Barbara Lezzi (Doppio Binario – 7 – Settembre 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 6 settembre 2018)

IL FOTOGRAFO PROVA UN’INQUADRATURA VERTICALE E DICE: «Lei è molto alta». Replica: «Giocavo a basket. Ero abbastanza pigra. Mi piazzavo sotto al canestro e aspettavo». Mima il movimento di un tap-in, con le braccia stese in alto. Ciuff. Doppio Binario tra corridoi di Palazzo Chigi con Barbara Lezzi, 46 anni, ministra del Sud e ariete catodico dei Cinque Stelle: Bruno Vespa ha elogiato la sua dialettica durante un confronto economico sulle clausole di salvaguardia a Porta a Porta e molti conduttori ne hanno assaggiato la vis polemica. Appena accenno al tema delle poche competenze dei parlamentari grillini e della scarsa preparazione di alcuni ministri dell’attuale governo, scatta: «Chi ha reso l’Italia il fanalino di coda della crescita europea? I competenti? I preparati? È scoraggiante quello che viene scritto ogni giorno su di noi dai cronisti». Le faccio notare che da due mesi piovono gaffes e che di scoraggiante c’è il modo in cui i giornalisti vengono malmenati sul blog di Beppe Grillo. Replica: «Se ci volete fare una critica di merito fatecela, ma se mentite diventa tutto mortificante. Ed è grottesco chiamare incompetenti noi: il Paese cade a pezzi per come è stato amministrato male. Lasciateci il beneficio del dubbio. Lasciateci provare, no?». Lezzi sostiene che il suo gol come ministro del Sud sarà il buon utilizzo dei fondi di coesione e dei soldi europei che rischiano di andare sprecati per incuria: «Sto girando tutto il Meridione. Taranto, Gioia Tauro, Palermo…». Chioso: «Visite di rappresentanza». Spiega: «Macché, sono incontri tecnici, con i capi di gabinetto e con i responsabili delle progettazioni». Durante la crisi della nave Diciotti, l’imbarcazione della Guardia Costiera carica di migranti africani costretti a restare a bordo, Lezzi ha preso le difese del presidente della Camera, Roberto Fico, che aveva invocato un’immediata operazione di sbarco. Ma quando le chiedo se la durezza della linea salviniana le ha creato imbarazzo, risponde: «Sono più imbarazzata per un’Europa che non muove un dito per risolvere il problema dell’immigrazione. Accoglienza significa integrazione, ma da noi oggi ci sono milioni di poveri e non c’è più disponibilità da parte dei cittadini. L’Europa dovrebbe essere più solidale. Ma sappiamo una cosa…».

Che cosa?

«Che con l’Europa i metodi diplomatici non servono».

Quindi si passa ai ricatti fatti sulla pelle dei migranti?

«Noi abbiamo salvato e accudito i migranti della Diciotti».

La Procura di Agrigento ha indagato Salvini per sequestro di persona, arresto illegale e abuso di ufficio.

«L’azione della magistratura è più che benvenuta. Facciano chiarezza. Ma il tema dell’immigrazione non si può ridurre al caso Diciotti. Io non sono contenta di un’accoglienza che ha rapporti con la mafia e che porta i migranti a lavorare nei campi per due euro all’ora. E non posso tollerare che le giovani africane vengano sfruttate come prostitute. Noi vogliamo stroncare questo meccanismo. Il vero muro contro muro con l’Europa, comunque, lo stiamo facendo sul bilancio».

Avete minacciato di non versare la quota italiana nel bilancio comune europeo.

«L’Europa secondo me sta capendo che facciamo sul serio».

In realtà sembra che alcuni ministri lavorino per rompere i rapporti con l’Ue.

«Rompere? Per me l’Europa è un sogno di solidarietà».

Pensavo che lei fosse euroscettica.

«Lo sono nei confronti di questa Europa. Ma sono orgogliosa di come l’avevano immaginata i padri fondatori: l’Europa ha senso se parla al suo interno con fratellanza. Noi vogliamo indurre l’Europa a essere più solidale».

Viktor Orbán, il premier ungherese, amico di Salvini, non ha una visione dell’Europa molto solidale. Lei si sente più vicina a Orbán o al premier spagnolo, il socialista Pedro Sanchez?

«Di sicuro non sono vicina a Orbán. Non l’ho mai preso in considerazione».

È ipotizzabile un’Europa solidale senza una moneta comune?

«Perché dovrei immaginare l’Europa senza una moneta comune?».

Perché in passato ha raccolto le firme per un referendum sull’euro. E perché molti economisti leghisti vorrebbero lasciare l’Eurozona.

«Nel contratto di governo questa opzione non c’è. E alla base della mobilitazione dei Cinque Stelle c’era la proposta di introdurre gli Eurobond».

Non pensa che Salvini stia svuotando il vostro bacino elettorale?

«No. Noi perseguiamo un contratto che abbiamo sottoscritto. Nel contratto c’è anche la gestione dei migranti».

Nel contratto c’è anche il reddito di cittadinanza di cui si è persa traccia.

«Per realizzare tutte le riforme ci prendiamo il respiro di una legislatura. Il reddito di cittadinanza è una priorità e già in questa prima legge di Bilancio ci sarà qualcosa. Non è una riforma ideologica, è una riforma che vuole contrastare la povertà. Intanto con il Decreto Dignità abbiamo cominciato a combattere un precariato che così non può andare avanti. A breve proporrò una decontribuzione per le assunzioni nel Sud».

Prima della fine della legislatura approverete anche la Flat Tax?

«È nel contratto».

È considerata una legge iniqua.

«Se fatta bene è una buona riforma».

Non prevede una adeguata progressività dell’imposizione fiscale.

