Luigi Di Maio ( 7 – Gennaio 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 25 gennaio 2018)

TORINO. Sul bancone di plastica bianca c’è la testa mozzata di un grosso pesce spada. Il pescivendolo tiene in mano un coltellaccio e appena vede passare Luigi Di Maio col seguito di militanti e di giornalisti, urla: «Io mi sveglio alle quattro. Capito? Alle quattro». Il sottinteso, un po’ rabbioso, è che nessuno potrà cambiare questa sua condizione faticosa. Di Maio lo sente, non si ferma, torce lentamente la testa verso di lui e risponde: «Io oggi mi sono alzato alle cinque». Pochi metri dopo una macchina inchioda accanto a un tavolaccio ricoperto di agli e di zucchine. Dal finestrino abbassato del posto di guida si sporge un signore: «Mi raccomando, non deludeteci». Di Maio, con lo stesso tono con cui ha replicato al commerciante, dice: «Voi non lasciateci soli». Di Maio, il freddo. Di Maio che mantiene lo stesso tono smooth jazz campano anche durante i comizi. Di Maio che si lascia scivolare addosso qualsiasi sberleffo sui congiuntivi toppati e che accoglie con garbo marmoreo gli abbracci dei fan per strada. È un giovane cyborg della politica: l’anima un po’ inamidata e di governo del Movimento Cinque Stelle. Complementare (e opposta) a quella scapigliata da trincea, modello Alessandro Di Battista. Il racconto dimaiesco dei suoi esordi politici rivela l’imprinting: «Non mi dovete immaginare come il pasionario che al liceo sognava di trascorrere le notti col sacco a pelo disteso sui banchi.

Durante la mia prima campagna elettorale come rappresentante degli studenti ho combattuto chi voleva occupare le aule: proponevo una lotta credibile che coinvolgesse i professori per ottenere una nuova scuola, perché la nostra era pericolante e fatiscente. Se ho cominciato a fare politica è anche merito di un professore di storia e filosofia berlingueriano. Mi diceva: “Non pensare alla destra o alla sinistra. Cerca di portare termosifoni funzionanti in classe”. Un politico deve pensare a migliorare la qualità della vita dei cittadini». Tra la folla di anziani che frequenta il mercato torinese, dove comincia la nostra giornata con Di Maio, la qualità della vita migliorerebbe con pensioni più decorose. Una vecchietta intabarrata gracchia: «Io prendo 498 euro al mese». Un anziano col berretto di lana in testa e gli occhi azzurri iniettati di vendetta sociale chiede: «Taglierete le pensioni d’oro, vero?». Di Maio si ferma a parlare con loro. Sostiene che i pensionati siano i nuovi poveri. Promette: «Faremo in modo che le pensioni minime non siano sotto i 780 euro. E metteremo mano a quelle d’oro». Quando obietto che con il taglio delle pensioni più ricche non si finanzia una riforma così gravosa, Di Maio chiarisce: «C’è anche una questione di giustizia sociale e di redistribuzione del reddito». Di Maio da settembre scorso è il Capo Politico e il candidato premier del Movimento Cinque Stelle. Da qualche settimana è in tour per la campagna elettorale delle Politiche 2018. Si muove su un pulmino nero decorato con due strisce gialle. Sugli sportelli posteriori c’è la scritta “Rally per l’Italia” e sulla fiancata il nome Di Maio è sottolineato da un tricolore. Con lui ci sono sempre: Mariachiara Ricciuti, che cura i rapporti con la stampa, Cristina Belotti, addetta all’agenda e agli appuntamenti, Nicola Virzì, che guida e scatta foto, Pietro Dettori, responsabile della campagna, e Dario Adamo, che si occupa dei social network e delle riprese per lo streaming. Già, perché tutto è ripreso, tutto è documentato, tutto è condiviso. Anche qualche immagine di questa intervista è già finita online. E sono in rete, prima ancora che in piazza, le repliche a tutte le polemiche con gli altri leader politici. Silvio Berlusconi dice che i grillini sono meteorine della politica? Di Maio spara il battutone: «Noi siamo il meteorite che spazzerà via i dinosauri come Berlusconi». Matteo Renzi (in coro con parte dell’establishment italiano ed europeo) lo accusa di essere incompetente? E lui posta un elenco feroce sullo stato di salute dell’Italia mal governata dai cosiddetti “partiti competenti”.

