Elisa Di Francisca (Doppio Binario – 7 – Maggio 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della sera il 3 maggio 2018)

ARRIVANO AL BINARIO CON PASSO SVELTO Ettore, nove mesi, mugugna sdraiato nel passeggino. Il papà: «Siamo in stazione da un’ora e abbiamo rischiato di perdere il treno». Lei fa una smorfia buffa. Segue bisticcio scherzoso sui suoi ritardi. Cronici. Lei è Elisa Di Francisca, fiorettista rocambolesca, oro olimpico londinese nel 2012, argento a Rio quattro anni dopo. Il Doppio Binario si svolge nello scompartimento del Roma-Milano che ci porterà alla festa per il compleanno di 7. En garde. Appena l’obiettivo della macchina fotografica comincia a puntarla, Elisa prova a parare i clic mettendosi gli occhiali da sole. Dice: «Stamattina dovevo scegliere tra il trucco e l’allenamento. Ho deciso per il secondo». Da circa un mese la schermitrice ha ripreso quasi a ritmo pieno «tre/quattro ore al giorno». Obiettivo: «La qualificazione ai Giochi di Tokyo 2020». Ha trentacinque anni, è nata a Jesi, come molte altre celebri colleghe (Valentina Vezzali in primis), e mantiene una lieve cadenza marchigiana. Gareggia per il Gruppo Sportivo Fiamme Oro (la Polizia di Stato) ed è testimonial di Weworld, una onlus che si occupa della difesa dei diritti delle donne e dei bambini. Spiega: «Weworld promuove anche campagne di vaccinazione in Africa». Di Francisca chiarisce subito di essere una vaccinista convinta e quando le ricordo che anche un’altra oro olimpico del fioretto (Bebe Vio) è sponsor delle vaccinazioni, racconta: «Ho tirato di scherma con Bebe. È fortissima, tecnica pura». Ogni tanto si alza dal sedile per farmi vedere una posizione di guardia. Esegue movimenti molleggiati. Usa il corridoio tra i sedili come una pedana da gara. Dalla maglietta spuntano muscoli ben definiti. Scoppia in una risata poderosa quando uso il neologismo “fiorettare” e si fa seria quando parla delle schermitrici che dovrà affrontare. Spiega: «Non è detto che la più forte vinca».

Quanto tempo studi le tue avversarie?

«Ho la fortuna di allenarmi spesso con le rivali più pericolose, perché siamo compagne di Nazionale. Ma le federazioni di tutto il mondo organizzano conferenze e sedute video per esaminare le caratteristiche degli schermitori. Io sono stata studiata anche dalla commissione arbitrale».

Perché?

«Dopo ogni assalto mi toglievo la maschera per sistemarmi i capelli e loro pensavano che fosse un modo per riposarmi. Alle ultime Olimpiadi mi hanno riempita di ammonizioni».

Alle ultime Olimpiadi (Rio 2016) ti sei presentata sul podio con la bandiera europea. Te l’eri preparata?

«No, non preparo mai queste cose. C’erano stati da poco gli attentati dell’Isis a Bruxelles e volevo mandare un messaggio di solidarietà e di vicinanza ai parenti delle vittime. Nell’era delle divisioni mi sembrava giusto sventolare un simbolo di unione».

Qualche atleta si è lamentato: «Non bisogna usare lo sport per fare politica».

«Si saranno sentiti messi in ombra?».

Di Francisca fa uno sguardo furbo. Si gira ridendo verso suo figlio e rivela un tatuaggio piazzato sul collo. è una scritta araba. Domando: «Che vuol dire?». Replica: «Libertà». Lei è celebre nel mondo della scherma per essere una donna decisamente libera. Le chiedo se ha altri tatuaggi. In tutto sono cinque. Ci sono anche: un sole tribale su un piede, un’onda sull’osso sacro, i versi «muore lentamente chi evita la passione, chi non rischia la propria sicurezza per l’insicurezza di un sogno» e un gabbiano su un dito della mano. Racconta: «Questo però l’ho coperto con l’anello di fidanzamento». Comincia a scherzare con il fidanzato, Ivan Villa, produttore televisivo, sulla proposta di matrimonio e sul luogo dove piantare le tende familiari. Ora vivono insieme nella Capitale.

Come è stato l’impatto con Roma? Ci sei arrivata dopo aver vissuto più di trent’anni a Jesi, che una volta hai definito il tuo “villaggio dei Puffi”.

«Duro. La conoscevo da turista: Villa Pamphilj, il Fontanone, quanto sei bella Roma… Quando ci devi vivere fa schifo».

Non esagerare.

«A Roma c’è tutto il male d’Italia. E non capisco come mai chi la amministra e chi governa il Paese non se ne rendano conto. La cosa di cui sono sicura è che non farò crescere a Roma mio figlio. Sto aprendo il blog #mammatleta, non quello #mammatletaesaurita».

Perché hai voluto aprire un tuo sito?

«Per raccontare la mia esperienza di madre che vuole arrivare alle Olimpiadi. Le difficoltà, le gioie…».

Allatti?

«Vorrei allattare fino al primo compleanno di Ettore».

Hai avuto un parto naturale?

«Sì. Senza anestesie: per la cosa più naturale del mondo volevo una procedura più naturale possibile».

Hai partorito nove mesi fa.

«Avevo preso sedici chili. Li ho persi tutti».

