Giorgia (Doppio Binario – 7 – Gennaio 2018)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 18 gennaio 2018)

ROMA SUD. C’è una piccola foresta fuori dalla porta dello studio. Un albero di arancio si affaccia sull’ingresso dove sono parcheggiate le biciclette. Una è cromata, l’altra pieghevole. «Hanno le ruote sgonfie, usiamo questi». Accanto a un bilanciere da palestra ci sono due hoverboard. Doppio Binario ecologico e traballante con la cantante Giorgia su quelle che tecnicamente vengono chiamate “tavole bicicliche autobilancianti”. Prima di partire prendiamo un caffè. Lei: «Il divano è in finta pelle. La mia pellicciona è ultra sintetica». Giorgia, ugola trionfante e flautata della musica italiana, è una ambientalista scatenata. La prima volta che ci siamo incontrati, dieci anni fa, l’ho vista smontare un pacchetto di sigarette per poterne riciclare ogni singolo pezzetto. Ora ha smesso di fumare («È veleno») e considera il nostro pianeta spacciato: «La natura rinascerà, sono fiduciosa. Ma gli esseri umani sono destinati a estinguersi: ogni volta che hanno avuto la possibilità di fare una scelta tra la rinascita e lo schiantarsi, sono andati dove ci si schianta».

Giorgia sta per uscire con un nuovo disco, Oronero Live, che contiene anche il duetto con Marco Mengoni, Come neve. A marzo partirà in tour: «Per la prima volta sarò su un palco centrale, di quelli per cui sei circondata dal pubblico». Due anni fa, quando uscì per la prima volta la canzone Oronero, Giorgia spiegò così il titolo: «L’oro nero, il petrolio, è una risorsa che se usata male diventa veleno. Si può dire la stessa cosa delle relazioni interpersonali». Eco-romanticismo, insomma. Ci diamo del tu. Un ronzio, il peso in avanti e si parte. Ci spostiamo verso la strada. Zzzzz. Tre macchine in doppia fila. Una parcheggiata sulle strisce. In lontananza si sente il rumore di un tipico ingorgo capitolino: «Ma ti pare che nel 2018 si va ancora in giro con le macchine a benzina?». Domando: «Tu non hai un’autovettura?». Replica: «È elettrica. Usare ancora il petrolio… è ridicolo».

Passiamo accanto a un cassonetto agonizzante. Giorgia racconta una conversazione avuta pochi giorni fa con il figlio settenne, Samuel: «Mi ha chiesto: “Mamma perché stai lavando il cartone usato del succo di frutta?”. E io: “Perché lo devo buttare”». Inutile dire che nella querelle sui sacchetti biodegradabili obbligatori da due centesimi lei è schierata coi sacchettisti: «In realtà, però, uso delle vecchie borse di iuta del supermercato». Sono giorni in cui Roma soffre di monnezzite. Dato che Giorgia nel 1995, dopo aver vinto Sanremo, venne nominata dal sindaco Francesco Rutelli ambasciatrice della romanità, le chiedo: come sta la Capitale? Risponde: «Hai tre orette per parlare?». La invito alla sintesi. «Spero che Virginia Raggi nei due anni che le restano riesca ad accelerare e a lenire i dolori della città. Io l’ho votata». Domando: «La rivoteresti?». La cantante, sorridendo, prima simula uno svenimento, poi dice: «Sì. Vorrei darle una spinta, un incoraggiamento a fare bene. Roma è sofferente. La vicenda dei rifiuti ce lo dimostra. Ma bisogna anche dire che noi romani siamo un po’ incivili».

In che senso?

«Abbiamo una natura e una filosofia di vita accogliente che amo. Poi c’è quell’indolenza per cui di fronte a un problema grande pensiamo: “Vabbè, qualcuno lo risolverà. Intanto annamo a magnasse qualcosa”. Dovremmo smettere di lamentarci e cominciare a trattare meglio la nostra città».

Su Instagram ho visto una locandina dei tuoi prossimi concerti. Ci sei tu di spalle e la scritta: “Viecce”. “Vienici”, in romanaccio.

«È un fotomontaggio realizzato da un fan. Nella foto originale io avevo scritto “E mo’?”, cioè “E ora?”».

Hai mai pensato di scrivere pezzi o di cantare in romano?

«No. Non mi ci vedo. Forse anche per reverenza nei confronti di Gabriella Ferri…».

…leggendaria interprete de Roma…

«… mio padre me la faceva sempre ascoltare. E lui stesso aveva una sua particolare interpretazione del Barcarolo».

«…er barcarolo va controcorente e quanno canta l’eco sa risente». È la storia di un suicidio per amore.

«Nelle vecchie canzoni romane c’è sempre qualche donna che si ammazza o che viene ammazzata. Ogni tanto provo a far intonare a mio figlio la più allegra “Fatece largo che passamo noi…”».

Lo educhi alla romanità?

«Un po’ sì. Pur avendo due genitori romanissimi parla un italiano correttissimo ed è venuto fuori con la erre moscia».

È vero che gli hai dedicato un pezzo che non hai mai pubblicato?

