Luigi Capello (Doppio Binario – 7 – Novembre 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 15 novembre 2018)

L’INGRESSO E’ SOTTO UN PORTICO BUIO su un lato esterno della stazione Termini. Quattro anziani senza tetto se ne stanno accovacciati tra coperte e cartoni a pochi metri dalla porta a vetri. Una ragazza ubriaca spara un urlaccio contro un turista infreddolito. La guardia giurata, occhiuta, seleziona chi può entrare e chi no. Attraversiamo l’androne, saliamo sull’ascensore e sbuchiamo in un’enorme stanza luminosa, con decine di postazioni hi-tec. Ambiente smart siliconvalleyggiante: un paio di divani di design, una sala conferenze, una palestra. Veniamo colti da una piccola vertigine: siamo ancora a Roma? Doppio Binario capitolino con Luigi Capello, 58 anni, imprenditore seriale, business angel (tranquilli, ci spiegherà che cosa vuol dire) e amministratore delegato di LVenture Group, che è allo stesso tempo un acceleratore di start up e un enorme spazio di co-working. Capello è romano de Roma, ha vissuto un ventennio a Milano e per un breve periodo a San Francisco. Dice: «La Capitale oggi è in ginocchio, non funziona, chi ci lavora è un eroe…». Lo anticipo e proseguo al suo posto con il mantra sconsolato di chi vive in questa città: «Le buche per strada sembrano crateri lunari, le montagne di monnezza oscurano il paesaggio e si diventa vecchi ad aspettare l’autobus». Mi stoppa: «Mia moglie Akiko è giapponese e mi ricorda spesso il detto secondo cui ogni giorno sulla propria strada si incontrano nove samurai. Sarebbero le difficoltà della vita quotidiana. Io le rispondo che a Roma i primi nove samurai li incontro prima di raggiungere la moto parcheggiata per strada. Ma non era questo quel che volevo dire».

Stava parlando dell’eroismo di chi lavora nella Capitale.

«Ecco. Beh, malgrado questo, malgrado tutto, questo è il luogo dove voglio stare: la sede di LVenture è uno dei posti più magici d’Europa e di sicuro non lo cambierei con nessun altro posto in Italia».

Boom. L’ha sparata.

«Non scherzo. Ci affacciamo sui binari della stazione. È un crocevia naturale, un luogo di incontri continui, con un flusso che ci permette di essere un luogo ad altissima connessione».

CAPELLO PORTA CON SE’ un po’ di quella retorica fumosetta degli imprenditori dell’innovazione fatta di energia, di mestieri non traducibili in italiano e di scambi di idee digitali. Provo a dribblare la fuffa e domando: «Altissima connessione… In che senso?» Replica: «Qui si crea quotidianamente un ecosistema di relazioni». Insisto: «Faccia finta di parlare con un bambino di dieci anni e mi spieghi perché uno spazio sopra la stazione Termini, considerata un simbolo della sgarrupatezza cittadina, è in realtà un crocevia virtuoso e fruttuoso». Sorride: «Qualche giorno fa è venuto da noi l’ambasciatore degli Stati Uniti in Italia…».

…Lewis M. Eisenberg…

«… ha portato con sé alcuni potenziali investitori. Da noi ci sono sia start up che usano semplicemente i nostri spazi di co-working, sia start up a cui forniamo un servizio di accelerazione».

Come si accelera una start up?

«Facendo una selezione iniziale su quelle che secondo noi hanno un potenziale business e fornendogli strumenti, consulenti e assistenza fino all’ingresso sul mercato. Abbiamo una società d’investimento con cui sosteniamo due programmi all’anno di accelerazione».

Quante start up partecipano al programma?

«Dieci circa per ogni sessione di cinque mesi. Li aiutiamo a minimizzare i rischi d’impresa e a mettere a fuoco il business model. Loro in cinque mesi devono arrivare a fatturare o a raggiungere un determinato numero di utenti. I soldi sono nostri, di LVenture, ma poi ci sono anche gruppi di business angels …».

Business… che?

«Angels. Sono imprenditori che mettono soldi propri nei progetti altrui».

Mi può fare un esempio di una start up che viene da lei e…

«Qualche tempo fa è venuto da noi un ragazzo che voleva creare una community di fotografi per il mondo editoriale. Dopo aver studiato la sua idea ci siamo resi conto che in realtà i giornali ormai non pagano abbastanza le immagini».