«Noi proponiamo un’aliquota fissa per i redditi fino a 100mila euro. E vorremmo alzare la “no tax area” per salvaguardare i redditi più bassi. La progressività dell’imposizione fiscale è in Costituzione e non è prevista una riforma costituzionale in questa direzione. In ogni caso saranno gli elettori a giudicarci. Diranno: dovevano fare la Flat Tax, l’hanno fatta? Dovevano fare una buona legge anti-corruzione, l’hanno fatta?».

La farete?

«È quasi pronta».

Approverete anche una legge più dura sul conflitto d’interessi?

«C’è nel contratto?».

Me lo dica lei.

«C’è, c’è, e la faremo».

Essendo nata in provincia di Lecce quando parla dei guai pugliesi si scalda in modo particolare: su Youtube per settimane ha spopolato un suo litigio con Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia, sulla TAP e sugli snodi ferroviari da sviluppare. La TAP, cioè la TransAdriatic Pipeline, è l’impianto che dovrebbe portare il gas dall’Azerbaigian all’Europa, e per Lezzi è un tasto dolente: dopo il voto dello scorso marzo ha dichiarato che il Movimento Cinque Stelle ha preso più del 50% dei voti in alcune zone della Puglia proprio grazie alle posizioni No TAP. E ora si ritrova in un governo che, a più voci, ha confermato che i lavori della TAP devono andare avanti.

Sta vivendo sulla sua pelle la differenza tra la politica movimentista di lotta e le responsabilità di governo.

«Il presidente Giuseppe Conte, a differenza di Matteo Renzi, ha incontrato i sindaci interessati all’infrastruttura».

Lei è stata fischiata dai No TAP, durante un incontro all’Università di Lecce.

«Erano tre persone. Ma non era la prima volta che venivo contestata dal Comitato».

Perché?

«Perché io, pur essendo contraria alla TAP, non sono favorevole a prendermela con gli agenti di polizia durante le manifestazioni presso il cantiere di San Foca, a Melendugno».

Considera la sconfitta dei No TAP definitiva?

«Non mi pare opportuno parlarne ora che il dossier è in mano al premier. Ma c’è una bella differenza tra aver ereditato quell’opera e averla decisa e imposta, non crede?».

Ora per lei non è complicato affacciarsi da quelle parti?

«No. Sono stata in vacanza a San Foca, nel Leccese, fino a qualche giorno fa».

A Lecce lei è nata e cresciuta.

«Infanzia e famiglia tranquilla. Mio padre era impiegato in banca, mia madre casalinga».

Letture giovanili?

«Le affinità elettive di Goethe. Lo sto rileggendo proprio in questi giorni».

Studi?

«Da perito aziendale, nell’Istituto Tecnico “Grazia Deledda”. Poco dopo il diploma ho cominciato a lavorare nel settore amministrativo di una piccola azienda che si occupa di attrezzature per orafi e per orologiai. Ci sono rimasta più di vent’anni».

Fino all’ingresso in Senato nel 2013. Tra quattro anni, finita la sua seconda legislatura, tornerà a lavorare lì?

«Certo, sono in aspettativa».

Una ministro che torna a fare l’impiegata…

«Lì ho un contratto a tempo indeterminato».

Il primo approccio con la politica?

«Dopo la scuola, a inizio anni Novanta, mi ero avvicinata ad alcuni circoli di sinistra…».

Rifondazione comunista?

«Esatto. Poi quando ho cominciato a lavorare ho perso un po’ di interesse».

Come si è avvicinata al Movimento Cinque Stelle?

«Attraverso internet. A inizio anni Duemila ho cominciato a rendermi conto che quel che leggevo sui quotidiani e che ascoltavo nei tg non corrispondeva alla realtà che vivevo. Così ho iniziato a frequentare il web e il blog di Beppe Grillo: lì ho ritrovato la descrizione del Paese reale. Soprattutto sui temi ambientali: l’Ilva, gli scarichi abusivi, gli impianti inquinanti…».

Lei è praticamente il prototipo di come nasce e cresce un militante Cinque Stelle.

«Eh sì. Nel 2007 andai al primo V-Day per mettere le mie firme e chiedere un parlamento pulito».

Il primo incontro con Grillo?

«Nel marzo 2012, quando presentammo le liste per le amministrative. Nevicava e Beppe era in bermuda».

Aveva un buon rapporto con Gianroberto Casaleggio?

«Sì. Lui era un uomo di pochissime parole. Ma con quelle poche parole riusciva a dipanare tutti i dubbi che gli sottoponevi».

Molti ex pentastellati hanno raccontato che nel Movimento decideva tutto lui.

«Maldicenze».

La democrazia interna del Movimento Cinque Stelle è notoriamente claudicante.

«Ma chi lo dice?».

Lei stessa qualche anno fa dichiarò che sarebbe stato opportuno allargare il numero di rappresentanti del direttorio. Ora avete addirittura un unico Capo Politico, Luigi Di Maio.

«Con la piattaforma Rousseau riusciamo a condividere e a sintetizzare le istanze dei militanti. E Luigi ha una grande capacità di ascolto».

Mentre ci regala quest’immagine santino del Movimento, arriva una telefonata.

«Rocco, due minuti e scendo». Chiedo: «È Casalino, il responsabile della comunicazione pentastellata?». Replica, ridendo: «No, no. È Rocco mio marito».

Padre di suo figlio Cristiano Attila. Gli avete dato questo nome per amor di ossimoro o è un omaggio a Leone I il Papa che convinse Attila a non marciare su Roma?

«Come sempre è tutto molto più semplice: ci piaceva il suono dei nomi».

Categorie : interviste
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