Noemi (Doppio Binario – 7 – Aprile 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 26 aprile 2018)

A UN CERTO PUNTO la piccola pitbull si libera dal guinzaglio e insegue la palla dei giovani canottieri, Noemi urla «Dàccess, sit. Dàccess stéi», ma è troppo tardi. Lei apre la mandibola e…pfffff. Si pronuncia Dàcces ma in realtà si chiama Duchess, perché il quadrupede è nato e cresciuto in Inghilterra e Noemi, che in realtà si chiama Veronica Scopelliti, l’ha ereditato da un amico quando viveva a Londra. Doppio Binario con Noemi e con Duchess, quindi, intorno al laghetto dell’Eur (a Roma Sud), tra canoe, pedalò e SUP (Stand Up Paddle), cioè la tavola su cui si dovrebbe stare in piedi pagaiando. La cantante dai capelli arancioni ha trentasei anni, una voce densa e scura, gli occhioni verdi («Non sono azzurri, so’ verdi») e parla con fierissima cadenza romana. Indossa dei sandaletti un po’ fricchettoni che la fanno traballare ogni volta che Duchess scatta in avanti. Accoglie con grandi sorrisi tutti i rappresentanti dell’esercito del selfie che la importunano. Clic. Lei è cresciuta in questo quartiere e ora ci vive con Gabriele Greco, fidanzato nonché bassista.

Mentre ci facciamo largo su un praticello abbastanza curato le chiedo un paragone tra la vita sulle sponde del Tamigi e quella dalle parti del Tevere. Ci diamo del tu. Esclama: «Vuoi parlare delle buche per strada? Ahahah». Continua: «Roma è superiore: i profumi, gli scorci… Il problema sono i romani. Siamo oziosi, invece di rimboccarci le maniche aspettiamo sempre un salvatore. Siamo sornioni. Ma andiamo avanti così da vent’anni, la città rischia di finire in coma. In compenso il movimento musicale…». Seguono considerazioni sul fatto che le crisi, sociali o umane che siano, sono concime per l’arte: «Se sei triste scrivi da paura. E oggi che i social hanno creato una crisi autistica dei rapporti umani, chi ha un po’ di sensibilità ne scrive». Noemi sfodera un sorprendente elogio della scena musicale indie capitolina, cioè quanto di più apparentemente lontano dalle corde di una cantante che piroetta da anni tra talent show (X-Factor e The Voice) e major della discografia. Dice: «In realtà mi sento più affine alla scena indie che a quella pop. Ai ragazzi che oggi suonano a Roma invidio un po’ il sound, preso dagli Anni 80 e rielaborato, e i tanti luoghi dove possono esibirsi».

Di chi stiamo parlando?

«Di Charlie Charles, di Frenetik & Orang3, di Carl Brave, di Calcutta… Come luoghi, ne cito uno: lo Spaghetti Unplagged domenicale organizzato da Gianmarco Dottori nel locale Marmo. Quando ho cominciato io non c’era niente di simile».

Tu dove cantavi?

«Mi sono fatta anche tanti bar e tante pizzerie. E questo mi ha decisamente preparata ad affrontare alcune situazioni imbarazzanti».

Per esempio?

«La prima volta che ho aperto un concerto di Vasco Rossi, al PalaIsozaki di Torino, sono stata accolta da un bel “Ollellé ollallà faccela vedé faccela toccà”».

Come hai reagito?

«Li ho portati dalla mia parte cantando lo stesso motivetto. Te ne racconto un’altra, ma non scriverla…». Racconta. «Stadio Olimpico. Vasco mi aveva invitata a vedere il suo concerto. Lui per me aveva scritto Vuoto a perdere. Ero nel pit (l’area parterre sotto al palco, ndr) e un tipo dietro di me comincia a urlare “Noemi, Noemi…”. Mi avvicino e dice: “Io ieri ho comprato il tuo disco, ma Vuoto a perdere non c’è. Mi mostra la custodia del cd e… era quello di Annalisa, ahahah”».

A fine maggio Noemi porterà in tour i suoi ultimi inediti raccolti nell’album La luna. Mentre Duchess sgranocchia una bottiglia di plastica e la cantante cerca di restare in equilibrio su una tavola galleggiante, le chiedo se sia vero che uno dei pezzi, Porcellana, sia dedicato agli attacchi di panico, attacchi di cui la stessa Noemi ha raccontato di soffrire. Annuisce: “È una canzone che non ho scritto io. Il testo è di Emiliano Cecere. Ho scoperto che anche lui ha sofferto di attacchi di panico. Ci sono dei versi che descrivono perfettamente la sensazione di accartocciamento ovattato, sordo, che ti prende…». Il tuo primo attacco di panico. «A Sanremo il 13 febbraio 2012. Prima di salire sul palco del Festival ero nella mia camera d’albergo con l’ufficio stampa Daniela Turchetti e con Arianna…».

… tua sorella e manager…

«… Mi sono accorta che non sentivo più il battito del cuore, vedevo tutti e tutto lontani da me. Ho pensato: “Sto morendo”. Non ho dormito per tre giorni. Di notte tremavo. Per un bel po’ di tempo ho smesso di guidare e di godermi le minuscole e normalissime gioie della vita quotidiana, che sono le più importanti».

