Nando Pagnoncelli (Doppio Binario – 7 – Marzo 2018)

0 commenti

(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 29 marzo 2018)

DOPPIO BINARIO A ROMA, TRA PALAZZI VETUSTI, scalinate trionfali e centri di ricerca, in passeggiata, con Ferdinando Pagnoncelli, detto Nando. Passo svelto per i mille impegni: la presentazione di uno studio, una riunione in Rai, il salotto tv che lo attende in serata. Camminiamo. I marciapiedi sono tappezzati di mozziconi di sigarette. Piove, e gli automobilisti incastrati nel traffico trovano sollievo nelle clacsonate moleste. Gli faccio notare il quadretto. Sorride amaro. Sta preparando per il Corriere della Sera un dossier in cui si racconta proprio il difficile rapporto degli italiani con il senso civico. Dice: «In Italia è sparita l’identità collettiva. Il 66% dei cittadini pensano che siano più le cose che ci dividono che quelle che ci uniscono. C’è uno smarrimento complessivo». Le cause? «Tra quelle principali ci sono la cosiddetta disintermediazione dal basso e la delegittimazione dall’alto dei corpi intermedi». Parliamo dei partiti e delle istituzioni? «Anche della scuola, dei sindacati… Il loro indebolirsi ha minato la base della convivenza civile». Pagnoncelli, 58 anni, è il presidente di Ipsos Italia, l’uomo dei numeri e delle analisi demoscopiche per il Corriere della Sera. Tutti i martedì sera srotola sondaggi su La7 e così Maurizio Crozza gli ha dedicato un’ imitazione con tanto di rilevazioni grottesche: «Che cosa provano gli italiani quando vedono la politica in tv? Il 57% ha risposto: te lo scrivo con la chiave sul cofano della macchina».

QUANDO ARRIVIAMO NEL SUO STUDIO tira fuori alcuni fogli in cui sono descritti i flussi elettorali delle ultime elezioni politiche: «Il Partito democratico ha avuto il tasso di fedeltà più basso. Solo il 43% di chi aveva votato Bersani nel 2013 ha confermato il voto al Pd. La caratteristica principale dell’ultima campagna elettorale, comunque, è stata l’assenza di visione. Il dibattito era rivolto al passato». Il reddito di cittadinanza del M5S e la Flat Tax del centrodestra… «Sono proposte. Non c’è una visione. Gli ultimi che hanno avuto una visione in Italia sono stati Silvio Berlusconi con la rivoluzione liberale, e Romano Prodi con il sogno europeo. Ora governa il presentismo permanente». Il presentismo? «La rincorsa del bisogno immediato. Accompagnata dall’ossessione per il consenso. La politica ha smarrito lo sguardo lungo, necessario per avviare riforme strutturali. E qui entra in gioco anche il mio mestiere». In che modo? «Nel 1997 Stefano Rodotà ha scritto un libro illuminante, Tecnopolitica, in cui parlava di “sondocrazia”. Il sondaggio come principale bussola politica». Lei sembra dirlo con dispiacere. Ma dovrebbe essere contento: i sondaggisti sono diventati le comete che determinano le scelte di chi ci governa. «Una politica che rincorre il consenso e non ha una visione, ha il fiato corto».

SONO I GIORNI DELLO SCANDALO Cambridge Analytica, quello sull’utilizzo a scopi politico-elettorali dei dati raccolti da Facebook, con la cosiddetta profilazione degli utenti. Pagnoncelli dice che l’idea di utilizzare il microtargeting (cioè un tipo di marketing che arriva a puntare i singoli individui) anche in politica, e non solo per i consumi, è una tentazione forte. Ma aggiunge: «L’aspetto etico dell’operazione mi raccapriccia. Sappiamo tutti come l’uso di dati sensibili e di sondaggi possa manipolare l’opinione pubblica, quindi per me l’etica e il rigore metodologico sono una priorità. Per questo sono favorevole al blackout dei sondaggi negli ultimi quindici giorni di campagna elettorale». Obietto che per me il blackout è censura. E oscurando i sondaggi si dimostra di considerare gli italiani degli imbecilli. E lui spiega: «So di pensarla diversamente da tanti colleghi, ma bisogna tener conto che moltissimi italiani decidono che cosa votare proprio a ridosso delle elezioni».

