Maurizio De Giovanni (Doppio Binario – 7 – Settembre 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 27 settembre 2018)

LA FUNICOLARE SI ARRAMPICA velocemente sulle rotaie in direzione Vomero, quartiere collinare partenopeo. Dopo qualche minuto che stiamo parlando, un anziano magrissimo col cappello in testa si piazza dietro le nostre spalle. Lo guardo incuriosito e lui esclama: «La persona con cui sta parlando è un personaggio pubblico. Ho il diritto di ascoltarlo». L’intervistato, invece di innervosirsi, esclama: «Ha ragione». Segue breve dibattito su come a Napoli i volti noti vengano spesso investiti di responsabilità inaspettate. Doppio Binario con Maurizio De Giovanni, sessant’anni, fabbrica umana di gialli, creatore del Commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone. Negli ultimi dodici anni ha venduto più di due milioni di volumi. E negli ultimi dodici mesi ha scritto quattro romanzi, due opere teatrali, un adattamento per il cinema, sei episodi di una fiction e una valanga di articoli. Quando gli domando se stia pensando di realizzare anche altre sceneggiature oltre a quelle dei Bastardi per la Rai, comincia a srotolare personaggi, produzioni, emittenti assortite: «Dovrebbe partire una fiction che ora ha un titolo provvisorio, L’altra faccia della notte. È un poliziesco con risvolti sociali.

La Palomar di Carlo Degli Esposti ha comprato i diritti per Sara, l’ex poliziotta che sa rendersi invisibile e legge il labiale a distanza. Ho creato un altro personaggio femminile per Sky. E la Lucisano Media Group vuole portare in video Mina Settembre, la dottoressa che lavora in un consultorio dei Quartieri Spagnoli». Gongola: «Diciamo che rompo lo stereotipo del napoletano pigro». Mi spiega che la ruota portante di questa catena di montaggio che sforna storie ininterrottamente è Paola Egiziano, sua moglie, che è anche la custode della sua agenda, l’organizzatrice delle trasferte, la titolare dei rapporti con la stampa, con le case editrici e con le produzioni tv. Racconta, ridendo: «Ultimamente siamo arrivati a livelli mortificanti. Se qualcuno deve venirmi a prendere per andare a una presentazione di un libro, lei chiama lui, non me, per sapere se sono salito in macchina. Come si fa con i bambini che escono da soli per andare a una festa. Si chiama la mamma dell’amichetto festeggiato: “È arrivato? Bene. No, no, non ci voglio parlare”».

Sua moglie la aiuta anche dal punto di vista creativo?

«È lei che ha inventato i nomi di quasi tutti i miei personaggi. Nel caso dell’ultimo episodio dei Bastardi di Pizzofalcone ha pure dato il titolo al romanzo: Vuoto».

È vero che la prima cosa che decide di un suo giallo è la vittima?

«Nel caso di Vuoto è un’insegnante di liceo».

Il libro dovrebbe uscire a inizio novembre…

«Sì, ma l’ho cominciato a scrivere solo qualche giorno fa».

Scherza? Quanto ci mette a scrivere un romanzo?

«Tre o quattro settimane».

Solo?

«Parto da un foglio A3, grande, scritto a mano. Lo divido in punti: che cosa voglio dire nella storia principale, in quella secondaria, nei capitoli d’ambiente… I miei gialli si svolgono sempre in cinque o sei giorni: quindi elenco anche che cosa succede nelle varie giornate. Avendo una scrittura decisamente dimmerda, il foglio A3 lo capisco solo io».

Compilato il foglio A3…

«Comincio a scrivere. E andando avanti cancello i punti segnati».

Quante ore scrive al giorno?

«Dalle otto del mattino alle cinque del pomeriggio».

Orario d’ufficio.

«Dopo un po’ le parole cominciano a non venire più. Scrivo una ventina di pagine al giorno e appena ho finito le passo a Paola, che fa l’editing».

Rilegge, corregge, controlla la coerenza della storia…

«Anche perché io non rileggo mai quello che scrivo».

Boom.

«È così. Se scopro a pagina 200 che sarebbe stato meglio se un personaggio non avesse fatto una determinata cosa a pagina 3, non mi metto a correggere. Nella vita non si torna indietro. E io devo scrivere come la vita». La vita di De Giovanni sono tre vite. Una trilogia. Parte prima: il giovane De Giovanni, nato e cresciuto al Vomero, è uno studente modello, gioca a pallanuoto a livelli agonistici e sogna di fare il giornalista. Parte seconda: quando ha 23 anni muore suo padre e lui, anche per aiutare la madre e i fratelli, entra in banca. Mette su famiglia. Nel 2000 si separa dalla prima moglie e diventa padre affidatario dei due figli, Giovanni e Roberto. Cioè i ragazzi stanno con lui. Parte terza: a quarantotto anni comincia a scrivere romanzi e diventa una star del giallo. Passeggiamo dalla stazione della funicolare fino a piazza Vanvitelli. De Giovanni si immerge nella seconda parte della sua vita: il periodo magico in cui lui e i suoi ragazzi trascorrevano i week-end guardando anche tre film al giorno, la tata ucraina, Tania, che gli dava una mano, il lavoro nell’istituto di credito.

