Carlo Calenda (Doppio Binario – 7 – Novembre 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 3 novembre 2018)

DOPPIO BINARIO SU SAN PIETRINO ROMANO con Carlo Calenda, 45 anni, quattro figli, ex manager montezemoliano, ex ministro dello Sviluppo Economico dei governi Renzi e Gentiloni, polemista ultra-prolifico su Twitter e sponsor di un ipotetico fronte repubblicano che dovrebbe arginare le orde sovraniste alle prossime elezioni Europee. «Un fronte che vada da Macron a Tsipras», ha detto. Mentre cammina su un marciapiede strettissimo aggiunge: «In Italia il perimetro potrebbe andare da Giuliano Pisapia agli ex elettori di Forza Italia meno berlusconiani». Appena gli ricordo che a Nicola Zingaretti, candidato forte alla segreteria del Pd, non dispiacerebbe riconquistare i voti di sinistra finiti nella galassia a Cinque Stelle, Calenda sentenzia: «Quegli elettori non sono pronti a tornare. Dobbiamo riconquistare gli astenuti e i moderati». Insisto: in Spagna funziona bene l’alleanza izquierdista tra il premier socialista Pedro Sánchez e il movimentismo di Podemos. Spiega: «Il confronto alle Europee sarà tra chi vuole rimanere nell’Occidente e riformare le democrazie liberali e chi le vuole demolire». Parla dei sovranisti? «Parlo dei Cinque Stelle e della Lega». In giugno Calenda aveva pubblicato su Il Foglio un manifesto di questo fronte repubblicano. Aveva anche organizzato un tour per presentarlo in tutta Italia, ma si era dovuto fermare. La spiegazione dell’annullamento arrivò via Twitter: «Mia moglie ha avuto una recidiva della leucemia ed è in ospedale per un trapianto. Seguo i tre bimbi e lei e non posso allontanarmi da Roma». Ora è in libreria Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio, un pamphlet che è anche un’estensione del suo manifesto e in cui si raccontano gli errori commessi dalle forze progressiste durante l’esplosione della globalizzazione. Calenda è spesso in tv per promuovere il volume.

Ci infiliamo in una viuzza. Arriva una telefonata: gli viene comunicato il parterre che incontrerà durante un talkshow della Rai. Calenda: «Vorrei un confronto con Luigi Di Maio». La voce nel cellulare gli spiega che non è possibile. Sorride: «Un altro rifiuto». Calenda dentro il fronte repubblicano vedrebbe bene l’ex presidente dell’Istat, Enrico Giovannini, «che rappresenta il mondo della sostenibilità», Mila Spicola, «per il suo lavoro sulla scuola» e Marco Bentivogli dei metalmeccanici Cisl, «il sindacato più avanzato».

Perché cita sempre Bentivogli e mai Maurizio Landini?

«Perché Landini oggi è apertamente schierato con i Cinque Stelle».

Mimmo Lucano, il sindaco accogliente di Riace…

«No. Ha fatto grandi cose nell’emergenza, ma si devono prendere persone che affrontino problemi come l’immigrazione in modo articolato. Ci vedrei più il sociologo Stefano Allievi».

Piccolo esame di sinistra: favorevole o contrario ai matrimoni tra gay?

«Favorevole».

L’eutanasia?

«Favorevolissimo».

La fecondazione eterologa e l’utero in affitto?

«Contrario».

Una patrimoniale sui redditi più alti?

«Contrario. Ma sono favorevole all’aumento delle tasse sulle case di lusso, al rifacimento del catasto e allo spostamento delle imposte verso le rendite».

La strada è un po’ dissestata. Il traforo che porta a via Nazionale è illuminato male. Arriviamo al portone di casa Calenda. Saliamo. All’ingresso c’è un cartonato di Winston Churchill con sigaro e mitra. L’ex ministro chiude il discorso sul fronte repubblicano: «Nelle conversazioni private tutti sostengono che il Pd alle Europee non si presenterà con una semplice lista dem. Ora non possono dirlo perché la priorità è il congress…».