I sondaggi sarebbero troppo influenti?

«Certo, soprattutto se non ci sono garanzie sulla correttezza con cui vengono condotti e diffusi».

In che senso?

«Chi interviene se qualcuno mette in circolazione sondaggi falsi?».

Il ministero degli Interni? L’associazione dei sondaggisti?

(Ride) «Non funziona così. Lei può mettere in giro un sondaggio in cui dice che suo figlio è il candidato più popolare per la Presidenza della Repubblica».

I sondaggisti non sono obbligati a mostrare chiaramente il metodo con cui sono state effettuate le rilevazioni?

«Sì, ma poi nessuno verifica davvero».

Lei fa sondaggi da trentatré anni. Nessuna autorità ha mai controllato le interviste che avete condotto per una determinata ricerca?

«Sta scherzando? Certo che no. Non c’è nessuna autorità preposta a questo controllo. Tutto è rimandato alla deontologia e alla corretta metodologia. Non mi faccia essere inelegante».

Sia tranquillamente inelegante.

«Il settore delle indagini demoscopiche in Italia è molto frammentato. C’è una pluralità di soggetti minuscoli. Per l’opinione pubblica sono sigle tutte uguali, ma ci sono differenze di professionalità e di bilancio profondissime tra i diversi istituti».

Perché il bilancio di un istituto è importante per la qualità di un sondaggio?

«Perché servono investimenti per fare bene le interviste, innovare, ibridare i metodi… Per analizzare il cambiamento nei paradigmi di consumo, con la Ipsos, abbiamo aperto due piccoli supermercati di nostra proprietà, dotati di telecamere e microfoni ambientali e di un sistema di eye tracking per monitorare le scelte delle persone. Abbiamo investito centinaia di migliaia di euro. Invece ci sono società che vincono appalti pubblici da milioni di euro e hanno bilanci lillipuziani. Nessuno controlla se hanno davvero i rilevatori che dichiarano e se realizzano quello che promettono. È un vero Far West».

Lei e la Ipsos quante interviste fate, per esempio, per i sondaggi e le ricerche, che pubblicate sul Corriere?

«Per i sondaggi circa mille interviste. Per le ricerche più approfondite anche centinaia di migliaia. Il metodo più frequente per i dossier sui consumi, sui marchi e sulle aziende è l’intervista faccia a faccia».

MENTRE MIMA LA DISTANZA tra intervistato e intervistatore di una ricerca Ipsos, Pagnoncelli viene distratto dalla reflex hi-tech di Massimo Sestini. Confessa di essere un fotografo amatoriale e di scattare soprattutto in bianco e nero. «Da bambino stavo ore in camera oscura con mio padre per stampare le foto». Parliamo della sua infanzia. Lui è nato e vive a Bergamo. Sfoggia una cover dello smartphone con i colori dell’Atalanta. Racconta: «Ero a Reggio Emilia, allo stadio, la sera in cui i nerazzurri sono usciti dall’Europa League contro il Borussia Dortmund».

Era adolescente a Bergamo negli Anni Settanta. Faceva politica?

«No, fino ai sedici anni ho frequentato la parrocchia. Non ho mai avuto appartenenze. Ma il nostro curato, don Rino Rapizza, mi ha insegnato il valore della politica, i diritti e i doveri del cittadino».

Che studi ha fatto?

«Il classico. Liceo Paolo Sarpi, a Bergamo».

Era secchione?

«Rimandato in greco e latino in quarta ginnasio: avevo perso il primo mese di scuola per motivi di salute. La mia fidanzata, che poi è diventata mia moglie, era molto più brava di me e ogni tanto mi passava qualche versione».

Università?

«Scienze Politiche a Milano. Dopo la laurea cercai un luogo dove si facesse un po’ di ricerca sociale. Nel 1985 entrai all’Abacus».

Il primo incarico?

