Carlo Rovelli (Doppio Binario – 7 – Marzo 2018)

0 commenti

(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera l’8 marzo 2018)

INTERCETTO CARLO ROVELLI, 61 ANNI, fisico e scrittore, su un Roma-Verona ad Alta Velocità. Sfrutta gli ultimi minuti prima che il convoglio parta per starsene accovacciato sui gradini del treno a chiacchierare con un’amica. Poi mi raggiunge nello scompartimento. Abbigliamento standard da scienziato, un po’ fricchettone: jeans, t-shirt, maglione e pedule da trekking ai piedi. Capelli grigi, spettinati. Rovelli dirige il gruppo di ricerca in gravità quantistica del Centro di Fisica Teorica dell’Università di Aix-Marseille e da qualche anno è noto alle masse per i suoi libri divulgativi. Il più celebre è Sette brevi lezioni di fisica, che è arrivato a vendere un milione e duecentomila copie in tutto il pianeta. Ora è in libreria con L’ordine del tempo, pamphlet in cui racconta l’evolversi nei secoli della percezione del tempo e in cui si spiega come la nozione che hanno gli esseri umani non corrisponda ai risultati della fisica degli ultimi cento anni. Un esempio: lo sapevate che il tempo scorre più veloce in montagna e più lento in pianura?

Rovelli è in perenne movimento: era a Roma per una lectio magistralis con gli studenti di Tor Vergata, si sta muovendo per raggiungere Trento, poi Parigi, poi Marsiglia. Quando lo contatto per proporgli l’intervista, si prende un po’ di tempo. Mi studia. Risponde via email: «All’inizio, dopo aver letto la sua intervista all’astro-blogger Simon & the Stars avevo deciso di rifiutare, poi ho spulciato altro e ci ho ripensato». Appena ci sediamo e cominciamo a chiacchierare gli chiedo che cosa avesse di male il colloquio con l’astrologo. Replica: «Le previsioni dell’astrologia sono false. Mi è sembrato che non lo si dicesse con sufficiente chiarezza». Cominciamo a parlare delle tante balle in circolazione e lo porto sulle dichiarazioni del virologo Roberto Burioni che per contrastare le teorie No-Vax ha elaborato una formula dialettica decisamente perentoria: «La scienza non è democratica. Ognuno parli di quel che sa». Di più. A un candidato del M5S che gli chiedeva un confronto sui vaccini, Burioni ha risposto: «Si prenda laurea, specializzazione e dottorato e poi ci confronteremo». Rovelli: «La risposta alle teorie strampalate e antiscientifiche non può essere l’arroganza. Bisogna usare i fatti».

I fatti…

«Ai tempi dei nostri nonni se ti prendevi la polmonite avevi il 50% di possibilità di morire. È lì che si vuole tornare? Gli scienziati dovrebbero migliorare la loro comunicazione. Ricordo che durante le polemiche sul Metodo Di Bella alcuni medici per convincere i cittadini che non si doveva andar dietro agli stregoni si mettevano il camice bianco e agitavano i protocolli. Dicevano: “Bisogna seguire i protocolli!”. Ma chisseneimporta dei protocolli! Distribuite i dati sulle guarigioni, spiegate che se una persona guarisce da un tumore col Metodo Di Bella non è detto che funzioni con tutti, altro che protocolli».

La scienza dovrebbe accettare di più il confronto?

«Sì, ma c’è un equilibrio da trovare. E non è facile. Quando esplose il dibattito sui cambiamenti climatici negli Stati Uniti, si diede visibilità anche ai pochissimi studiosi negazionisti. E questo creò confusione. Insomma, se c’è un medico che sostiene che l’eroina faccia bene ai bambini non gli darei spazio in tv. Prima gli chiederei di convincere tutta la comunità scientifica».

Oggi sui social network circolano moltissime informazioni incontrollate.

«Molte stupidaggini che la gente prende sul serio. Internet è uno strumento straordinario che dobbiamo ancora imparare a usare bene».

Lei usa Facebook e Twitter?

«Twitter, dieci minuti ogni tre giorni. Con Facebook ho smesso». Perché? «Perché mi sono accorto che è falsa l’illusione di essere in una piazza universale. E perché voglio difendermi da quell’effetto droga-buco nero che spesso danno i social network. Se il tempo che di solito trascorro sui social decido di utilizzarlo per scrivere articoli di fisica o per passeggiare sulla spiaggia, la qualità della vita aumenta, no?». Viriamo sul fatto che spesso i No-Vax giocano con le paure dei cittadini. E su quanto in Italia la cultura della paura influenzi anche i risultati elettorali. Rovelli: «Io mi sono sempre considerato una persona di sinistra e sono sempre stato curioso di capire come si possa diventare di destra. Ho molti amici di destra. Sa qual è il loro minimo comune denominatore?».

Qual è?

«La paura appunto. La sensazione che il cambiamento sia un rischio e quindi sia meglio conservare. Chi ha letto il Mein Kampf di Adolph Hitler lo sa: alla base della propaganda nazista c’era la paura. Si dice: l’unico modo per non farsi distruggere è essere più forti e attaccare. Deve essere chiaro che la paura fa male all’umanità, impedisce le evoluzioni e ci fa tornare alla clava».

Mentre parliamo Rovelli giocherella con la lavagna trasparente messa a disposizione dal fotografo Sestini. Scarabocchia formule (per me incomprensibili).

