Matteo Salvini ( 7 – Febbraio 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera l’8 febbraio 2018)

IL MEGAFONO BIANCO E BLU nella mano destra. Alcuni foglietti scarabocchiati nella sinistra. La bocca a tre centimetri esatti dal microfono, per evitare la distorsione del suono. «Mettetevi in fila. E dopo aver scattato la foto, passate dietro». Siamo ad Arezzo. Matteo Salvini, leader rockstar della Lega, concluso il suo breve comizio davanti alla sede di Banca Etruria, si mette a coordinare il selfie time. Clic. Si crea un cordone di Carabinieri per facilitare le operazioni. Un militante bisbiglia. «Ogni selfie, un voto». Conduco un rapido sondaggio tra la gente in coda: un autista d’autobus cinquantenne è devoto salviniano, una ragazza neo-diciottenne con piercing al naso dice che voterà Lega anche per ribellarsi ai genitori comunisti e una signora mite con l’aria di una suorina mi liquida dicendo: «Basta che sbattano fuori i neri!».

L’equazione “un selfie, un voto”, regge. Si presenta un tipo baffuto con un dono, avvolto in un pacchetto verde. Da dietro urlano: «È lampredotto?». Salvini lo scarta: è un bronzetto in miniatura che raffigura una chimera. Tra le bandiere blu della Lega (ebbene sì, oltre a perdere la parola Nord, i leghisti sono passati dal verde al blu), ne sventola una rossa con le sei palle medicee: è l’insegna del Gran Ducato. Lo sbandieratore rivendica: «Siamo autonomisti anche in Toscana». Si accende un piccolo dibattito sul perché sia cambiata la simbologia leghista. Un passante si intromette sostenendo che ci siano di mezzo questioni legali e di bilanci zoppicanti. Viene allontanato. Salvini il duro. Salvini che usa parole feroci contro gli immigrati e che vuole passare con la ruspa sui campi rom. Salvini che ha modificato geneticamente il Dna del Carroccio superando lo slogan “Roma ladrona” e abbracciando il sovranismo del “prima gli italiani”. Salvini che ha portato il partito che fu di Umberto Bossi e di Roberto Maroni dal 4% del 2013 a un probabile 14% delle prossime Politiche. Salvini che poi, quando vuole, abbassa i toni e si fa rassicurante.

La sua campagna elettorale comincia proprio ad Arezzo, tra i cosiddetti truffati del risparmio. Spiega: «I simboli sono importanti. Questa città aspetta risarcimenti». Con il leader della Lega c’è l’inseparabile portavoce Iva Garibaldi, mastino della gestione mediatica, e Claudio Borghi, economista lib-lib-lib. Mentre Salvini parla gli spunta alle spalle Susanna Ceccardi, sindaca leghista di Càscina, che sventola un foglio A4 con su scritto: «Pd colluso con le banche». Salvini alterna invettive ruvidissime a toni flautati. Zompa da un argomento all’altro con navigata agilità. Gli aretini selfieggianti mettono alla prova la sua capacità di farsi jukebox politico. Una foto, una domanda, una battuta. Clic: come si fermano i barconi? «Basta un colpo di telefono alla Marina». Clic: dove troviamo i soldi per i truffati? «Andando in Europa a testa alta e senza il cappello in mano». Clic: le tasse, Salvini, le tasse, le abbassiamo? «La nostra flat tax al 15% aiuta tutti, chi sta peggio e chi sta meglio». Quando termina l’assedio dei militanti e dei possibili elettori, comincia quello dei giornalisti. La Mandria di microfoni e di telecamere. Salvini ha anche un collaboratore che lo segue per le dirette sui social network. Lo dirige con lo sguardo.

