Eusebio Di Francesco (Doppio Binario – 7 – Luglio 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 26 luglio 2018)

INTERVISTA IN MOVIMENTO, NEL SENSO CHE che si svolge tra terzini che si sovrappongono ad attaccanti e mediani in pressing costante. Tutto scandito dal suono di un fischietto. Fii, fii. «Orizzontale, scarica la palla e vai verticale». Doppio Binario a Trigoria, sede della A.S. Roma, con l’allenatore Eusebio Di Francesco. È in corso il ritiro giallorosso. Prima di raggiungere i ragazzi sul campo appena innaffiato, ci accomodiamo in un stanza/spogliatoio. È l’antro di Di Francesco, dove vengono elaborati schemi e strategie. Lui ha un passato da turbo-trattore del centrocampo e un presente da allenatore dell’anno: nella scorsa stagione ha portato la Roma sul podio della serie A e tra i primi quattro club europei con l’incredibile remuntada contro il Barcellona di Leo Messi. Per i non addetti: la Roma aveva perso 4-1 all’andata dei quarti di finale di Champions League contro i blaugrana e al ritorno è riuscita a vincere 3 a 0, raggiungendo così le semifinali. Di Francesco è di scuola zemaniana, 4-3-3, ma rivendica una propria organizzazione di gioco. Dice «Il mio calcio…», e per questo c’è chi lo ritiene un po’ presuntuoso. Ha un braccialetto metallico al polso sinistro con sopra incisa la scritta: «Le cose buone accadono a chi sa aspettare. Le cose grandiose a chi si spacca il c… per farle accadere e non molla mai». Spiega: «Me lo hanno regalato alcuni amici». Ha fama di non essere calciocentrico. Gli chiedo un parere sul commento becero che è circolato sul web dopo la finale dei Mondiali («Non ha vinto la Francia, ha vinto l’Africa»). Risponde: «I social network danno voce a troppi leoni da tastiera». Obietto che purtroppo da qualche tempo in Italia si è innescata una pericolosa giostra xenofoba. I profughi, i naufraghi disperati… Dice: «È corretto introdurre controlli e regole per gli immigrati, ma si deve anche dare a queste persone la possibilità di vivere degnamente». Parliamo di calcio. Gli chiedo chi sia il giocatore che lo ha impressionato di più durante il Mondiale appena terminato. Replica: «Sapevo che fosse forte, ma non immaginavo che Mbappé, a 19 anni, fosse già così determinante». Tra le fissazioni più antiche del tecnico della Roma c’è anche un altro giocatore della Francia: Paul Pogba. Spiega: «In Russia si è messo a disposizione della squadra». Di Francesco si alza e si mette alla lavagna. Prende un magnete blu e comincia a descrivere i movimenti con cui Pogba è arrivato a segnare in finale contro la Croazia: «Ha doti fisiche straordinarie». Visto che per il prossimo anno si parla di una lotta a quattro per lo scudetto tra Juventus, Roma, Napoli e Inter, gli propongo un gioco.

Se potesse rubare un giocatore a una delle sue avversarie…

«Escludiamo gli attaccanti da quaranta gol a stagione?».

Non vorrebbe anche lei Cristiano Ronaldo in squadra?

«Troppo facile. Ai bianconeri ruberei Giorgio Chiellini».

Difensore centrale ruvidissimo.

«Sarebbe bello piazzargli una telecamera addosso per tutta una partita, per mostrare che cosa sono la determinazione, la cattiveria, il desiderio di prevalere sull’avversario e di non perdere mai un duello. Poi potrà pure fare qualche errore tecnico, ma la mentalità è esemplare».

L’uomo da sottrarre al Napoli?

«Il senegalese Kalidou Koulibaly, prototipo del difensore perfetto».

E all’Inter?

«Milan Škriniar. L’Inter sarà molto competitiva. Ma vedo il Napoli, guidato da un allenatore come Carlo Ancelotti, abituato a vincere, un pelino sopra».

L’anno scorso la sua Roma è arrivata terza in campionato e ha raggiunto la semifinale di Champions. Metterebbe una firma per ripetere questo risultato?

«No. Si fa questo lavoro per migliorarsi. Parlo di qualità del gioco, di gestione della squadra, di comportamenti…».

