Filippo Tortu (Doppio Binario – 7 – Settembre 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 13 settembre 2018)

NEL TEMPO CHE IMPIEGATE per leggere le prime tre righe di questa intervista lui percorre 60 metri. Andate accapo ed è arrivato a 70. Guardate meglio la didascalia della sua foto in canottiera e ha già tagliato il traguardo. Cento metri in nove secondi e novantanove. È stato il primo italiano nella storia ad andare sotto i dieci. L’azzurro più veloce di sempre. Doppio Binario su pista con Filippo Tortu, classe 1998, talento atletico dai piedi alati e sgretolatore di record nazionali. Lo incontro nel centro di allenamento di Giussano, a una ventina di chilometri da Milano. Su richiesta del fotografo sadico, testo la differenza tra la sua velocità e la mia: mi dà una valanga di metri di vantaggio. Lo sento sfrecciare nella corsia accanto. All’arrivo dice sottovoce: «Non so se ti ho superato!». Simula disperazione. Filippo è il contrario della guasconeria modello Usain Bolt. Quando gli ricordo che ha strappato al leggendario Pietro Mennea il record nazionale sui cento metri (che durava da trentanove anni), lui accenna un sorriso timido: «Fa impressione, eh». È fieramente brianzolo, ma si sente sardo. Ha una sagoma della Sardegna tatuata sul fianco e durante le gare vuole vedere sventolare in tribuna la bandiera con i quattro mori. Ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Tempio Pausania, città natale di suo padre Salvino, ex velocista, che è anche il suo allenatore. La leggenda narra che Salvino, prima di fidanzarsi con Paola Confalonieri, madre di Filippo, la sfidò sui cento metri per testare le “qualità” zompettanti dei suoi piedi. Ora il figlio commenta: «Fu una piccola pazzia». Ci diamo del tu.

Sei programmato geneticamente per correre.

«Ahah. Uno potrebbe pensare a un oscuro disegno paterno per costringermi a correre. Uno di quei genitori fissati…».

… come il padre del tennista André Agassi.

«Salvino è il contrario: mi ha sempre incoraggiato a scegliere qualsiasi sport mi piacesse». Padre e allenatore. Una presenza ingombrante. «Se non ci fosse una distinzione di ruoli netta non potrebbe funzionare. In casa lo chiamo “piai”. In pista è “Salvino”, l’allenatore, e ogni tanto discutiamo».

Il motivo delle discussioni?

«I miei ritardi».

Un velocista in ritardo. Quando hai capito di essere davvero veloce?

«Ho cominciato a correre e a giocare a basket a sei anni. Ero svelto ma non segnavo un punto neanche per sbaglio. Quindi ho mollato la pallacanestro e mi sono messo a nuotare. Finite le scuole medie è rimasta solo la corsa».

I primi risultati in pista?

«A quattordici anni ero più lento delle mie coetanee. A quindici ho vinto le prime gare a livello nazionale».

A sedici hai partecipato alle Olimpiadi giovanili di Nanchino. Un disastro.

 «Perché un disastro? È stata una trasferta piacevolissima e spensierata».

Ti sei spappolato entrambi gli avambracci.

«Radio e ulna. Mi hanno operato solo il braccio destro. Al traguardo sono inciampato e… ricordo l’arrivo in ospedale: il responsabile della Nazionale Giovanile, Tonino Andreozzi, cercava di farmi ridere. Ma più ridevo e più soffrivo. In ogni caso una bellissima esperienza». Filippo non ama lamentarsi. Un mese fa ha partecipato agli Europei di Berlino. Quinto posto. Alla fine della gara era deluso. Un cronista ha provato a consolarlo: «Avevi la tosse». E lui: «La tosse non c’entra un cazzo». Ora aggiunge: «È andata così: gli altri sono stati più veloci».

La prossima gara?

«C’è la stagione Indoor, ma non so se parteciperò. E poi i Mondiali del 2019 a Doha. Lavoro per migliorare».

Come si migliora?

«Il mio allenatore…».