Giorgia invece di rispondere, intona: “Credo in te perché mi sei accanto /spero per te che mai nessun rimpianto /scivoli sul tuo sorriso /che porta in terra il paradiso /e tu che non dormi mai….”. Poi ride: «Ci sono stati due anni in cui Samuel non dormiva mai. L’ho scritta quando eravamo un po’ esauriti». La cantante, al contrario dell’intervistatore, si muove con disinvoltura sull’hoverboard. Zzzz. Le propongo un piccolo test sulla scena musicale romana. Io dico un verso, lei deve indovinare il giovane interprete. Accetta. Procediamo.

«Galoppiamo in SH, ‘namo in sella/ Lei è bella bella peccato che è lella». (Nota per i non romani: “lella” in gergo vuol dire lesbica).

«Ahahah. Stupenda. Di chi è?».

Carl Brave x Franco 126.

«Non conosco».

«Scusa se non parlo abbastanza/ma ho una scuola di danza nello stomaco».

«Bella, di chi è?»

Coez.

«Ah, lui è bravo. E poi mi piace un casino Mirkoeilcane».

Mirkoeilcane sarà tra i giovani del prossimo Sanremo. Tu partendo dai giovani arrivasti a vincere il Festival, nel 1995, con Come saprei.

«La cena dopo la vittoria fu surreale».

Racconta.

«Ci ritrovammo al ristorante alle quattro di notte dopo la premiazione, la conferenza stampa e le foto. Al mio tavolo c’era Gianni Morandi che scherzava e indicandomi, diceva: “Ma questa da dove è uscita fuori?”. A un certo punto mi si è avvicinata una ragazza dell’ufficio stampa della casa discografica BMG e mi ha detto: “Tua nonna l’abbiamo sistemata lì”. E io: “Mia nonna?”. Mi ero dimenticata che era venuta con me. Mi girai e c’era lei truccatissima, curatissima, che spifferava ai giornalisti un milione di aneddoti sulla mia infanzia, sulle vacanze da adolescente… Mi avvicinai urlando contro i giornalisti: “Ma come vi permettete di aggredire con queste domande una donna anziana”. E mia nonna, ottantenne, che obiettava: “Non sono anziana”. Lei faceva parte del lato ultra-femminista della famiglia».

Ultra-femministe. Sei del partito “Asia Argento: scatenate l’inferno contro le molestie” o del movimento “Catherine Deneuve: non condanniamo come molestie anche un corteggiamento insistente”?

«Quello che è successo dopo il caso Weinstein con #metoo è magnifico. Le donne non staranno più zitte. E probabilmente non capiteranno più fotografi che all’inizio di uno shooting ti dicono: “Ti ho sognata tutta nuda”».

Ti è successo?

«Avoia».

Hai ricevuto anche molestie online, da qualche hater?

«Se avessi vent’anni mi sarei ammalata per quel che leggo sui social. A quarantasei anni posso reggere l’impatto. Quando tre anni fa è morto Pino Daniele, postai un ricordo. Tra i commenti un tipo scrisse: “Vedi di morire anche tu”».

Un detrattore?

«Stare sui social lo considero un servizio sociale che tu fai per aiutare il fegato degli altri. Si sfogano. Speriamo che li faccia stare bene».

Torniamo nello studio dove Giorgia studia e compone i suoi pezzi. Sul tetto del palazzo c’è una selva di pannelli solari. Gli interni sono hi-tech. La sua postazione con tastiera, microfoni e mixer sembra la plancia di comando dell’Enterprise: «Ho imparato a fare tutto da sola. Ma poi quando registro mi affido a uno studio professionale». Mi racconta che a breve cominceranno le prove per i concerti. Lo fa con entusiasmo fanciullesco: «Lì inizia la ficata vera. I pezzi non li rifacciamo mai come sono nei dischi». Dice: «Certo, qualche canzone la devo eseguire esattamente come se la aspettano i fan, anche perché loro vogliono cantare. Una volta provai una versione jazz di E poi. Al secondo “…e poi…” avevo previsto una lunga pausa, ma non ci fu niente da fare il pubblico anticipò la fine della pausa cantando in coro “… e poi sarà come morire”».

Tu quando hai cominciato a esibirti in pubblico?

«Prestissimo. Andavo in giro già a otto anni. Mio padre, che mi accompagnava, a un certo punto si accorse del mio disagio e decise di interrompere le esibizioni».

Tuo padre è musicista. Suonavi con lui nella band Io vorrei la pelle nera.

«Ha settantaquattro anni e ancora canta e suona come un ragazzino. Da bambina ci litigavo quando cercava di spiegarmi i vocalizzi. Ora quando parliamo di voci e di intonazioni abbiamo un linguaggio nostro meraviglioso. Sono andata a vederlo anche recentemente».

Ti ha chiesto di salire sul palco con lui?

«No, era nei patti. Anche perché quando cantiamo insieme lui mi vuole tipo corista, in un angoletto. Ti racconto un episodio che ti spiega il tipo».

Prego.

«Estate di metà anni Novanta».

Tu eri già famosa?

«Ero già stata a Sanremo giovani. Siamo dalle parti di Viareggio. Sono sul palco e dopo di me è previsto mio padre. A metà della mia esibizione, dato che ha cominciato a pioviccicare, papà si avvicina al mio manager e gli dice: “Aoo, falla scendere, che io devo suonare”. Ahahah, capito che passione?».

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