È, probabilmente, il leader più multimediale in corsa per le elezioni del 4 marzo: nella giornata che trascorriamo con lui affronta tre volte la Mandria, rilascia quattro interviste ai quotidiani locali, due alle tv regionali e una al Tg1, partecipa a un forum online di una testata giornalistica nazionale e alle nove di sera si accomoda sulla poltroncina di un talk show Rai. Nel frattempo produce anche ventitré tweet e quattordici post su Facebook. Quando glielo faccio notare, replica sornione: «Domani sarà anche peggio». Dopo il comizio, la pausa sigaretta. È un rito a cui Salvini non rinuncia. Il parlamentare fiorentino Guglielmo Picchi si avvicina per presentargli il candidato leghista in Brasile, Luis Pastore. Si appartano per cinque minuti. La Mandria bisbiglia: «Pare che sia un imprenditore amico dei Rolling Stones». Davanti al negozio di scarpe che espone il cartello “Saldao Meravigliao”, si svolge una conversazione tra curiosi: «Che cosa è quella folla davanti alla banca?». «C’è Matteo». «Matteo chi?». «Salvini. Ti pare che Renzi si presenta qui? Non ci viene né lui né la su’ sorella». La “su’ sorella” sarebbe Maria Elena Boschi. E Salvini sulla Boschi maramaldeggia: «Lei scappa a Bolzano, noi siamo qui». Una signora aretina sui settanta, che ha gli stessi occhi azzurri della ministra, sentenzia: «Io Boschi non l’ho mai votata. Ho sempre votato a destra. Berlusconi». Chiedo: come mai è passata da Berlusconi a Salvini? Bisbiglia: «Perché Berlusconi, poveraccio, non mi sembra che possa fare più tanto». Quella sul Cavaliere è la prima domanda che faccio a Salvini appena saliamo sul treno che da Firenze ci porta a Torino. Berlusconi, quando parla di premiership e di futuri ruoli di governo, tratta lei e Meloni come due pupi. «È abituato a questa visione padronale, da capitano d’industria. Ma il Paese non è un’azienda». Veniamo interrotti da un passeggero commercialista che chiede delucidazioni a Salvini sulla sua proposta di flat tax. Poi passa un signore che domanda al leader della Lega se la pila di carte che tiene sulle gambe è la stessa che aveva la sera prima negli studi di Matrix.

Salvini spiega che in campagna elettorale accumula carte, email, proposte e richieste che si appunta a penna dove capita. Entra nello scompartimento l’attrice Anna Mazzamauro, interprete della leggendaria Signorina Silvani, nei film di Fantozzi. Si siede due poltrone dietro alle nostre. Si salutano. Salvini: «Per me quello di Paolo Villaggio è cinema con la C maiuscola». Parliamo qualche minuto della sua attuale compagna, la conduttrice tv Elisa Isoardi, e dei figli Federico (14 anni) e Mirta (5 anni) che riesce a vedere insieme a week alternati. Torno su Berlusconi. Forza Italia nel 2011 ha sostenuto e votato la legge Fornero che lei vuole abolire. «Berlusconi ha firmato un programma in cui si prevede la cancellazione della legge Fornero. Punto». Nel programma del centrodestra è previsto anche lo stop agli sbarchi di immigrati clandestini. Dato che alcuni leghisti sfoggiano spesso slogan xenofobi o razzisti (come il caso del candidato alla presidenza della Lombardia, Attilio Fontana, che ha parlato di «razza bianca a rischio»), chiedo a Salvini se questo modo di fare politica non sia la causa principale della «cultura della paura» condannata recentemente anche dai vescovi italiani. Lui ribalta il paradigma: «La Lega è un argine che trattiene in ambito democratico reazioni che sarebbero ben più dure. Venti anni fa prendere l’autobus milanese 90/91 era una cosa normale. Oggi, se ci sali, ti spaventi e non credo c’entri qualcosa Salvini». Appena arrivati nel capoluogo piemontese ci infiliamo nella zona dei campi rom di via Germagnano, noti per i roghi tossici e la sassaiola a cui sono sottoposti i camion dell’azienda dei rifiuti di Torino. Case di cemento giallo diroccate, decorate con qualche murales, cumuli di immondizia, reti arrugginite. Salvini scende dalla macchina e viene accolto dalla Mandria.

