Elio e Faso (Doppio Binario – 7 – Aprile 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 5 aprile 2018)

APPUNTAMENTO A PORTA ROMANA. Elio arriva a piedi, pian piano. Faso in Vespa. Doppio Binario per le strade di Milano con il fondatore e con il bassista della band Elio e le Storie Tese (anche detti gli Elii). I due hanno elaborato per 7 un percorso nei luoghi amarcord della musica meneghina. Ogni tanto si concedono anche come guide turistiche: «Qui sotto ci passano i Navigli… Qui c’era la redazione del Popolo d’Italia, il giornale fondato da Mussolini…». Partiamo dal Mariposa, che oggi è un bar, ma per molti anni è stato un negozio di dischi. Elio e Faso cominciano a raccontare i loro primi ascolti a 33 giri, poi sterzano sul cofanetto che hanno appena stampato gonfio di vinili assortiti (si chiama Arrivedorci). Perché il vinile? Elio: «Fruscia, ma si sente meglio. Ci ritrovi suoni che con il digitale avevi rimosso». Parte uno sberleffo garbato di Faso sulle follie digitali ultra hi-tech del mercato: «Ho visto cuffie in circolazione che promettono di afferrare frequenze oltre i 30.000 hertz. Ottime per i cani, quindi». Ogni tanto Massimo Sestini attira la loro attenzione per uno scatto e loro cominciano a fare facce buffe, ingrugnite, sbigottite… Ogni dieci metri qualcuno chiede a Elio un selfie. Faso commenta: «È una turba psichica. Qualcuno dovrà studiare il fenomeno. È pieno di gente che durante i pasti inquadra col telefono il proprio piatto e poi condivide l’immagine». Intuendo che gli sto per chiedere se lui è presente sui social network Faso si mette una mano in tasca e tira fuori un vecchio cellulare molto poco smart: «I social network sono una malattia grave della nostra società». Ci diamo del tu. Vestiti da preti, da nani, da super obesi, da mega macrocefali, addobbati con parrucche punksettecentesche, coi volti dipinti d’argento o coi panni dei Village People, o dei Kiss o con abiti rosa, negli ultimi 38 anni gli Elii hanno piroettato con disinvoltura nella galassia dello showbusiness. Hanno celebrato il ruolo maschile nella coppia con versi immortali: «Servi della gleba a testa alta/verso il triangolino che ci esalta/Niente marijuana né pasticche:/noi si assume solo il due di picche». Hanno cantato per dodici ore sul palco del Teatro dell’Elfo lo stesso brano, Cara Ti amo: «Lui: Vorrei palparti le tette/Lei: Porco! Lui: Mai ti toccherei neanche con un fiore. Lei: Finocchio!». E hanno shakerato generi e gusti arraffando complimenti trasversali: dalla critica dotta agli elogi dell’Osservatore Romano («Per la loro salutare scorrettezza») fino alle righe entusiaste di Giuliano Ferrara per la canzone Complesso del Primo Maggio: «… Musica geniale quella di Elio… A tutti fa la pelle con grazia e cattiveria sorniona». Ora è arrivato il momento dell’addio. Annunciato qualche mese fa. Festeggiato con un «Concerto definitivo» al Forum di Assago, e certificato dalla canzone Arrivedorci, eseguita durante l’ultimo Festival di Sanremo: «… Una storia unica/ una carriera artistica/ Dolcemente stitica/ ma elogiata dalla critica…». L’ultimo atto sarà una giornata di musica e di incontri al Festival Collisioni di Barolo, tappa conclusiva del Tour d’addio. Faso: «Per quest’occasione vorrei convincere Rocco Tanica (il tastierista, ndr.) a tornare a esibirsi live con noi. È da qualche anno che non fa concerti». Quando domando come siano arrivati alla decisione di chiudere i battenti, Elio comincia a srotolare un po’ di storia della band: «L’idea di creare questo gruppo mi è venuta sui banchi del liceo. Ho raccolto persone che la pensavano esattamente come me. E lo spirito era quello di fare qualcosa che non era mai stato fatto prima in Italia. Abbiamo realizzato cose strane, originali e uniche. Lo scioglimento improvviso è nelle corde e nello spirito di questa operazione».