Compare un bimbo biondo. «… Giacomo, ora dovresti essere in camera a fare i compiti». Giacomo è il figlio più piccolo di Calenda. In casa ci sono anche Giulio e Livia.

Dicevamo il congresso.

«Andava fatto mesi fa. Non esiste un partito che ottiene la peggiore sconfitta della storia e non fa subito un congresso». Si sente un urlo. «Papàaaaaa». Il papà risponde: «Livia, ora sono con una persona». Mi mostra un quadernone nero in cui le pagine con gli appunti per il libro si alternano a quelle con i disegni della figlia: i dati sull’aumento dell’indice Gini accanto a un gruppo di principesse colorate.

Gli eletti delle liste repubblicane dove siederanno in Europa? Tra i banchi del Pse o tra quelli del Ppe?

«Non credo che ci saranno più queste divisioni. È probabile che il Ppe andrà in pezzi».

Ci sediamo a un tavolo. Calenda comincia a parlare della crisi dell’Occidente, di come i progressisti abbiano idealizzato troppo il futuro e abbiano sottovalutato le paure dei cittadini, figlie della globalizzazione. Attacca anche l’illusione hi-tech e l’infatuazione per le multinazionali del web: «Bill Clinton, Tony Blair, Barack Obama sono diventati sostenitori acritici di Amazon e di Facebook. Hanno abboccato alla retorica dell’innovazione disrupting, dirompente, a qualsiasi costo. Invece diciamolo: Amazon e Facebook sono predoni e andrebbero almeno sottoposti a una web tax su territorio nazionale».

Lei dopo la laurea ha lavorato per cinque anni alla Ferrari, poi in Confindustria. Ha surfato la globalizzazione. Possibile che non si sia accorto di quel che stava succedendo?

«Ce ne siamo accorti, ma la narrazione diceva: il commercio libero aumenterà le esportazioni e difenderà il lavoro. Risultato: record delle esportazioni.…Ma anche record di poveri. È fallito il principio per cui, tolte alcune garanzie, sarebbero arrivate più opportunità: i governi non hanno dato ai cittadini gli strumenti per cogliere quelle opportunità». Entra nella stanza Giulio, dodici anni. Ha finito i compiti. Brandisce un vecchio telefonino.

Quali sono gli strumenti che sta dando ai suoi figli per cogliere più opportunità?

«In casa ci sono regole precise: la televisione è contingentata. Nessuno di loro tre tocca i videogiochi».

Lei è un tiranno.

«I videogiochi sono droga, atrofizzano il cervello. Al momento niente smartphone. Prima che con la tecnologia devono avere a che fare con la cultura».

I ragazzi oggi socializzano con le chat. Suo figlio Giulio…

«Ha una bella fidanzata, fa sport, è felice. Si interessa di politica. È voluto andare alla manifestazione contro il sindaco Raggi».

Racconto a Calenda che l’intervistato della scorsa settimana, il produttore Pietro Valsecchi, lo vorrebbe sindaco di Roma. Scuote la testa: «Sarebbe sbagliato». Perché? «Perché la battaglia si gioca a livello nazionale ed europeo. Avendo a che fare con un governo come quello che c’è oggi, Roma è ingovernabile».

Lei ha avuto uno scontro abbastanza duro con la sindaca Virginia Raggi.

«Ho provato a darle una mano quando ero allo Sviluppo Economico: i file Excel col bilancio della Capitale sono stati redatti da venti giovani fuoriclasse del ministero. Beh, mi sono trovato di fronte a una delle persone più ottuse e arroganti mai incontrate, senza uno staff e col terrore di fare qualsiasi cosa».

Renzi…

«È stato uno dei migliori presidenti del Consiglio che abbiamo avuto. Non parteciperò alla sua damnatio memoriae. Ma è anche vero che la sua comprensione del Paese è stata un disastro. Non ha capito in che epoca viveva. Nel 2015, appena i conti sono andati un po’ meglio, è partito con la retorica della crisi superata. Non era così. Scrissi una relazione sulla paura dei cittadini. Lui mi rispose che non condivideva una parola. Alla fine Renzi ha cominciato a prendersela con il Paese che non seguiva la sua idea dell’Italia sorridente con lo skateboard sotto il braccio. Sono diventati tutti gufi o rancorosi».