Uno dei più solidi Leitmotiv pentastellati è proprio questo: «Chi è venuto prima di noi è stato una catastrofe per il Paese e per le città». Così, se un signore di una cinquantina d’anni che sta facendo la spesa al mercato si avvicina al banchetto del Movimento Cinque Stelle e comincia a polemizzare con i militanti sulla loro inesperienza, citando Spelacchio e i cassonetti strabordanti di Roma, gli si affianca subito un ragazzo che si presenta («Ciao sono Andrea, ho 22 anni») e inizia a srotolare tutte le malefatte delle amministrazioni capitoline dal Sacco di Roma del Secondo Dopoguerra fino a Mafia Capitale. Si crea un capannello. L’argomento del giovane Andrea è un po’ logoro, ma funziona. Una signora impellicciata esclama: «Peggio di così non può andare». Giuseppe, 75 anni, cinquanta dei quali vissuti a Torino, ma senza perdere il dialetto salernitano, chiude la discussione: «A me mi piac’ Di Maie come parl’, tutti l’atr’ hanno fatt’ delle crandi zozzerie». Dopo una piccola pausa caffè al bar Amore, la processione di telecamere, militanti, taccuini e vigili urbani riprende a muoversi come un serpentone goffo tra i banchi del mercato. Ricciuti cerca di convincere i cronisti a non essere troppo ingombranti. Manolo, che fa parte di un consorzio locale con pulsioni anti-Bolkestein, guida Di Maio tra i negozianti che simpatizzano. Un sorriso composto. Due parole alla nonnina che tiene in braccio un bimbo. Quando la carovana si ferma per una lunga pausa selfie, Alessandro Mensio, presidente della Commissione ambiente del Comune di Torino, cerca di sensibilizzare i commercianti sull’uso accorto dei sacchetti di plastica.

Una giovane fruttivendola si lascia sfuggire un apprezzamento: «Luigi, sei elegantissimo!». Tre clienti sopra gli ottanta raccolgono l’assist. Vecchietta 1: «Ha proprio ragione Orietta Berti. Di Maio è un bel ragazzone». Vecchietta 2: «Ma sarà bravo?». Vecchietta 3: «Speriamo, anche perché di belli ne abbiamo avuti abbastanza. Vi ricordate Rutelli e Casini?». Di Maio non le sente. Sta stringendo la mano a un signore che in cambio del segno d’amicizia gli ha promesso il suo voto. Accanto a lui una consigliera comunale commenta un cartello che promette sconti del 50% su pigiami e tovaglie: «Anche i nostri parlamentari fanno lo sconto: danno metà dello stipendio al fondo Cinque Stelle per le piccole imprese». Si cerca uno spazio dove rilasciare una dichiarazione. Sotto al campanile della Chiesa di Santa Rita si materializza una nuvola di telecamere. Di Maio dichiara. Sui taccuini compaiono alcune parole chiave: «Gentiloni, Roma, Torino… Renzi, De Benedetti». È ora di pranzo. Il Capo Politico del Movimento Cinque Stelle saluta e si accomoda sulle poltroncine in pelle del pulmino. Lo vedo inforcare le cuffie. Che cosa ascolta? «In questo periodo soprattutto Ludovico Einaudi».

Alla pizzeria Vecchia Europa l’unico referendum che si svolge non riguarda l’euro, ma la scelta tra la birra e il vino. Vince il vino. Ai No Vino viene concessa comunque una media chiara schiumosa. Ci sono tutti i piemontesi del Movimento: la sindaco Chiara Appendino, il senatore No Tav Marco Scibona, il consigliere regionale Davide Bono e un gruppone di consiglieri comunali. Di Maio viene fatto sedere accanto ad Appendino. Siamo nel giorno in cui i quotidiani titolano che tra loro è calato un gelo pietrificante. Non sembra. Cominciano a parlare di un blogger che ha creato due pagine satiriche: «Chiara Appendino proibisce cose» e «Luigi Di Maio che facesse cose». Il tipo ha postato un fotomontaggio in cui Appendino e Di Maio sono abbracciati: lui ha un occhio nero e la didascalia lascia intendere che la sindaco avrebbe percosso il leader pentastellato durante una lezione sui congiuntivi. Ridono. Arriva Davide Casaleggio. Si mette tra loro due. Al tavolo la conversazione vira sulle smart city e sulla possibilità di dotare Torino di una moneta complementare. Di Maio finisce il suo pesce spada. È il momento della foto di gruppo. Si mettono tutti in posa dando le spalle alle finestre. Interviene il nostro Massimo Sestini, fotografo funambolico e goliarda. Consulenza gratuita per evitare uno scatto in controluce: «Tutti da quest’altra parte. Guardate qui. Fermi. Uno, due, tre… clic». Di Maio e Casaleggio sono gli unici in giacca e cravatta. Il giovane leader si avvicina al nostro tavolo.

Di Maio, lei è Capo Politico e candidato premier. Il vostro nuovo statuto prevede garanti e probiviri, ma poi le decisioni le prende qualcun altro…

«E chi le prende?».

Il signore seduto lì dietro, Davide Casaleggio, per esempio?