Cazzeggioni, sbertuccianti, iconoclasti. Non è che, passati i cinquant’anni, avete perso quello spirito e vi va di fare altro?

Elio: «Questa è l’analisi di un giornalista su di noi. Ora faccio io l’analisi di voi giornalisti: trovate una zona di comfort quando riuscite a etichettare il senso di un’operazione. In realtà lo sbeffeggiamento è solo una parte del tutto. La nostra passione principale è l’assurdo, il surreale. Ti faccio un esempio di un fraintendimento classico». Faso: «La terra dei cachi…». Elio: «Esatto. Con quella canzone noi volevamo fare la parodia dei pezzi impegnati presentati a Sanremo, che più di tanto impegnati non possono essere…».

Il testo: «… Appalti truccati, trapianti truccati, motorini truccati che scippano donne truccate…».

Elio: «Capisco che la nostra intenzione fosse troppo raffinata, ma quella è stata interpretata addirittura come la grande canzone di denuncia sui mali dell’Italia. Questo per dire che la foga classificatrice ha reso Elio e le Storie Tese una specie di gabbia».

Una gabbia?

Faso: «Noi facciamo esperimenti. Ci divertiamo».

Elio: «Ci piace anche scrivere canzoni brutte e arrivare ultimi a Sanremo. E invece sentiamo indignazione se non facciamo quel che ci si aspetta da noi».

E che cosa ci si aspetta?

Elio: «Che facciamo ridere. Ma chi ve l’ha detto che dobbiamo farvi ridere?».

Faso: «Ci arrivano critiche classificatorie anche da parte di alcuni fan: qualcuno ci scrive che non siamo più gli stessi, che non c’è la follia dei primi dischi, che ci siamo appiattiti. L’ultima volta che è successo sono andato a riascoltarmi Vacanza alternativa…».

… canzone funky del disco Figgatta de Blanc, del 2016…

Faso: «… È la storia di un adolescente che va in vacanza con la nonna alle terme, impara la ricetta del risotto coi funghi e finisce con un’anziana trans che gli chiede se apprezza il dito nel sedere. Appiattiti?».

Direi di no.

Faso: «Sperimentiamo. Abbiamo composto La canzone mononota. Con Bacio abbiamo costruito un pezzo con la melodia uguale agli accordi». Elio: «Bacio è un pezzo che a noi piace moltissimo ed è spesso accolto malissimo. Senza classificazioni. Noi vogliamo essere liberi di fare qualunque cosa. E la faremo».

La farete? Quindi l’addio è un falso addio?

Elio: «Sciogliere il gruppo mica vuol dire andare in pensione. Porteremo avanti progetti che non potevamo sviluppare perché c’erano Elio e le Storie Tese».

Da soli? In coppia?

Elio: «Forse anche tutti insieme». Faso: «Abbiamo sofferto la routine, le barriere, i doveri, le responsabilità». Elio: «Vogliamo prepotentemente tornare al cazzeggio senza responsabilità».

Un esempio di qualcosa che potreste tornare a fare insieme?

Elio: «Scusate se interrompo. Guardate lì. Quello è il Teatro Lirico. Ora è in restauro, ma per molti anni è rimasto in stato di abbandono: il risultato di quindici anni di amministrazione di centrodestra». Faso: «E lì c’era Monzino. Negozio di strumenti musicali dove andavo ad ammirare oggetti per me inarrivabili».

Dicevamo… Quel che potreste fare insieme in futuro…

Faso: «Potremmo andare a suonare in Giappone».

Perché in Giappone?