Ora Renzi, oltre a essere senatore, è conferenziere e presentatore tv di un documentario su Firenze.

«È libero di farlo. Io ho rifiutato parecchie consulenze e fino a quando faccio politica le uniche lire che guadagnerò saranno quelle della vendita del libro».

Quando gli chiedo se l’appartamento dove vive è suo, replica di getto: «È di mia moglie. È lei quella ricca». Calenda ha fama di essere un pariolino, cioè un abitante dei Parioli, ma ha spiegato più volte di non aver mai vissuto nel ricco quartiere romano.

Ammetterà almeno un’infanzia dorata: suo nonno materno era il regista Luigi Comencini, quello paterno era un celebre ambasciatore.

«Il contesto era privilegiato, certo, ma mio padre e mia madre erano ex sessantottini. Non volevano una lira dai loro genitori. Era una famiglia tirata».

Tirata?

«Attenta alle spese. D’estate si faceva campeggio. Poi i miei si separarono, mia madre si sposò con Riccardo Tozzi…».

… il produttore di Gomorra

«… ci trasferimmo nel quartiere Prati».

Lei a dieci anni recitò nella miniserie tv Cuore. Regia di suo nonno. Ha mai pensato di fare l’attore?

«Mai. Mio nonno sosteneva che il cinema è fatto dai registi e dagli sceneggiatori e che quello dell’attore era un mestiere che non si poteva fare».

Perché?

«Troppo fru fru. Nonno era di cultura valdese: etica protestante e austerità».

È vero che da ragazzo militava tra i giovani comunisti italiani? La Fgci…

«Sì, ero iscritto nella sezione di viale Mazzini. Nel 1987, alla festa nazionale del partito, a Cesena, ero nel team dei pizzaioli. Dato che il Pci aveva perso tre punti percentuali alle elezioni Politiche, infornammo una margherita con la scritta “-3” fatta con la mozzarella. Pietro Folena, il segretario nazionale, non la prese bene».

Calenda a scuola.

«Ero un vero cazzone. Frequentavo il liceo classico Mamiani. Presi due materie il primo anno, quattro il secondo e venni bocciato al terzo. L’anno della bocciatura è quello in cui aspettavo la mia prima figlia, Tay».

Ha avuto una figlia a sedici anni?

«Sì. Mia madre all’inizio non la prese bene. Mi cacciò di casa. Mi trasferii da mia nonna e poi provai una convivenza difficilissima con la madre della bambina. Col tempo mi riappacificai con mia madre e lei mi diede una mano enorme. Tay mi ha salvato la vita».

In che senso?

«Prima ero più che scapestrato. In una notte sono diventato un uomo responsabile. Ora lei ha ventinove anni e abbiamo un rapporto meraviglioso. Vive a Parigi e viene sfruttata in maniera indegna in uno studio fotografico».

L’eterna gavetta. Lei l’ha mai fatta?

«Mentre studiavo Diritto facevo il promotore finanziario e guadagnavo bene. Poi andai a lavorare alla Ferrari con Luca Cordero di Montezemolo: feci un anno di stage prima di avere un contratto».

Montezemolo la portò anche in Confindustria.

«Montezemolo aveva una vision forte. Diede una spinta fortissima all’internazionalizzazione delle imprese. Giocava in attacco. La sua era una Confindustria che quando parlava faceva tremare il governo».

Ora non è così con il presidente Vincenzo Boccia?

«No, le personalità contano».

Lei non ha un buon rapporto con Boccia.

«Ce lo avevo. Poi ho criticato il fatto che per la prima volta nella storia di Confindustria un presidente avesse sponsorizzato un partito, la Lega. Lui mi ha risposto come un bambino dell’asilo».

Boccia ha fatto una battuta sulla cena che lei ha provato a organizzare con i leader del Pd.

«Ecco. Boccia con la sua dichiarazione filo-leghista ha indebolito gli imprenditori e ha contribuito a rendere la sua personalità marginale agli occhi di molti industriali».

Categorie : interviste
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