Sarah Felberbaum (Doppio Binario – 7 – Ottobre 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 18 ottobre 2018)

IL RAGAZZO DELLA GIOSTRA CHIUDE il cancelletto di sicurezza. Si parte. Lo vediamo rimpicciolirsi mentre saliamo. Si comincia a intravedere lo skyline della periferia capitolina. Doppio Binario sulla ruota panoramica del LunEur, con Sarah Felberbaum, 38 anni, due figli, esordio da modella, alcuni spot, qualche serie tv e una quindicina di film con registi assortiti: Rocco Papaleo, Massimiliano Bruno, Andrea Molaioli… Il padre, Harvey, è un newyorkese del Bronx. La madre, Pauline, una londinese un po’ rebel. Lei ha tratti elfico-anglosassoni ed è cresciuta a Roma. Durante l’intervista parla un italiano senza alcuna inflessione dialettale fino a quando non vede comparire sul suo braccio sinistro una zanzara. Allora la fissa, prende la mira, la schiaccia e sfodera un trionfo romanesco: «Devi morì». Il braccio punto dall’insetto è decorato da un tatuaggio filiforme, astratto e colorato. Spiega: «Io e Daniele ce lo siamo fatti uguale». Daniele è De Rossi, capitano dell’AS Roma, marito dell’attrice e padre dei loro piccoli, Olivia e Noah. Tra una settimana Sarah sarà nei cinema con il film corale Uno di famiglia al fianco di Pietro Sermonti, Lucia Ocone e Nino Frassica. Dice: «Sul set c’è stato un ritrovarsi sul piano umano che non avevo mai incontrato». Cominciamo a parlare dell’essere attrici su un set italiano, anche perché la nostra chiacchierata si svolge nel giorno dell’anniversario dell’inchiesta del New York Times sulle molestie e le violenze di Harvey Weinstein, ex boss della Miramax. Felberbaum è stata una delle firmatarie di “Dissenso comune”, il j’accuse delle attrici italiane lanciato sulla scia del movimento #MeToo.

Siete state accusate di non aver fatto il nome di un solo molestatore tra i vostri colleghi.

«È vero, ma quel documento era un inizio: un punto di partenza in un Paese in cui ci si lamenta che non cambia mai nulla».

Le basi: che cos’è per te una molestia?

«Non voglio togliere agli uomini il diritto di corteggiarci. Ma i modi… Il ricatto professionale e le violenze non sono tollerabili. Mai. Weinstein si è giustificato dicendo che è cresciuto in un mondo in cui ci si comportava così. Beh io credo che sia ancora abbastanza primitivo il modo in cui vengono trattate le donne sul lavoro».

Primitivo?

«Fino a poco tempo fa i registi e i produttori organizzavano colloqui in stanze d’albergo. Ti pare normale?».

A Hollywood è in corso una specie di rimozione di Kevin Spacey dall’immaginario cinematografico. Asia Argento, già paladina del #MeToo, è stata cancellata da X-Factor perché accusata di aver fatto sesso con un diciassettenne. Situazioni molto diverse, ovviamente, ma non c’è il rischio di un impazzimento eccessivo su questi argomenti?

«Forse si deve impazzire per poi trovare un equilibrio».

Sembra un proclama giacobino: deve essere mozzata qualche testa per far trionfare una rivoluzione culturale?

«Lo so che non è giusto. Ma probabilmente non c’è un altro modo per far capire alle persone un determinato messaggio. Spesso serve uno shock».

Ora sul banco degli imputati c’è Cristiano Ronaldo, star planetaria del calcio: la modella Kathryn Mayorga lo ha accusato di violenza sessuale. Non c’è gran clamore nell’opinione pubblica per questa vicenda.

«Dici che se ne parla così poco perché Ronaldo è un calciatore?».

Giuliano Ferrara sul Foglio ha scritto che questo attacco al supereroe dei campi di calcio e del sex appeal viene raccontato dai media a mezza bocca e con qualche pudore.

«Ed è sbagliato. Ronaldo è arci-famoso e in Italia il calcio è una cosa santa, chi ha detto che non dobbiamo parlarne?».

Tu scenderesti in piazza per ridar vita al #MeToo nostrano?

«Sì, ma senza isterismi. Non sono una di quelle donne perennemente arrabbiate che puntano il dito contro gli uomini, tanto per… C’è molto lavoro da fare. La parità di trattamento è lontanissima».

Stai parlando del mondo del cinema?

«Non credo che gli attori con cui ho recitato negli ultimi film abbiano ricevuto la mia stessa paga».

Si chiama gender pay gap, la differenza di stipendio tra uomo e donna.

«Esatto. Negli Stati Uniti c’è stato un caso celebre: l’attore Mark Wahlberg, una volta scoperto di aver ottenuto molti più soldi di Michelle Williams per rigirare alcune scene del film su Paul Getty, ha fatto una grossa donazione al movimento anti-molestie Time’s up, a cui aderisce anche la stessa Williams. Ripartiamo da qui, no?».

La ruota panoramica si ferma. La nostra cabinetta è nel punto più alto. Sotto di noi si vede una strada a scorrimento veloce, dei campi di calcio e i tetti di Roma spalmati a perdita d’occhio.

Da quassù sembra funzionare tutto.

«E invece Roma, oggi, fa tanta tristezza. Fa male al cuore vederla così».

Così, come?

«In corso di distruzione, implosa. Sporca e sgarrupata. Sai a quanti romani sento dire: “Ma che la famo a fa’ la raccolta differenziata? Tanto buttano tutto nello stesso mucchio”».