Tuo padre…

«Ora sto parlando di Salvino… ha sempre studiato e puntato tutto sulla tecnica e non sulla forza o sulla resistenza. Con una tecnica superiore riesco a compensare quel che non ho fisicamente».

Filippo è alto un metro e ottantasette ed è piuttosto muscoloso. Quando gli faccio notare che non è esattamente uno scricciolo fa la faccia rassegnata e mi invita ad andare a vedere i video delle sue gare: non è un caso che ci siano solo tre uomini bianchi nella storia dell’atletica a essere andati sotto i dieci secondi nei cento metri. I non bianchi sono più di cento. C’è un autentico black power. Ne approfitto per chiedergli che idea si sia fatto della polemica scoppiata in Italia intorno alla foto trionfante delle quattro velociste azzurre che un paio di mesi fa hanno vinto l’oro nella staffetta 4×400 ai Giochi del Mediterraneo.

Raphaela Lukudo, Maria Benedicta Chigbolu, Libania Grenot e Ayomide Folorunso. Le conosci?

«Benissimo».

Stai arrossendo perché oltre a essere fortissime sono bellissime?

«Eheh».

La foto di quelle quattro atlete trionfanti, tutte con almeno un genitore proveniente dall’Africa o da Cuba, ha scatenato un po’ di polemiche on line.

«Agli atleti non è piaciuto che la loro foto venisse strumentalizzata. Nell’atletica i velocisti di colore sono la norma, sono i più forti».

Vuoi dire una parola agli italiani che sui social network in questi ultimi mesi si stanno rivelando molto poco accoglienti nei confronti di chi viene dall’Africa?

«La mamma degli scemi è sempre incinta. Se nel 2018 ancora te la prendi con qualcuno per il colore della sua pelle sei da compatire. Forse se la gente trascorresse meno ore sui social network e dedicasse più tempo allo sport non ci sarebbero tutti questi problemi».

Torniamo a parlare di velocità. Di miti e di leggende dell’atletica. Si impara anche guardando la tecnica degli altri campioni?

«Non tutti i grandi hanno una grande tecnica: il giamaicano Asafa Powel è perfetto. È il manuale della corsa».

Usain Bolt è più veloce: è il primatista mondiale sui 100 metri con 9 secondi e 58 centesimi.

«Bolt non ha una corsa perfetta. Ma è in grande sintonia col proprio fisico maestoso. Il più forte di tutti i tempi».

Hai mai gareggiato con Bolt?

«Ci siamo allenati nelle stesse corsie. È un armadio a quattro ante».

Chi è il suo erede?

«Christian Coleman sui 100m e Noah Lyles sui 200m. Ma la cosa bella rispetto a quando c’era Bolt è che oggi il risultato non è certo».

Asafa Powel avrà una tecnica perfetta, ma nel 2013 venne squalificato per doping. Il doping…

«Chi si dopa dovrebbe essere squalificato a vita, perché il doping va contro qualsiasi etica dello sport».

Tu quanto ti alleni?

«Circa due ore al giorno. Palestra, pista, ma ripeto: facciamo soprattutto tecnica. Si tende a pensare che più corri, più fai fatica e più ottieni risultati. Noi, invece, abbiamo sempre lavorato più sul come che sul quanto. Lo abbiamo fatto in maniera maniacale, ma mantenendo sempre una certa leggerezza. Lo so che sembra un ossimoro, ma noi siamo così». Quando Filippo usa la prima persona plurale, si riferisce allo staff della Sprint Academy, la struttura creata dal padre per curare la velocità degli sportivi non solo nell’atletica leggera. Mentre tocco con mano la sua di velocità, ne approfitto per chiedergli se un velocista si accorge di quando ha realizzato un tempo eccezionale rispetto ai propri standard.

Quando sei passato dal tuo precedente record sui 100 metri (10”03) allo storico 9”99 te ne sei accorto?

«Certo».

Parliamo di quattro centesimi di secondo.

«Quattro centesimi di secondo sono un mondo. Ci si percorrono cinquanta centimetri».