Comportamenti. È vero che dietro la cessione di Radja Nainggolan all’Inter ci sono anche problemi disciplinari? Lei a gennaio scorso lo tenne fuori da un match importante con l’Atalanta a causa di un video, comparso in Rete, in cui il Ninja fumava, beveva e bestemmiava.

«Con lui ho un bel rapporto, ci ho parlato. La cessione è legata sia a fattori economici sia a situazioni accadute in passato. La scelta di tenerlo fuori dalla prima partita del 2018 fu molto discussa, ma se si vuole portare avanti un’identità della squadra fatta anche di regole e di etica, a volte bisogna fare scelte che possono non piacere».

Quando dico a Di Francesco che Javier Pastore, ex centrocampista del Paris Saint Germain acquistato dopo la cessione di Nainggolan, sembra un po’ lentino per gli schemi vorticosi della sua Roma, l’allenatore esclama: «Pastore lento?». Poi afferra un mazzo di cartelline per documenti, estrae un foglio e dice: «Guardi, questi sono i chilometri corsi da Pastore durante l’amichevole contro il Latina. Ha trottato più di tutti. E sulla velocità è stato secondo solo a Lorenzo Pellegrini». Ogni giocatore ha una tabella su cui sono segnati tempi, battiti cardiaci, performance in partita e in allenamento. Parliamo di come il calcio sia cambiato negli ultimi venti anni. Di Francesco: «Ci siamo evoluti. Andiamo incontro al cambiamento. Con ogni squadra, poi, bisogna adattare i propri metodi. In linea di massima con me si ride e si scherza prima e dopo, ma mai durante una partita o un allenamento».

È vero che non le piace che i suoi calciatori giochino troppo con la PlayStation?

«Ho letto che esagerare con le consolle riduce la capacità attentiva. Se un calciatore sta tre ore concentrato su un torneo di PlayStation poi rischia di seguire male il lavoro tecnico-tattico di giornata».

È vero anche che regala libri ai suoi giocatori?

«Ne ho regalato recentemente uno a Mirko Antonucci…».

…centrocampista giallorosso diciannovenne, che andrà in prestito al Pescara…

«…un volume di psicologia dei comportamenti».

Lei che cosa sta leggendo ora?

«Mindset di Carol Dweck».

Sottotitolo: «Cambiare forma mentis per raggiungere il successo». Lavora molto sulla motivazione.

«Prima delle partite mi capita di scrivere frasi motivazionali sulla lavagna dello spogliatoio o di inviarle ai ragazzi».

Dove le prende?

«Uno di quelli che cito di più è Nelson Mandela. Condivido l’idea che una squadra sia un corpo unico, con un’unica anima». Ci muoviamo verso il campo d’allenamento. Un piccolo rimbrotto scherzoso a Dzeko, sorpreso fuori dalla sua stanza, e una breve pausa nella zona relax per una partitella a calcio balilla. I pupazzetti rossi e blu vestono delle micro-maglie della Roma. Di Francesco scherza sulla disposizione dei giocatori del biliardino: «È uno strano 2-5-3: un 4-3-3 con i terzini laterali perennemente in attacco».

Qual è il suo asse centrale ideale? Può scegliere tra giocatori di diverse epoche.

«Che cosa intende per asse centrale?».

Un portiere, un difensore, un centrocampista, un attaccante.

«Gianluigi Buffon, Paolo Maldini, Zinedine Zidane e… se l’attaccante deve essere una prima punta… Ronaldo, il Fenomeno. Zidane e Ronaldo sono i più forti contro cui abbia mai giocato. Decisamente fuori dal normale».

Tra gli ex compagni?

«Francesco Totti su tutti».

Anche se fisicamente non era irresistibile?

«Quando ci allenava Zeman, Totti era sempre con me nel primo gruppo delle ripetute da un chilometro».

Le ripetute di Zeman.

«Per quattro giorni consecutivi ci toccavano dieci ripetute da un chilometro. Zeman chiamava questo esercizio “la caratteriale”, perché mostrava la capacità di sofferenza dei giocatori».

Lei con quali tempi percorreva quel chilometro?