«Mi occupavo di Istel, una ricerca sugli ascolti televisivi, prima che venisse introdotto l’Auditel. E di ricerche sui consumi: dai dentifrici agli yogurt. Per un po’ ho anche coordinato i sondaggi che servivano a Mike Bongiorno per la trasmissione TeleMike, dove i concorrenti dovevano indovinare le percentuali di favorevoli o contrari su un determinato tema».

I primi sondaggi politici?

«Con le elezioni del 1992, commissionati dal neonato Tg5 di Enrico Mentana. In quel momento ero già direttore di Abacus».

Nel 1994 avevate previsto la vittoria dell’outsider Silvio Berlusconi?

«Nel ’93 avevamo svolto delle ricerche per il lancio e per il posizionamento di Forza Italia…».

Ricerche commissionate dallo stesso Berlusconi?

«Sì. Quindi sapevamo che gli elettori avevano un forte interesse per la proposta di Berlusconi. Averlo detto mi costò un po’ di articoli sui quotidiani di sinistra che mi accusavano di essere berlusconiano».

Nel 2001, avendo partecipato con il candidato premier Francesco Rutelli e con il guru Stanley Greenberg, a una conferenza stampa, le diedero del rutelliano.

«Gli istituti demoscopici lavorano per tutti. Dopo anni di esperienza sono arrivato alla conclusione che per fare bene questo lavoro si deve tenere la giusta distanza dall’oggetto della propria ricerca: se sei troppo coinvolto non hai oggettività e se sei troppo distante non capisci le sfumature».

Il sondaggio più toppato della sua carriera?

«Referendum del 1999».

… quello per abolire la quota proporzionale della legge elettorale. Gianfranco Fini gioiva in tv per i sondaggi che certificavano il raggiungimento del quorum.

«Di notte il conteggio dei voti ribaltò l’esito. Mi scusai. E andai in Rai per rimettere il contratto pluriennale. Alla fine il contratto restò in vita, ma io mi vergognai come un cane per l’errore. Ci rifacemmo alle Regionali di qualche mese dopo, quelle che portarono alle dimissioni del presidente del Consiglio D’Alema».

Ci sono sondaggi che rifiuta di fare?

«Non mi piacciono quelli che ritengo poco etici e che sfruttano l’emotività del momento. Una volta un importante anchorman mi chiese di fare un sondaggio sulla pena di morte nei casi di pedofilia. Era appena stato trovato il cadavere di un bimbo seviziato. Mi rifiutai, ma ci fu un concorrente che accettò senza problemi. Non mi entusiasmano quelli post voto: gli italiani saltano facilmente sul carro del vincitore e quindi è facile certificare che oggi il dato del M5S e della Lega sarà gonfiato dalla vittoria. E poi non amo il sondaggio-oroscopo».

Che cosa sarebbe?

«Il sondaggio puramente di colore commissionato dai quotidiani, fuori fuoco rispetto a una corretta analisi socio-politica».

Un esempio?

«Nel 2013, durante la campagna elettorale che avrebbe determinato un incredibile tsunami politico, ci chiesero di sapere quanti voti avrebbero spostato la neve, il Festival di Sanremo, le dimissioni di papa Benedetto e l’acquisto di Balotelli da parte del Milan».

Domanda-oroscopo. Quali sono state le mosse dei leader che hanno influenzato di più il voto a pochi giorni dalle elezioni?

«Direi il comizio con il rosario e con il Vangelo in mano di Matteo Salvini e la presentazione della lista dei ministri da parte di Luigi Di Maio».

Sono stati entrambi oggetto di ilarità da parte degli esponenti del centrosinistra. Come i congiuntivi di Luigi Di Maio.

«Già. Ma quanti italiani hanno la laurea? Il 57% degli elettori ha raggiunto al massimo la terza media. Gli sfottò sui congiuntivi, come quelli che vennero fatti nel 2000 su Berlusconi che faceva campagna elettorale in crociera, sono spesso controproducenti. Anche perché Berlusconi, quando scelse la crociera, aveva in mano dati che gli dicevano che la crociera era al primo posto tra le vacanze ideali degli italiani».

Categorie : interviste
Leave a comment