Quindi lo avete mandato a casa?

«No, era davvero determinato. Gli abbiamo detto che non lo avremmo finanziato ma lo avremmo inserito nel programma di accelerazione».

Di solito quanto investite in ogni start up?

«Centoquarantamila euro. Ottantacinquemila cash e il resto in servizi».

Voi che cosa ricevete in cambio?

«Siamo soci al 9% delle start up, con possibilità di aumentare la quota. Spesso mettiamo soldi anche quando la start up comincia il fundraising per avviare davvero il business».

Torniamo al progetto di community per fotografi.

«Abbiamo degli investor day, cioè delle giornate in cui le start up illustrano i loro progetti ai potenziali investitori. Durante una di queste giornate un imprenditore del digitale ha ascoltato l’idea sui fotografi e l’ha indirizzata verso un business concreto».

Cioè?

«Invece di vendere foto all’editoria, la community è diventata uno strumento efficacissimo per le assicurazioni».

Le foto degli incidenti stradali ormai si fanno con gli smartphone.

«Ma sono di parte. Quelle dei fotografi, invece, sono certificate da un accordo tra le assicurazioni. Capì to che cosa intendevo come spazio di connessione ed ecosistema di relazioni?».

Ci spostiamo su una terrazza esterna da cui si vedono i binari della stazione. Passiamo accanto a una parete su cui sono segnati tutti i numeri di LVenture: i 5000 metri quadri dello spazio romano, i 44 milioni di euro investiti, il numero di progetti annuali… Nella stanza principale c’è una grossa campana. Il fotografo Sestini chiede a Capello di suonarla. Lui esegue. Ci spiegano che la campana di solito viene suonata solo quando si completa la raccolta fondi di una start up. Capello: «L’80% delle nostre start up accelerate finisce sul mercato». Gli faccio notare che la robotizzazione e lo sviluppo del mondo digitale spesso danno profitti, ma fanno perdere posti di lavoro. L’imprenditore chiarisce: «Sono i timori che si avevano anche quando è stata introdotta sul mercato l’automobile. Le rivoluzioni industriali creano scompensi. Bisogna concentrarsi sui lavori futuri».

La politica è più concentrata su chi non ha un lavoro: il reddito di cittadinanza…

«Il reddito di cittadinanza aiuterà solo l’industria dei divani. Le pensioni a quota 100, poi, manderanno a casa lavoratori ancora attivi. E tutto questo ha un costo che ricadrà sulle prossime generazioni».

Se potesse sussurrare qualcosa all’orecchio di Luigi Di Maio, vice premier, ministro del Welfare e dello Sviluppo economico…

«Gli direi di puntare sull’innovazione, uno dei pochi driver possibili per la crescita. E poi la formazione…».

Meno studi classici e più studi scientifici?

«No. Chi fa studi classici ha spesso una formazione più solida. L’importante è che la formazione sia continua e che non si interrompa mai».

Ci affacciamo su via Marsala, in mezzo al caos intorno alla stazione. Invito Capello, già che c’è, a sussurrare qualcosa anche nell’orecchio di Virginia Raggi, sindaco di Roma.

Lei è una delle poche persone che ho sentito parlare di Roma con speranza imprenditoriale. Magari la ascolta.

«Virginia… se ci sei batti un colpo! Non dico di dare alla città una vision, un progetto a dieci anni, ma almeno risolvi i guai legati a un minimo di decoro».

Già, il decoro. La principale app di bike-sharing se ne va da Roma perché molte biciclette vengono danneggiate o finiscono nel Tevere.

«Su questa vicenda ho informazioni e statistiche abbastanza precise: l’azienda cinese proprietaria dell’app è parecchio chiacchierata e non va via solo da Roma. Le rotture delle due ruote che avvengono nella Capitale sono in linea con quelle di tutto il mondo».

Sembra la risposta di uno di quei romani a cui non si può toccare la cara Città Eterna.

«Ma no. Lo so perché non escludo di portare avanti io stesso un progetto romano di bike-sharing. Dopodiché per risollevare la città serve l’impegno del sindaco, ma soprattutto quello di tutti i cittadini. Qui non esiste un sindaco che ce la possa fare senza l’aiuto di tutti i romani». 

Categorie : interviste
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