Neri Marcorè (Doppio Binario – 7 – Ottobre 2017)

0 commenti

(Intervista pubblicata per 7 – Corriere della Sera il 12 ottobre 2017)

MENTRE IMPUGNA LA SUA BOCCIA da quattordici libbre, si accorge che non so chi sia Alexia, la cantante di cui mi ha appena parlato. Fa un sorriso buffo e comincia a cantare in falsetto: «… Dimmi come posso fare per salvare il mio cuore… Na-na-na… Ricordi? Ha vinto Sanremo una decina di anni fa». Neri Marcorè, 51 anni, attore, imitatore e doppiatore, ha una madre campionessa di bocce e in suo onore il Doppio Binario si svolge su una pista ben lubrificata di bowling. Neri non indossa il completino viola di Jesus, personaggio leggendario del Grande Lebowski interpretato da John Turturro, che lecca la sfera prima di lanciarla, ma si esibisce in un paio di strike inaspettati. Tra un paio di giorni farà il suo esordio su Rai1 con Celebration, show musicale gonfio di super interpreti italiani che cantano pezzi stranieri leggendari. Spiega: «Non è un’operazione nostalgia. E nemmeno un rispolvero di clip pescate nelle teche Rai». Gli chiedo se ha in canna un colpo sensazionale e lui mi spiazza: «A dicembre parto con tre amici su una barca a vela di quattordici metri. Facciamo la traversata atlantica. Tre settimane in mezzo all’Oceano, senza telefono, disconnesso da tutto: solo natura, silenzi.… Bello, no?». Annuisco, ma spiego: «Con “colpo” intendevo “ospite dei sogni”». Replica: «Il sogno? James Taylor, Dave Matthews… Ma il format del programma non li prevede». La conversazione prosegue alternando particolari sull’avventura marittima («Partiamo dalle Canarie») a considerazioni sul fatto che lui da sempre cerca di abbandonare le sue comfort zone per alzare la propria asticella. Dice: «Non mi piace battere sempre piste in cui mi sento a mio agio. Amo mettermi in discussione, scoprire nuovi limiti e cercare di superarli. Il varietà di Rai1 per me è un terreno sconosciuto».

In Celebration ci sarà un Marcorè snaturato?

«Sarò in smoking e proverò a essere più largo possibile, mantenendo la mia identità. Come ho fatto la prima volta che mi chiesero di condurre una trasmissione».

Per un pugno di libri, nel 2001.

«Non riuscire a non essere impacciato mi valse la chiamata di Pupi Avati che mi volle per Il cuore altrove».

Oltre agli ospiti ti esibirai anche tu?

«Canterò e ballerò. Nei limiti della decenza. Con Lillo e Greg metteremo in scena anche la reunion dei Beatles. La musica nella mia vita c’è sempre stata».

Qualche anno fa con Luca Barbarossa ti sei lanciato nella tournée musicale Attenti a quei due.

«Non solo. A teatro, nei miei spettacoli, ho rivisitato il mondo di Giorgio Gaber e di Fabrizio De André. E poi ho un gruppo con cui mi esibisco».

Un gruppo?

«Le tigri della Malvasia. Ispirazione salgariana, con declinazione etilica. Quando mi chiedono di intervenire a una serata di beneficienza invece di portare le imitazioni mi presento con la band».

È vero che hai una collezione di chitarre?

«Ne ho una decina. Quasi tutte acustiche. Solo un paio elettriche. Non sono un solista, anche se mi sono tolto una soddisfazione gigante».

Quale?

«Quando Pippo Baudo mi chiamò a Sanremo per uno sketch in cui imitavo Luciano Ligabue, studiai a lungo l’assolo di Viva e poi lo eseguii in diretta». Squilla il telefono. Marcorè scaraventa con forza garbata la boccia contro i birilli e risponde. È Ernesto Assante, giornalista e critico musicale, che fa parte del gruppo di autori di Celebration. Breve scambio di saluti. Attacca e il cellulare squilla ancora. Questa volta è Dario Brunori, in arte Brunori Sas. Si accordano sul fatto che sarebbe bello essere presto ospiti uno dell’altro. Neri srotola una lista di nomi che parteciperanno alla prima puntata del suo show: Noemi, Michele Bravi… Gli faccio notare che entrambi sono figli di X-Factor. Cominciamo a parlare di talent show. Lui sostiene che queste trasmissioni tv diano molte opportunità che le case discografiche non danno più. Sostiene che però sarebbe importante per i ragazzi avere a disposizione una back-door, una soluzione alternativa per le loro vite, artistiche e non. Consiglia: «Bisogna stare attenti a non esaltarsi troppo per quei due mesi di celebrità, ed è necessario sapere che non basta quella piccola esperienza per avere vita eterna nel mondo dello spettacolo».

La leggenda narra che a tre anni cantavi canzoncine amene in parrocchia e che a otto imitavi Ornella Vanoni.