A quel Festival del 2012 poi sei arrivata terza. Ti sei data una spiegazione per gli attacchi?

«Stanchezza, ansia. Venivo da tre anni in cui mi sentivo indistruttibile, fortissima. Il mio corpo mi ha detto di calmarmi. E soprattutto di imparare a gestire il rapporto con le migliaia di persone con cui vieni in contatto quando hai un po’ di successo. Sentivo e vedevo tutti lontanissimi, probabilmente perché ce li avevo troppo addosso».

Tu diventi celebre dopo la partecipazione a X-Factor nel 2009. Il pianista Stefano Bollani, proprio a 7, ha detto: «Su venti che hanno fatto X-Factor o Amici diciannove sono condannati a pagare per un bel po’ uno psicanalista». I talent come uno spietato tritacarne.

«Quando ho partecipato io era diverso. Ora sanno a che cosa vanno incontro, ma hanno anche aspettative pazzesche. Anche per questo puntano molto sull’immagine. E se c’è troppa attenzione alla forma si rischia di perdere di vista la sostanza, umana e artistica, senza la quale vieni travolto. Nell’industria musicale c’è talmente tanta gente che ti dice come devi essere, che se non conosci te stesso e non stai bene nella tua pelle, un po’ ti perdi».

Tu sei stata giudice di The Voice. Hai visto molti artisti perdersi?

«Ne ho visti alcuni smembrati. Entrati fighi, usciti sfigati».

Morgan, che era tuo giudice a X-Factor, ha detto che il tuo successo e quello di Marco Mengoni sono frutto del suo lavoro.

«Nel mio caso è vero. Io prima cantavo solo in inglese…».

… ti aggiravi per il litorale romano con la band il Bagajajo gorgheggiando pezzi di Janis Joplin…

«… Morgan mi ha fatto capire come valorizzare la mia voce con un repertorio italiano».

La musica italiana ormai sembra dipendere dai talent.

«Non è così. Non più. Internet ha democratizzato l’ascolto. I ragazzi si vanno a cercare online il sound preferito. E le case discografiche purtroppo sono rimaste indietro. A volte sembrano non capire dove stanno andando il mondo della musica e i giovani, che sono quelli che la ascoltano».

È inusuale che un’artista pop si spinga a criticare le major discografiche.

«Lo faccio per spronarle. Ogni tanto ho la sensazione che i discografici vivano il loro impegno come una routine. Non parlo di tutti, s’intende. È come se si fossero abituati al meccanismo dei talent, quello per cui i talenti vengono suggeriti dalle trasmissioni tv: te li portano a casa. Invece i discografici dovrebbero andare a caccia di talenti nei tanti luoghi e locali dove gli artisti si esibiscono». Passeggiamo intorno al laghetto dell’Eur trascinati dall’inarrestabile Duchess. Un codino rosso dreadlocks ballonzola sulla schiena di Noemi. Lei: «Lo tengo così dal 2007. Mi ricorda un po’ chi sono, visto che la mia immagine pubblica è spesso più da “signora” di quanto io non sia». Concordo. E le faccio notare che nel video di Autunno, canzone scritta da Tommaso Paradiso, frontman dei Thegiornalisti, indossa un vestito blu elettrico che è molto da sciura. Sorride. Su Autunno dice: «La prima volta che l’ho sentita mi sembrava un po’ una fregnaccia, poi, a un secondo ascolto, mi sono accorta dell’ironia del testo. Io di solito canto roba molto drammatica, ci voleva un pezzo così». Aggiunge: «Paradiso ha frequentato la mia stessa scuola di preti, il San Giuseppe – De Merode, in piazza di Spagna». Momento amarcord. Noemi comincia a raccontare della sua infanzia solitaria, dell’adolescenza “chiusa” e di quando acquistava creme magiche per farsi crescere il seno: «Le mie compagne di classe erano tutte tettone». Prosegue sui miti giovanili.

Da ragazza chi ascoltavi?

«Sono stata fan dei Backstreet Boys».

Oh mamma!

«Fino a quando a un ballo scolastico non ho sentito partire Smells like teen spirit dei Nirvana. Intorno a me, tutti gli studenti più grandi cominciarono a pogare. Un bellissimo delirio».

È vero che prima di fare la cantante hai avuto un’esperienza giornalistica nella redazione di Nessuno Tv?

«Giravo servizi per la sezione universitaria. Ma solo come filmmaker. Sono laureata al Dams di Roma in Critica cinematografica e televisiva».

Tesi sul corpo di Roger Rabbit, il coniglio cult.

«Mi ero appassionata alla questione del corpo nel cinema postmoderno: l’attore rimpiazzato dal cartone, il supereroe, la trasformazione. Mi ero ingarellata…».

… concentrata agonisticamente…

«… sull’idea che Superman è l’unico supereroe che è se stesso proprio quando è supereroe. E recentemente, dovendoci riflettere anche a causa degli attacchi di panico, ho realizzato che anche io sono un po’ Superman».

WonderNoemi?

«Ahahah, no. È un modo per dire che Veronica Scopelliti è se stessa e sta bene al mondo anche e soprattutto quando canta. Cioè quando è Noemi».

Categorie : interviste
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