Dieta e allenamento, allenamento e dieta. Hai due gambe che sembrano alberi.

«Lo so, sono grosse. La scherma è uno sport che gonfia le cosce».

Lo hai mai percepito come un problema estetico?

«Direi di no. Il mio aspetto fisico è sempre stato funzionale a quello che dovevo fare in gara. Certo, quando ho partecipato a Ballando con le stelle avevo i muscoli delle gambe più allungati: il mio fisico più bello».

Tu hai vinto Ballando nel 2013. E hai anche cocondotto una trasmissione di EuroSport.

«Non mi dispiacerebbe un futuro in televisione».

Come giornalista sportiva?

«No, no. Pensavo più a una trasmissione come Zelig. In alternativa mi piacerebbe aprire un locale o un bar, un’attività che mi permetta di stare in mezzo a tante persone. Ho bisogno di stimoli, non credo che riuscirei a entrare tutti i giorni nello stesso ufficio con le stesse persone».

Lo fa la maggior parte degli italiani.

«Lo so. E se ci fosse bisogno, visto che ho un bambino, non farei certo la sfregnata, una di quelle signore che non si accontenta mai: laverei anche i cessi. Ma se potessi scegliere…».

Ogni tanto si distrae per capire se le operazioni di addormentamento di Ettore messe in pratica da Ivan stanno dando un risultato.

Inizierai tuo figlio alla scherma?

«In realtà vorrei che facesse rugby».

Tu quando hai cominciato a usare il fioretto?

«A sette anni».

E quando hai realizzato che era uno sport che ti avrebbe dato soddisfazioni?

«A dodici. Dopo aver vinto la prima gara. Un’intera giornata sulle pedane. Conservo ancora la foto con occhiaie e medaglia. Lì ho capito la bellezza di una vittoria raggiunta dopo aver faticato tanto».

E’ vero che a diciotto anni circa volevi smettere?

«Ho smesso, per un paio di anni. Lo sport mi rubava la vita privata, gli amici…».

La leggenda narra di un fidanzato geloso che non ti voleva in giro per competizioni.

«Non è una leggenda. Quando ho ricominciato ad allenarmi ho capito di avere un talento. E quando sono entrata nel Gruppo Sportivo della Polizia ho iniziato a fare davvero sul serio. Nel 2008… la svolta».

Il 2008 è l’anno delle Olimpiadi di Pechino.

«Il ct della Nazionale mi chiese se volevo andare in Cina per allenare gli altri atleti».

Una grande occasione per respirare il clima olimpico.

«Rifiutai. Le altre ragazze della squadra mi presero per matta».

Perché rifiutasti?

«D’istinto pensai che se mai fossi andata alle Olimpiadi doveva essere per vincerle. In quel momento capii quanto ci tenevo».

Detto, fatto. Nel 2012 a Londra, alla prima partecipazione, hai vinto l’oro. Hai il fioretto della vittoria appeso in salotto?

«No. Non credo di sapere dove sia».

Scherzi?

«Di fioretti ne portiamo quattro o cinque. Io, tra l’altro, lo cambiai prima dell’assalto decisivo. Sai che cosa dovrei appendere?».

Che cosa?

«Questa».

Di Francisca indica la propria testa. Dice: «È questa che mi ha fatto vincere». E comincia a raccontare degli inferi in cui si è trovata quando stava sette punti sotto alla rivale Arianna Errigo: da sola, sulla pedana, senza che nessuno ti possa aiutare. Racconta che in realtà se si è ben allenata, ha studiato al meglio l’avversaria ed è molto concentrata, durante i suoi assalti lei pensa alle vacanze. Le dico che non ci credo. Insiste sostenendo di entrare in una specie di trance da meditazione che le permette di non cadere nella paranoia dei piccoli movimenti necessari: «La paranoia finisce per sporcare il gesto tecnico». Si fa zen: «Quando sei lì non pensi al bersaglio, ma alla traiettoria». Continua: «Ogni mossa ha una contromossa, come in un labirinto in cui devi trovare una soluzione in pochi millesimi di secondo».

La testa sportiva. La concentrazione. I riti e i tic. Tu, come altri sportivi, hai qualche rito particolare o qualche tic?

«Il rito è quello della preparazione della sacca sportiva. Ogni capo viene sistemato sempre nello stesso ordine: la divisa della nazionale, il para-seno, le magliette… Per non scordarmi qualche pezzo simulo nella mia testa una vestizione pre-gara».

Da ragazza avevi qualche mito sportivo?

«Mohammed Alì».

Il pugile leggendario…

«Combatteva per un ideale. Io morirei per i miei ideali».

Quali sono i tuoi ideali?

«La famiglia e la giustizia. Di fronte a un’ingiustizia non mi tengo».

Cioè? Vedi un’ingiustizia per strada e intervieni?

«Certo. E Ivan cerca di bloccarmi: “Ogni tanto fatti anche gli affari tuoi, no?”».

Arriviamo alla stazione di Milano e ci diamo appuntamento al Piccolo Teatro, dove si svolgerà la festa di 7. Lei nel frattempo si cambia e passa dai jeans con scarpe da ginnastica, a un vestito chiaro con tacchi alti. Entra in scena. Nel silenzio della sala si sente il pianto di Ettore. E la #mammatleta, simulando imbarazzo, gli tira una stoccata: «Un figlio? Io non ho un figlio. Non so proprio di chi sia questo bambino che urla».

Categorie : interviste
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