Quando ha smesso di lavorare in banca?

«Tre anni fa. Quando mi sono accorto che con un racconto buttato giù in due ore guadagnavo di più di quel che ottenevo lì in un anno. Non aveva senso».

La leggenda narra che lei fino ai suoi quarantotto anni non aveva mai scritto un romanzo.

«È la verità. Sapevo scrivere e a scuola, in italiano, andavo bene, ma non avevo mai preso in considerazione il percorso narrativo».

Tutto comincia nel giugno 2005 quando partecipa a un concorso letterario, organizzato dalla Porsche, nello storico caffè Gambrinus.

«Ci arrivai grazie a un corso di lettura/scrittura umoristica che stavo seguendo in quel periodo».

La prova del concorso…

«Avevo quindici ore. Ne usai solo una e portai un racconto di otto pagine. Il Commissario Ricciardi nacque lì. Vinsi».

Chi c’era in giuria?

«Gianrico Carofiglio, Carlo Lucarelli…».

Giallisti. Siete una marea.

«È un vero movimento. Nato in Italia con Andrea Camilleri. Nel romanzo giallo, oggi, c’è un rapporto fortissimo con il territorio. Il crimine, organizzato e non, diventa un modo per raccontare il mondo. E il giallo diventa letteratura sociale».

Una letteratura mai premiata.

«Non ho ambizioni letterarie e credo che i premi siano una stronzata. Racconto storie, in una città in cui è quasi inevitabile farlo. Se nasci a Napoli non puoi non essere scrittore. Ovunque si sentono storie: all’edicola, dal meccanico, al bar».

Quando De Giovanni comincia a parlare di Napoli diventa inarrestabile: Napoli e le sue stratificazioni, i vicoli, le voci, la commedia dell’arte. La sgarrupatezza dovuta al fatto che nessuno si percepisce come parte di una collettività. Il rapporto con il mare e l’inevitabile propensione all’accoglienza: non possiamo non essere accoglienti».

Napoli anti-salviniana?

«Eheh».

Parlando della violenza giovanile a Napoli, una volta in un articolo, lei ha riportato una scritta che aveva letto su un muro…

«O si salvano tutti, o non si salva nessuno. Lo ricordo. Riletto oggi potrebbe essere un programma politico, che riguarda anche l’immigrazione. Noi occidentali…».

Cominciamo a chiudere porti e ad alzare muri.

«Cerchiamo di fermare un’inondazione chiudendo la finestra. Può essere un gesto istintivo, ma quanto serve?».

Il governo è poco lungimirante?

«Le persone che ci governano sono state votate a maggioranza. Diciamo che la democrazia è la migliore delle forme possibili, ma largamente imperfetta. Ho un paio di perplessità».

Ce le dica.

«Larghe parti di questa città non sono sotto il controllo dello Stato. Larghe zone di questo Paese non sono sotto il controllo dello Stato. Il porto di Gioia Tauro, lo sanno tutti, riceve circa il 70% della cocaina che alimenta il mercato europeo. Gruppi criminali taglieggiano ampie porzioni di territorio in Sicilia, Campania, Calabria… Posso pensare che il mio problema siano i migranti della nave Diciotti? E posso immaginare che la mia priorità sia l’operazione Spiagge Sicure con cui spezzo le reni ai venditori di collanine? A Napoli c’è un numero elevatissimo di immigrati clandestini e però lavorano, che problema c’è?».

Me lo dica lei.

«Nessuno. La grandezza della lingua di Napoli, di Giambattista Basile…».

… autore seicentesco de Lo cunto de li cunti

«… immenso, a livello di Shakespeare e di Boccaccio. Dicevo la lingua di Napoli… ha dentro di sé parole spagnole, tedesche, francesi, arabe. Il menù della cucina campana ha ingredienti che vengono da tutto il mondo». Provo a riportarlo sul binario professionale, sul fatto che ha annunciato che mancano due volumi alla fine della saga dei Bastardi e solo uno a quella del Commissario Ricciardi. Il suo lavoro… «Parliamo del tifo per il Napoli Calcio?».

Ehm… Le piace il Napoli di Carlo Ancelotti?

«Mi piacciono i risultati. Ma il gioco latita».

Se il Napoli vince lo scudetto…

«Mi metto a dieta. E guardi che alla mia età è difficile».

Napoli, Napoli, Napoli. La dedizione di De Giovanni verso la sua città è missionaria. Racconta: «Quando l’editore Sergio Bonelli mi ha chiesto i diritti per realizzare un fumetto sul Commissario Ricciardi gli ho detto che li avrei ceduti gratis. In cambio però avrebbe dovuto assegnare le sceneggiature, i disegni e gli inchiostri ad autori napoletani. E così è andata».

Lei ama Napoli, ma una volta ha detto che vorrebbe andare a vivere in Canada.

«Quest’estate sono stato ad Asiago e mi ha incantato. Mi è venuta voglia di stare lì un anno. Il Canada è per quando finisco la saga del Commissario Ricciardi».

Perché?

«Soprattutto su Ricciardi le lettrici sono piuttosto reattive. Sono vere fan. E visto quel che ho in mente per l’ultimo libro, è meglio che mi allontani parecchio: vorrei evitare l’effetto Misery non deve morire».

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