«Tutti quelli che pretendono di sapere chi decide nel Movimento, generalmente non hanno mai frequentato i Cinque Stelle».

Se lei diventasse premier, dovrebbe gestire emergenze nazionali e internazionali. Saprebbe affrontare una telefonata del presidente degli Stati Uniti nel cuore della notte?

«Sì. L’importante in certi casi è anche la qualità della propria squadra».

I Cinque Stelle hanno promesso di annunciare i nomi dei ministri del loro governo prima del 4 marzo, data delle elezioni. Il primo provvedimento che prenderebbe a Palazzo Chigi?

«Ne dico tre: una legge per abolirne 400, il reddito di cittadinanza e un provvedimento choc per abbassare il costo del lavoro e aiutare le imprese».

Le coperture per tutte queste promesse?

«Ci sono. Le trova sul nostro sito».

Si citano sempre decine di miliardi che dovrebbero spuntare dalla lotta all’evasione. Lei sarebbe d’accordo a riabbassare drasticamente la soglia di contanti spendibili? È una proposta di Pier Luigi Bersani…

«No. La soglia dei tremila euro è stata concordata con le associazioni di categoria. E noi non vogliamo mettere tutte le transazioni nelle mani delle banche. La lotta all’evasione non si fa massacrando il commerciante».

Voi siete anche per l’abolizione del redditometro, dello spesometro e degli studi di settore…

«Per trovare gli evasori basta intrecciare bene le informazioni delle banche dati dell’Inps, dell’Agenzia delle Entrate, della Motorizzazione…».

Segue botta e risposta sul cambio di idea del Movimento Cinque Stelle a proposito dell’euro («Non siamo cambiati noi, è cambiato lo scenario»), su quel che succederà la notte del 4 marzo se il Movimento Cinque Stelle dovesse risultare il primo partito (la loro idea di presentarsi agli altri gruppi parlamentari con proposte allettanti sperando nella fiducia risulta un po’ naïf) e sul suo primo incontro con Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «La mia prima azione nel Movimento risale al 2007, con una raccolta firme per l’iniziativa “Parlamento pulito”. All’epoca durante i pranzi e le cene a casa discutevo spesso con mio padre, elettore del centrodestra. Grillo e Casaleggio li ho incontrati per la prima volta a Milano dopo la rielezione di Giorgio Napolitano al Quirinale. Io ero già vicepresidente della Camera, facemmo una riunione, anche con altri portavoce, per conoscerci e per decidere se partire all’attacco in tv. Io andai per primo da Enrico Mentana e poi da Lilli Gruber». Mi racconta quale è stato l’insegnamento principale di Casaleggio senior: «Alla fine non è importante quello che dici, ma quello che fai. L’esempio delle azioni. Noi continueremo col taglio dei nostri stipendi, la rinuncia al vitalizio e i rimborsi solo se rendicontati».

Siamo al caffè. Gli chiedo se preferirebbe lo scudetto al Napoli o il Movimento Cinque Stelle al 30%, mi stoppa: «Per carità, che domande fa?». Si affretta a toccare l’oliera di metallo. Dice: «Sono decisamente scaramantico». Dato che lo vedo un po’ stanco glielo faccio notare. Domando: «Riesce a regalarsi un po’ di tempo per se stesso?». Replica cyborg-politica: «Vivere quello che sto facendo non mi pesa». Mi dice che non legge romanzi da tempo, che sta compulsando una raccolta dei migliori oratori della storia (“Da Socrate a Obama”) e che la sua ultima volta al cinema risale a un anno fa: «Ho visto quello dei telefonini… Perfetti sconosciuti». Gli chiedo che cosa succederebbe se gli chiedessi di farmi vedere messaggi e telefonate sul cellulare (come accade nel film) e lui, riferendosi alla fine della sua relazione con Silvia Virgulti, sbuffa: «Tradimenti e amanti? Non c’è manco più il problema adesso».

Ci alziamo. Alla cassa c’è la fila. Ognuno paga per sé. Di Maio esce affiancato da Casaleggio. Nel suo “Rally per l’Italia” sono previsti molti incontri con gli imprenditori. Sale sul pulmino e si dirige verso la sede di un’azienda aerospaziale. I giornalisti non sono ammessi, veniamo stoppati davanti ai cancelli. Io e Sestini seguiamo l’appuntamento di Di Maio in streaming. Finita la visita vediamo il furgone dirigersi verso le Alpi. Sul profilo Facebook del Capo Politico pentastellato poco dopo compare un altro video. È la replica alle proteste del Pd per l’endorsement di Orietta Berti ai Cinque Stelle: c’è Di Maio al volante che annuncia la prossima tappa del tour in Val d’Aosta e in sottofondo la voce dell’usignolo di Cavriago intona… «Fin che la barca va, lasciala andareeeeeee».

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