Nei 200 metri ancora non brilli.

«I 200 sono un’altra gara. È una gara più pensata. Li faccio, però mi manca esperienza».

Uno dei tuoi miti Livio Berruti correva soprattutto i duecento metri.

«Il documentario sulla sua vittoria alle Olimpiadi di Roma del 1960 l’ho visto una cinquantina di volte».

Lo hai mai conosciuto?

«Sì. E mi ha consigliato di restare come sono. Mi ha detto: “Ti devi divertire e devi mantenere la gioia di gareggiare e di andare in pista tutti i giorni”».

Se dovessi partecipare alle Olimpiadi di Tokyo, nel 2020…

«Ehm…».

Sono corna quelle che hai fatto?

«Eh…».

Correrai con gli occhiali scuri, come Berruti nel ’60?

«No. Magari, come lui, userò le scarpette bianche».

Proviamo qualche partenza. Tortu sistema il blocco. Si mette in posizione. E… in pratica spara se stesso in pista. Lo inseguo. Oltre che di trasmissioni e documentari sportivi («Mi guardo anche i mondiali di freccette»), è ghiotto di commedie italiane. Sostiene di sapere praticamente a memoria il film L’allenatore nel pallone con Lino Banfi. Lo metto alla prova: che cosa è la bi-zona? Replica: «Facile. Lo schema 5-5-5 di Oronzo Canà». Finiamo per parlare dei suoi colleghi atleti che per arrotondare si sono dati allo show business. Lui stesso, attualmente è il testimonial della velocità del traffico dati per un noto operatore telefonico.

Il tuo futuro è nel mondo dello spettacolo?

«Non necessariamente. Io punto alla prestazione. So che con le prestazioni arriveranno anche molte offerte».

Alcuni tuoi colleghi atleti sono finiti negli show tv. Ballando con le stelle

«Ma io non sono buono a ballare».

Sei iscritto alla facoltà di Economia, alla LUISS di Roma.

«Non ho mai pensato di non fare l’Università. In futuro potrei lavorare nell’azienda della famiglia di mia madre: fanno accessori per mobili, da bravi brianzoli. Ma non escludo di rimanere con la Guardia di Finanza: da tre anni gareggio con la squadra delle Fiamme Gialle».

Hai mai pensato di andare ad allenarti in America?

«Dopo il diploma ho ricevuto molte offerte di borse di studio da parte di college statunitensi. Ma ho preferito restare in Italia».

Perché?

«Ero certo che in America non avrei trovato un allenatore preparato quanto il mio. E poi non volevo lasciare il mio Paese, la mia famiglia, i miei amici». Rispetto a molti suoi coetanei Filippo non è smartphone addicted. Ovviamente non può bere troppi alcolici. E gioca con i videogiochi solo quando la nonna Titta gli presta la sua casa in Brianza. «Diventa il nostro punto di ritrovo. Gli amici non vogliono mai che sia io a mettere la musica».

Perché?

«Perché invece di ascoltare la trap, amo Fabrizio De André, Patti Pravo, Lucio Battisti. Ho fatto pure un corso per studiare la musica rock».

Sei tifoso di calcio?

«Juventino sfegatato. In camera ho appesa al muro una mini maglia in terracotta del centrocampista Pavel Nedved».

Ora alla Juve c’è Cristiano Ronaldo…

«Io ho sempre preferito Leo Messi».

Oltraggio.

«Mica ho detto che è scarso. Comunque ieri ho fatto l’asta del Fantacalcio e quando sono riuscito ad acquistare Ronaldo per la gioia mi sono buttato in piscina vestito. Con indosso la maglia della Juve, ovviamente».

Ronaldo è velocissimo.

«Mi piacerebbe acquisire la sua determinazione in allenamento».

Lo potresti sfidare nei 100 metri.

«Ma dai…».

Dici che lo lasci indietro di molti metri?

«Beh, insomma… Non lo dico io. Lo dice il cronometro».

Categorie : interviste
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