È vero che considera momenti particolarmente felici quelli in cui riesce a stare da solo a fare calcoli?

«Sì, quando riesco a evitare altri impegni e posso mettermi a fare conti sono sereno, felice».

Anche da ragazzo amava fare conti?

«Fino a dodici anni sono stato un bravo bambino. Figlio unico di madre avvolgente e padre, ingegnere, serio e onesto. Tutti e due di un’intelligenza intensa».

Come misura l’intelligenza di una persona?

«Ci sono tanti tipi di intelligenza. In comune hanno tutti la capacità di apprezzare la complessità».

Torniamo al giovane Rovelli…

«Sono stato contagiato molto presto da un lato rivoluzionario».

Quanto presto?

«A tredici anni ho cominciato a scappare di casa e a voler andare in giro da solo».

Un esempio di fuga solitaria?

«A sedici anni mi trovavo a Parigi per un viaggio estivo organizzato dalla scuola. Lì ho conosciuto un ragazzo bulgaro che mi ha raccontato le meraviglie del loro Comunismo. Allora ho chiamato mio padre e gli ho detto che avrei prolungato il viaggio. Dalla Francia sono arrivato a Sofia in autostop. Di notte dormivo nei campi. Ero molto attirato dalla vita hippie, un po’ alternativa».

Università?

«Ho cominciato Fisica a Bologna, ma il primo anno l’ho trascorso fumando hashish e ascoltando musica».

Uno studente modello.

«Il secondo anno sono partito per un coast to coast in Canada, zaino in spalla. Mi sono mantenuto raccogliendo ciliegie».

In L’ordine del tempo ci sono un paio di accenni a come cambia la percezione del tempo quando assumiamo sostanze come l’Lsd o i funghi allucinogeni…

«Eheh. Era un periodo ribelle. Rientrato a Bologna ho vissuto il momento delle radio libere: con degli amici demmo vita a Radio Anguana».

Anguana?

«Sono creature fatate nei boschi».

Ma la passione per la Fisica quando arriva?

«Alla fine degli anni Settanta succedono due cose».

La prima…

«La mia generazione capisce che il sogno di cambiare il mondo, di vivere l’amore e la famiglia in modo diverso, di collaborare invece che competere, è andato sbattere con la realtà».

La seconda…

«Cominciai a studiare la fisica del Novecento e mi innamorai».

Mentre scorrono rapide le immagini di alberi e di colline fuori dal finestrino del treno, Rovelli prova a raccontarmi la specificità dei suoi studi. Lui attualmente è concentrato sui buchi neri e sulla possibilità di conciliare la relatività generale di Albert Einstein con la meccanica quantistica. È tra i creatori della teoria della gravità quantistica a loop. Mi vede perplesso di fronte alla spiegazione sulla curvatura dello spazio e del tempo e allora la butta sul cinematografico: «Ha presente Interstellar?». Interstellar è il film di Christopher Nolan in cui un padre parte per un viaggio interstellare, viene a contatto con un buco nero e quando torna sulla terra sua figlia dodicenne è diventata più vecchia di lui. «Beh, è tutto vero. Funziona davvero così. Quella non è una teoria, è una certezza. Kip Thorne, il consulente di Nolan, ha vinto un Nobel per la fisica. Ovviamente queste «sfasature» temporali all’interno dell’atmosfera terrestre riguardano miliardesimi di secondo, ma se ci si avvicina a una stella pesante diventano facilmente percepibili. Certo, oggi non abbiamo la tecnologia per fare quel tipo di viaggi».

Questi studi a volte sembrano avvicinarsi più alla filosofia che alla fisica. Lei si considera un po’ filosofo?

«No. Ma sono convinto che siano discipline che possono aiutarsi. E nessuno mi toglie dalla testa che per Einstein il fatto di aver letto da ragazzo le tre Critiche di Immanuel Kant gli abbia aperto decisamente la testa».

È vero che la sua teoria della gravità quantistica a loop non è conciliabile con l’altrettanto celebre teoria delle stringhe?

«Non mi faccia criticare né fare pubblicità alle “stringhe”. Mi piace sottolineare però che anche quella teoria è emersa dalle idee di un italiano, Gabriele Veneziano. Le due teorie fondamentali sul mondo sono entrambe nate da italiani».

Lavorate tutti e due in Francia.

«Tutti gli scienziati vorrebbero venire in Italia. Siamo i primi per influenza nei modelli culturali. Ma uno scienziato in Italia viene pagato molto meno che nel resto del mondo e ha meno fondi per la ricerca. A Bristol, per esempio, oggi pagano molto di più e hai il triplo dei collaboratori».

Lo Stato investe poco nella ricerca. È una storia vecchia.

«Vecchia ma vera. Le nostre spese per la ricerca confrontate con quelle della Germania e dell’Inghilterra sono ridicole. Abbiamo percentuali novecentesche di laureati rispetto alla popolazione. Pensiamo ancora che l’università serva a formare le classi dirigenti, mentre dovrebbe formare tutti».

Siamo senza speranze?

«No. Ma dobbiamo guardarci intorno. Olanda, Stati Uniti, Cina, India… tutti investono nell’ università più di noi. Pensiamo davvero di essere più furbi degli altri e di non averne bisogno?».

Categorie : interviste
Leave a comment