«L’esordio vero però è quello a Radio Aut Marche, a dodici anni. Cantavo i Bee Gees. Mia madre, orlatrice, lavorava in casa e la radio era sempre accesa. Quando mi regalarono la prima chitarra ci rimasi incollato per settimane: ogni pomeriggio passavo ore a cercare accordi e a velocizzare passaggi».

Poi sono arrivate le imitazioni. A Stasera mi butto, nel 1990, interpretavi monologhi di cinque minuti durante i quali ti trasformavi in Gianni Minà, Carlo Verdone, Gianni Agnelli, Sven-Göran Eriksson e Dino Zoff. Concludevi con la telecronaca/cantilena ciclistica di Adriano De Zan: “Ecco che scorrono sul traguardo Bombini, Contini, pasta ceci e fagiolini…”.

«Quando dopo due anni mi chiesero di andare avanti decisi che era meglio studiare teatro e doppiaggio. Ho rinunciato a un po’ di visibilità in tivù per investire su me stesso. Mi piaceva più doppiare che imitare. E per un anno, grazie a Michele Gammino, oltre alle lezioni, sono rimasto a osservare le performance dei grandi del doppiaggio davanti al leggio».

Il tuo ultimo grande doppiaggio?

«La voce di Baloo ne Il libro della giungla. Toni Servillo era Bagheera e Giovanna Mezzogiorno faceva Kaa».

Finita la partita di bowling ci sediamo a un tavolo appartato. Essendo stato Marcorè un formidabile imitatore/ fustigatore di tic politici della Seconda Repubblica (Gasparri, Casini, Capezzone), gli chiedo se recentemente non abbia avuto la tentazione di cimentarsi nella parodia dei vari Renzi, Salvini, Di Battista… Sbuffa, un po’ annoiato. Finiamo a parlare di chi abita oggi i palazzi della politica e del rapporto tra cittadini e classi dirigenti. Dice: «Ci siamo incattiviti. C’è poca propensione alla civiltà e alla pazienza. Si cerca l’uomo forte a cui delegare ogni responsabilità per ottenere soluzioni rapide ed efficaci, senza avere il bisogno di studiare, di approfondire, di confrontarci. I politici ormai sembrano tutti affetti da brevimiranza: non sono capaci di elaborare progetti di lungo respiro, o si rifiutano di pensarci, perché non ne raccoglierebbero loro stessi i frutti elettorali».

Chi è il politico a cui affideresti le sorti del Paese?

«Io mi fidavo di Walter Veltroni. Ma ha lasciato perché anche lui aveva perso entusiasmo».

È successo nel 2009. Da allora hai smesso di votare?

«No. Ho sempre votato a sinistra. Anche se negli ultimi tempi questo rito granitico andrebbe messo in discussione, alla fine penso sempre: diamogli un’altra possibilità».

Le cose che vorresti venissero fatte subito dal governo?

«Maggiori investimenti sulla scuola. E lo ius soli. Ma che cavolo… Un ragazzo nasce in Italia, compie un ciclo scolastico e tu non gli dai la cittadinanza?».

Non ci sono i voti in Parlamento per approvare lo Ius Soli.

«Non ne posso più dei veti imposti dai piccoli partiti. Eppure c’è gente che invoca il proporzionale come se non fossero bastati anni e anni di Pentapartito e di governi caduti per tre senatori che si sfilavano».

Hai mai pensato di votare M5S?

«Ammetto di non credere molto nella politica in cui vieni eletto online. L’inesperienza non è un valore e non implica necessariamente onestà. È un modello che rigetto».

Sei un nostalgico dei vecchi partiti?

«Con tutti i difetti che avevano tanti, lì almeno prima di arrivare a un incarico politico o in Parlamento, uno doveva fare una trafila che lo preparava».

I Cinque Stelle obiettano che l’Italia sta come sta per colpa della classe dirigente preparata da quei partiti.

«Non assolvo le classi dirigenti passate ma l’alternativa non passa dal rigetto delle istituzioni e, ripeto, essere nuovo non significa in automatico essere competente e capace».

Tu sei stato voce narrante del film di Roberto Faenza Silvio forever e hai spesso manifestato antipatia nei confronti del berlusconismo. Ora il Cavaliere è di nuovo in sella e potrebbe rivelarsi fondamentale per la formazione di una qualsiasi maggioranza di governo dopo le prossime elezioni.

«Sarebbe da ridere».

Visti i sondaggi, è probabile.

«Sì, vabbè. Se Berlusconi tornasse al governo sarebbe da fare a tutti un bell’applauso per poi chiudere il sipario e trasferirsi ad Andorra».

Esagerato.

«Non si può restare ancora bloccati a soluzioni che qualcuno giudicava buone venticinque anni fa. Siamo ancora lì? Andiamo avanti, vi prego».

Categorie : interviste
Leave a comment