lo indeboliscono (oltre ai brufoli, la fimosi e la sideremia),
l’animale trova spazio e in qualche modo si impone con arroganza, presunzione e
violenza. E queste sono caratteristiche che sotto sotto accomunano in modo
ancestrale tutti gli uomini. Il tutto sembra autoassolutorio? Me ne assumo la
responsabilità, ma l’intento era raccontare e raccontarsi, cosa che ritengo
necessaria».
Col senno di poi, avresti scritto questo
romanzo anche dopo l’esplosione del caso Weinstein?
«Sì. Quando scrivo sono molto molto molto impermeabile al ruolo sociale che
avrà il libro e all’interazione che avrà con l’attualità. Io devo raccontare».
Inutile citare le polemiche sulle fiction
accusate di rappresentare il male in modo troppo affascinante, tanto da indurre
i ragazzi a emulare cattivi comportamenti.
«Io devo raccontare la verità. Se facendo questo racconto risulto essere un
uomo giusto o un uomo sbagliato, se le cose che racconto sono opportune o non
opportune non mi deve importare. Mi può interessare come cittadino, ma non in
quanto scrittore».
Non temi di sdoganare il peggio del peggio
che è in ognuno di noi? Come quando in tv alcune trasmissioni mostrano forze
politiche fascistissime e qualcuno commenta dicendo «parlarne vuol dire
sdoganarle».
«Sdoganare? È un termine che usa chi in realtà vuole dire: restiamo tra noi che
ci assomigliamo e che la pensiamo allo stesso modo, restiamo così. Io credo che
raccontare sia necessario per migliorare. Nel caso delle forze “fascistissime”
se non le conosci non le puoi affrontare o sconfiggere politicamente.
L’avversario va studiato e capito. Considero assurda la posizione di chi dice:
“Io non andrei mai a cena con Trump. E nemmeno con Berlusconi o con Salvini”.
Io riterrei quelle cene molto interessanti, per capire chi sono davvero, che
cosa pensano. Quindi…».
Quindi?
«Quindi se racconto che dentro di me c’è una bestia pericolosa, che quando esce
fuori fa male ed è socialmente devastante, non mi si può dire che io aderisca a
quel modello».
La conversazione rotola velocemente verso il baratro della politica italiana. Piccolo in passato ha raccontato la sua adesione giovanile al comunismo pur appartenendo a una famiglia di destra. Ha rivendicato l’appoggio a Walter Veltroni, quando è nato il Pd, e nel recente passato alla leadership di Matteo Renzi.
Se Renzi ti chiamasse per partecipare a
una sua lista democratica per le Europee della primavera 2019…
«Ho paura a dire “non mi candiderò mai” perché se poi tra quindici anni dovesse
succedere qualcuno potrebbe rinfacciarmelo. Ma oggi penso che il mio ruolo sia
un altro: osservare e cercare di raccontare».
Il Pd oggi…
«È un partito senza più anima, in stato comatoso».
C’è chi sostiene che debba prepararsi a
un’alleanza con il M5S e chi crede che sia meglio dialogare con la Lega.
«Prima di parlare di alleanze, si dovrebbe ricostruire un’identità reale con
degli elettori convinti».
Ci sediamo su un muretto al centro del cortile e continuiamo a parlare di politica. Piccolo, pur essendo lontanissimo dalle sue idee, sostiene che l’operazione con cui Matteo Salvini si è impadronito del centrodestra sia stata eccezionale. Non condivide l’atteggiamento di una parte dell’intellighenzia di sinistra per cui gli elettori dei 5 Stelle sarebbero dei «rintronati». Spiega: «Molti di quei voti stavano a sinistra, appartenevano a persone che non hanno trovato nel partito a cui aderivano risposte adeguate ai loro problemi. In linea di massima poi, considero l’idea di sentirsi diversi e migliori il vero cancro della sinistra, uno dei motivi per cui si è ridotta a quasi niente. Essersi sentiti, come diceva Pier Paolo Pasolini, un Paese migliore dentro un Paese peggiore, la considero una cosa inaccettabile».
Voterai alle primarie del Pd?
«Le primarie sono l’altro male assoluto. Hanno distrutto il partito. La sintesi
tra le diverse idee si forma attraverso un processo lungo, cioè il congresso».
Rientriamo nel suo studio. Sul tavolo accanto al computer c’è un foglio stampato con un lungo elenco colorato e corretto a penna. Domando che cosa sia. Piccolo: «È la mia lista settimanale». Lo scrittore mi spiega che è ossessionato da questi programmi settimanali che si autoimpone in cui segna letture, incontri, cose da scrivere. Al momento sta cominciando a lavorare a un nuovo film di Paolo Virzì e sta scrivendo con Saverio Costanzo la seconda serie di L’amica geniale.
Tra le possibili identità reali di Elena
Ferrante, inizialmente era spuntato pure il tuo nome.
«Un’ipotesi assurda. Con tutto quello che ho fatto negli ultimi anni, dove
avrei trovato lo spazio nei miei elenchi di impegni per scrivere pure quattro
romanzi dell’Amica geniale?».
Elena Ferrante in realtà è Anita Raja,
traduttrice e moglie di Domenico Starnone?
«Non lo so. E se lo sapessi non lo direi. Perché aderisco completamente alla
scelta di Ferrante, che è un’autrice ma anche un personaggio letterario
pazzesco».
Dovendo sceneggiare un suo libro avrai
avuto qualche contatto diretto…
«Ci lavoriamo tutti i giorni, tramite la casa editrice. La corrispondenza via
email però la tiene Saverio».
Sullo schermo del computer trema l’immagine di un copione. Ricordo a Piccolo alcune critiche sulle sue sceneggiature e una stroncatura al suo ultimo romanzo. Replica che ha imparato a restare quasi indifferente sia alle cattiverie eccessive sia alle lodi sperticate.
Hai riti particolari legati alla
scrittura?
«Mi sveglio alle cinque e mezzo, leggo, accompagno mio figlio Andrea a scuola e
poi scrivo all’incirca tutto il giorno».
Prendi appunti su un quadernone, sullo
smartphone..?
«Su fogli sparsi. Ma ormai faccio quasi tutto a computer. Per i romanzi,
procedo così: accumulo idee e le divido per argomento in grossi file. Butto
dentro letture, spunti… Quando mi accorgo che sto cominciando ad accumulare
materiale soprattutto su un unico argomento, capisco che è arrivato il momento
di cominciare il libro».
Ti rileggi gli appunti e parti?
«No. Per me non esiste la pagina bianca. Entro nel file, che è un caos con
mille cose dentro, mi ci immergo e il libro comincia a costruirsi, si lima, si
ripulisce, si monta. Insomma, vive».