C’è molta polizia. Anche perché, proprio durante una visita a un campo rom (di Bologna), qualche anno fa, Salvini fu aggredito da un gruppo di contestatori. Si formano tre schieramenti. I leghisti torinesi, la Mandria di giornalisti e un muro di rom sorridenti e incuriositi. Una signora con i denti marci, mi chiede: «Che ci regala questo Salvini?». Replico: «Temo niente». Salvini avvista due enormi topi: «Guarda che pantegane!». La Mandria lo segue con i suoi mille occhi. I toponi si infilano nei buchi di una montagnola morbida e crostosa fatta di fango, escrementi, vetri rotti, giornali, sacchetti di plastica. Il leader della Lega li insegue impugnando il telefono. Finisce con i piedi nella melma. La puzza della spazzatura e dei roghi dà alla testa. Due donne si avvicinano a una poliziotta e si complimentano per i ricci biondi: «Che bei capeli, beli, beli». Un gruppo di bambini chiede ai giovani militanti di poter sventolare i cartelli con su scritto «Salvini premier». Permesso accordato. Si mettono a correre urlando: «Salvini, Salvini». Sono trasandatissimi. Sembrano i piccoli orfani molto discoli del dickensiano Oliver Twist. Arriva il capo del campo, tal Voican, e gli strappa di mano i cartelli. Viene verso di me infuriato, scambiandomi per un leghista: «Non si fa così. Loro non sanno nemmeno chi sia Salvini».

I pargoli non si fermano. Continuano il coro: «Salvini, Salvini». Uno, che indossa una tuta militare, si arrampica sul tetto di una casetta. Un altro si appende a una grata arrugginita. Si mettono in mostra per le telecamere. C’è uno sgradevole effetto zoo. I militanti si stringono tra di loro. Uno bisbiglia: «Occhio ai portafogli». Salvini nel frattempo dichiara alla Mandria che le case diroccate di quei piccini andrebbero abbattute. E che sulle ceneri di quel campo dovrebbe sorgere un parco giochi. «Ci vuole la ruspa. L’illegalità non va tollerata. Mai». Nel frattempo due donne sinti che hanno sentito tutto disquisiscono sulla proposta salviniana. Una veste pantaloni leopardati e l’altra una gonnona tigrata. Leopardata: «Italia, mafia, spaghetti…». Tigrata: «No, Italia buona buona». Sale la puzza di plastica bruciata. Un signore enorme, con riccetti biondi e occhi aguzzi, scarpe di vernice, cappotto nero e un piccolo foulard arancione intorno al collo, si avvicina a Salvini. Comincia a discutere. Chiedo ai piccoli: «Chi è quell’uomo?». Monello1: «Mio padre». Monello2: «È papà». Monello3: «Cacino». Come si scrive? Arriva lo spelling: «C-a-c-i-n-o». Cacino: «Noi siamo qui e governo non aiuta noi». Salvini: «Se non hai un lavoro perché ti metti a fare dieci figli?». Cacino, alzando la voce e gesticolando in modo teatrale: «Molti italiani si comportano male. Cattivi cittadini». Salvini: «E basta, cazzo, mica ci vorrai spiegare come essere bravi cittadini italiani». I monelli dickensiani organizzano una carica giocosa contro Salvini. Il più alto è un metro e trenta e pesa trenta chili. Si intrufolano nella selva di giornalisti. Cacino li allontana con una manata. Si mettono in fila indiana. Il loro gioco continua: «Salvini, Salvini, Salvini».

Mentre sta per arrivare all’uscita, Salvini si rivolge al suo collaboratore che è pronto per la diretta Facebook. Ciak: «Qui si brucia la qualunque. La cosa che mi fa imbestialire è vedere centinaia di bambini vivere in condizioni allucinanti. Il Tribunale dei Minori che fa?». Rossella, che lavora in un centro per la protezione degli animali che si trova di fronte al campo, lancia una provocazione e urla: «Ehi Salvini, ti hanno fatto venire qui perché questo campo lo hanno appena ripulito». Una decina di militanti si gira verso di lei. Si guardano tutti intorno: nuvole di fumo tossico, rifiuti ovunque, fanghiglia, puzze assortite. «Ripulito?». La signora chiede conferma ai bimbi. Annuiscono. Esmeralda, che ha dodici anni e gli occhi di un’incantatrice, ordina a tutti i piccoli la ritirata.

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