Che cosa gli rispondi?

«Che se anche fosse vero non sarebbe una giustificazione per non fare il nostro dovere di cittadini: fare la differenziata, non sprecare acqua…».

Segui il decalogo ambientalista di Al Gore?

«Seguo l’educazione che mi ha dato mio padre. Le luci si spengono e i rubinetti si chiudono. A Roma serve più educazione e meno aggressività».

Trovi che nella Capitale ci sia molta aggressività?

«Basta stare in macchina mezz’ora per accorgersene».

Il tuo rifugio romano?

«L’orto botanico. Spero che il degrado non lo raggiunga mai».

Sottopongo a Felberbaum la querelle sulla violenza di alcune serie tv che potrebbero creare proseliti tra i giovani: Gomorra, Romanzo Criminale, Suburra… Mi stoppa: «Se il cinema e la tv si auto-castrano e smettono di rappresentare il male per come è, che cosa ci rimane? Recentemente ho visto Sulla mia pelle…».

Il film che racconta il calvario di Stefano Cucchi, picchiato dai carabinieri (secondo le dichiarazioni di Francesco Tedesco) e morto sette giorni dopo il suo arresto nell’ospedale Sandro Pertini, di Roma.

«Film bellissimo. Non violento, quasi delicato nel raccontare un’ingiustizia intollerabile. La prima cosa che ho detto a Daniele appena finito di vederlo, è stata: “Ti rendi conto di che cosa può succedere?”».

Lo hai detto pensando alla perdita di fiducia dei cittadini nelle forze dell’ordine e nel sistema giudiziario?

«Sì. Ma ho pensato anche che un film così importante potrebbe innescare una nuova responsabilizzazione da parte di chi rappresenta lo Stato e le istituzioni». La ruota ricomincia a muoversi. Verso il basso. In pochi minuti Sarah mi fa capire che non le dispiacerebbe prendere parte a una fiction di quelle “fiche” fatte da Sky e che vorrebbe evitare di ripetersi nelle grandi serialità popolari: «In La grande famiglia ho recitato per tre stagioni da dodici puntate. Dopo un po’ si rischia di fare sempre la stessa cosa». Dato che lei qualche anno fa aveva raccontato a 7 di aver “lisciato” il provino per il primo film di Checco Zalone/Luca Medici, le chiedo se parteciperebbe volentieri alla prossima fatica dell’attore/sceneggiatore pugliese. Replica: «Ho grande rispetto per Luca, ma non lo so. Un film al fianco di un attore comico l’ho già fatto, con Alessandro Siani. Dovrei valutare il progetto». La paura di ripetersi prima di tutto. Scendiamo dalla giostra. Ci corre incontro una bimba bionda. È Olivia, la primogenita, quattro anni. Felberbaum: «Hi my love! You want to go to the nonni’s house?». Compaiono i nonni, i suoceri De Rossi. Con loro c’è anche Noah, due anni. «Ai piccoli io parlo inglese e Daniele italiano. La madrelingua è proprio quella che ti viene di usare istintivamente con i figli». Quindi, anche se Sarah ha sempre vissuto a Roma, con i genitori non ha mai parlato in italiano. Le chiedo se, avendo origini newyorkesi, si sia fatta un’idea dell’amministrazione Trump. Risponde che il padre è shockato, anche perché suo fratello Frank ha votato per The Donald.

Squilla il telefono. Arrivano una decina di messaggi. Bip. Bip. Sarah sbuffa. «In tempi di promozione è un continuo».

Non ami la promozione dei tuoi film?

«Non amo essere invitata in trasmissioni dove so che non mi chiederanno nulla del mio lavoro. Spesso negli studi tv dove sono ospite a un certo punto compare una gigantografia di Daniele».

Lo stereotipo della moglie del calciatore…

«Figuriamoci, amo Daniele, ma teniamo separate le vite professionali».

Vai allo stadio?

«Sono libera di non andarci…».

Ci mancherebbe altro.

«… ma ultimamente ci vado di più. Lui ha trentacinque anni e non so per quanto ancora giocherà. Due anni? Tre? Vorrei esserci. Vado all’Olimpico con la mia migliore amica, Ilaria. Lei mi ci portò anche la mia prima volta. Alla fine del match facemmo invasione di campo. Credo di avere ancora da qualche parte la zolla d’erba che presi per ricordo».

Andiamo verso l’uscita del luna park. Prima di salutarci dico a Felberbaum che mi sembra dimagrita rispetto all’ultima intervista che abbiamo fatto nel 2012. Le chiedo se ha un buon rapporto con il suo corpo. Risponde: «Sì, ora sì. Prima era peggio. Qualche sera fa ero ospite negli studi tv di Fabio Fazio e hanno proiettato alcune clip dei miei esordi. Vedendo quelle guance tornite mi sono imbarazzata».

Non ti piacevi?

«Non so. Quando hai qualche chilo in più e fai il mio mestiere le persone che hai intorno sanno essere sgradevoli. Sul set ogni tanto mi hanno fatto notare i chili di troppo. Comunque rientrata a casa, dopo Che tempo che fa, Daniele mi ha detto che con qualche chilo in più sono bellissima, eheheh».

Nel film Uno di famiglia al tuo personaggio viene detto: «È beddicchia, però le minne se le deve rifare…». Sei mai ricorsa a qualche ritocchino di chirurgia estetica?

«No».

Lo farai?

«Forse a settant’anni. Ma non toccherò mai il viso. Non voglio diventare uguale alle altre».

Categorie : interviste
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