Faso: «Ne abbiamo parlato spesso. Il pubblico giapponese apprezza molto la musica suonata. Chi ci ha amato, si è avvicinato a noi tramite i testi e poi è arrivato alla musica. Sarebbe bello esibirci dove il processo è inverso». Ci avviciniamo a una vetrina che espone la targa “Bottega Storica”. Entriamo. Il negozio si chiama Milanfisa. Qui sia Elio sia Faso venivano da ragazzi a suonare con i loro amici, prima che nascessero Elio e le Storie Tese. Scesi in sala prove, Faso si mette alla batteria ed Elio alla fisarmonica. Faso: «Quando sono entrato nella band, nel 1985, gli Elii hanno cominciato a provare nello scantinato sotto il ristorante di mio padre, in corso Garibaldi. Lo stesso ristorante per molti anni nel giorno di chiusura, il sabato, è stato la nostra tana».

Rieccoci per strada. Passiamo accanto a un gigantesco murale. Ricordo a Elio, interista, che recentemente qualcuno ha imbrattato con insulti una parete che era stata dedicata ai campioni nerazzurri. Sbuffa: «Tipico stile Milan». Sulla fiancata di un palazzo c’è una scritta anti-leghista.

Qualcuno di voi ha mai fatto politica?

Elio: «Nessuno che abbia un po’ di sale in zucca si impegna a fare politica in Italia».

Elio, tu eri adolescente negli anni Settanta.

«Frequentavo le manifestazioni perché ci andavano gli altri. E ci siamo trovati in mezzo a una guerra. Oggi sembra di parlare del Medioevo. È come se ci fosse stata una rimozione collettiva. Io, andando a scuola, sono passato accanto alla macchina su cui era appena stato ucciso il giudice Emilio Alessandrini…».

... assassinato dai terroristi di Prima Linea il 29 gennaio 1979…

«… Elio e le Storie Tese è una band figlia di quel periodo e di quel clima, gli stessi che hanno dato vita agli Skiantos».

Elio ha fondato la band nel 1980. Il reclutamento degli altri componenti è avvenuto per via amicalmusicale.

Faso: «Io sono arrivato perché sono amico di Rocco Tanica, il tastierista, che a sua volta era fratello di un compagno di classe di Elio».

L’Eliomondo è puntellato da soprannomi. Elio stesso in realtà si chiama Stefano Belisari. E Faso è Nicola Fasani.

Faso: «Io sono stato anche Pasto».

Si dice a causa della tua passione per il bassista Jaco Pastorius.

Faso: «In realtà perché appena arrivato ho ingerito tutte le canzoni in tempi rapidissimi. Poi grazie a un giornalista disattento sono passato al soprannome Pranzo. I soprannomi da noi cambiano vorticosamente».

Quello attuale di Elio?

Faso: «Petalon Petaloni».

Arriviamo davanti al Duomo. C’è il sole. I due mi guardano come dire: «Che spettacolo, eh!». Elio: «E diciamolo che Milano è bellissima. Anche se le cose più belle sono quasi sempre chiuse nei palazzi. Fa parte dello spirito meneghino. Ai milanesi non piace mostrare la propria ricchezza». Faso: «Diciamo anche che a noi i grattacieli in zona Porta Garibaldi non piacciono molto».

Ma come… il Bosco Verticale!

Faso: «Lo hanno presentato come una figata atomica, ma a me, senza offesa, sembra un po’ una merda. Avrei preferito un bosco orizzontale, aperto a tutti». Elio: «Tutta quella esibizione di grattacieli non rappresenta minimamente lo spirito milanese nel quale io mi riconosco».

Esclamo: «È la modernità!». Elio mi sente, allarga le braccia sopra le spalle con i palmi delle mani rivolti verso l’alto, le abbassa fino a unirle all’altezza dell’inguine e chiude l’intervista nel più eliesco dei modi: «Modernità del c…!».

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