«Io ero sempre intorno ai tre minuti. Il mio record sull’ultimo dei dieci chilometri è stato 2 minuti e 54 secondi. Diciamo che poi ho pagato per questi sforzi».

Arriviamo sull’erba. Di Francesco si siede per terra con un movimento lento e un po’ macchinoso: «Mi sono appena operato a entrambe le anche».

È vero che da ragazzo prima di giocare a pallone è stato ciclista?

«Tra i sei e i nove anni ho corso con le Frecce Azzurre di Sambuceto, la cittadina in provincia di Chieti dove sono cresciuto. Ma appena potevo, andavo a giocare a calcio in mezzo ai terraponi».

I terra…che?

«I terraponi, le zolle erbose di terra. Ero sempre il più piccolo. Gli amici più grandi mi portavano in giro per sfidare i ragazzi delle vie confinanti».

La sua prima maglia?

«A quindici anni dovetti scegliere tra Pescara ed Empoli. Mio padre mi disse che se fossi rimasto in Abruzzo mi avrebbe fatto anche lavorare nel ristorante di famiglia. E mi fece capire che per fare davvero il calciatore sarebbe stato meglio partire. Andai ad Empoli».

Suo padre l’ha chiamata Eusebio in onore del celebre calciatore portoghese, Pallone d’Oro del 1965. Qual è stata la sua partita esemplare, da calciatore?

«L’emozione più grande l’ho avuta a 29 anni con l’esordio in Nazionale ad Anfield: Galles-Italia. Vincemmo due a zero. E poi lo spareggio per rimanere in A contro il Cagliari, quando giocavo a Piacenza, nel giugno 1997. Per giocare rinunciai a una convocazione in Nazionale. Feci un’ottima prestazione».

Lei ha tre figli. Chi è calcisticamente il più talentuoso?

«Non posso togliere meriti a Federico…».

…attaccante esterno del Sassuolo…

«…Mattia, il secondogenito, ha qualità fisiche importanti, ma ora studia Scienze Motorie. Luca, il più piccolo, ha dodici anni, non ha mai giocato in una squadra, ma dice che farà il calciatore».

Cominciamo a parlare dei mali del mondo del pallone. Di Francesco prima ribadisce che vedrebbe bene alla guida della Federcalcio il suo antico sodale Damiano Tommasi, poi si dice favorevole alla partecipazione delle squadre “primavera” dei grandi club nei campionati minori e infine si sfoga sui vivai.

Oggi persino la Masia, la leggendaria cantera del Barcellona perde colpi: i giocatori vengono venduti giovanissimi ai club, voraci di talenti.

«Regnano gli interessi dei procuratori. Portano i ragazzi fuori dai vivai e li fanno subito guadagnare. Ma senza avere un progetto tecnico».

Il denaro fa comodo anche alle famiglie dei giovani calciatori.

«Sì, ma i soldi facili non servono alla crescita dei ragazzi. Un giovane dovrebbe passare attraverso un’evoluzione anche nei guadagni: per capire il valore del lavoro».

Una buona teoria. Nel frattempo la Juventus acquistando Cristiano Ronaldo ha chiuso un affare da 400 milioni di euro. Qualche operaio della Fca per protesta è entrato in sciopero.

«Grande rispetto per gli operai, ma è anche vero che il calcio è una delle industrie che produce di più in Italia. Un affare come quello di Ronaldo oggi lo avrebbe potuto realizzare solo la Juve che ha un suo stadio e un merchandising avanzatissimo».

Lo stadio della Roma.

«Mi auguro che venga realizzato presto. Sarebbe giusto».

Per ora si son visti imprenditori e politici in arresto.

«Ho parlato con Mauro Baldissoni, direttore generale della Roma. Mi ha rassicurato sul fatto che noi non abbiamo a che fare con quella vicenda».

Gli stadi italiani sono sempre più degli sfogatoi sociali, luoghi senza regole.

«Mi infastidisce molto quando ci vado e sento parolacce in libertà, anche di fronte a bambini piccoli. Mi passa la voglia. Ma sa qual è la cosa che sopporto meno?».

Quale?

«Vedere i tifosi che invece di sostenere la propria squadra, hanno come obiettivo principale quello di offendere gli avversari».

Categorie : interviste
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