Levante (Doppio Binario – 7 – Ottobre 2017)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 5 ottobre 2017)

L’ARMATA DI FAN A CACCIA DI “SELFIE” NON LE DA’ TREGUA. Ogni dieci passi la richiesta di un clic. Quando le chiedo dove trovi la pazienza per accontentare tutti, sorride: «Una volta hanno davvero esagerato. Ero in stazione e stavo piangendo. Singhiozzavo disperata al telefono. Due ragazzi si sono avvicinati. Nel momento in cui hanno capito che il loro treno stava per partire hanno gettato il pudore alle ortiche e, malgrado le lacrime, mi hanno chiesto comunque la foto. Ma come si fa?». Doppio Binario con Claudia Lagona, trent’anni, nota ai più come Levante, cantautrice e nuova giudice dell’undicesima edizione di X-Factor. Dei quattro è quella posata: sfuriate ridotte all’osso e giudizi poco tranchant. Racconta: «Quando sono lì non riesco a non pensare al sogno gigante dei concorrenti. Ho spesso gli occhi lucidi». Camminiamo per le strade della Milano fashion tra bar e scale mobili, zigzagando tra gruppi di fan spudorati. Dice: «Capitano anche ammiratori inaspettati. Qualche giorno fa Alex Del Piero mi ha chiesto di fare una foto insieme. Ho una famiglia juventina, sono soddisfazioni!». Mima un’esultanza da gol. Levante ha una croce tatuata su un polso e la scritta «Abbi cura di te» sull’altro. Abbi cura di te è il titolo della canzone che canta a cappella alla fine di ogni concerto. Parla svelto con cadenza nordica. È nata nel Catanese e ha vissuto gli ultimi quindici anni in Piemonte. Apre qualche vocale, ma in due ore di conversazione sfoggia un’unica espressione meridionale: facciuzza. Dice: «Parlo siciliano solo con mia nonna Rosalia». Anche una delle sue sorelle si chiama Rosalia e Santa Rosalia è il titolo di uno dei pezzi più provocatori della cantautrice. Spiega: «Rosa e Lia sono due fiori femmine che si amano. Ho immaginato di spiegare a un bambino l’omosessualità partendo da questa immagine. E poi dalle mie parti si dice che Santa Rosalia amasse una donna e che, costretta dal padre a un matrimonio di convenienza, scappò in una grotta» Le faccio notare che l’immagine di Santa Rosalia martire dell’omosessualità potrebbe risultare un po’ blasfema. Non sembra molto preoccupata: «Credo nel libero amore che non fa male a nessuno». La conversazione scivola sull’amore/non amore che fa male e sulle violenze subìte dalle donne. Levante: «Il brano Gesù Cristo sono io, parla di queste violenze. Non voglio generalizzare e parlare male di tutti gli uomini. Io per esempio sono stata fortunata. Ma il maschilismo sembra essere un’epidemia planetaria». La informo del fatto che i magistrati hanno archiviato le accuse contro i demolitori di Tiziana Cantone, la ragazza che si è uccisa in seguito alla pubblicazione di un video che la ritraeva durante un atto sessuale. La cantautrice resta basita: «È assurdo che una ragazza si tolga la vita a causa di un pompino. Non ha retto l’infamata dei suoi presunti amici. A chi la sfotteva avrebbe dovuto replicare: “L’ho fatto. E quindi?”. Tutta questa democrazia sui social network con annessa libertà di insulto fa un po’ paura. Ogni tanto viene fuori una violenza disumana e la tentazione è di uscirne».

Sei mai stata aggredita verbalmente online?

«Sì, purtroppo molto spesso da donne. Nella copertina dell’ultimo disco indosso una culotte. E così mi hanno scritto che mercifico il mio corpo per qualche like in più! Quando cantavo “… che vita di merda”, mi hanno gridato dietro “Sfigata! La vita di merda sarà la tua”. Sarcasmo e ironia vengono fraintesi».

Succede spesso?

«Sì. C’è una canzone intitolata Non me ne frega niente…».

Il testo sembra un inno che invita tutti a impegnarsi…

«E invece c’è chi mi ha dato della menefreghista. Ma io che ci posso fare? Chi legge i miei testi fino in fondo non può sbagliarsi. Eppure capita anche a quelli che conoscono il mio percorso: dal cantautorato al pop».

Dal cantautorato a X-Factor.

«Mi hanno già detto che è stata una scelta contraddittoria. Rispondo: sto dando alle storie che racconto una possibilità in più di arrivare a tutti».

Ci sarà anche un lauto compenso.

«Lauto? Le cose non vanno come potrebbe sembrare».

Ti lamenti?

«Naaaa. Scherzo. Ehi voi di X-Factor, se mi confermate il prossimo anno voglio un sacco di mila euro».

È vero che nel 2010 stavi per partecipare alla trasmissione come concorrente?

«Il mio agente mi aveva iscritto ai provini. Venni contattata dalla redazione di X-Factor ma non mi presentai. Partii per Leeds».

Hai vissuto molto in Inghilterra?

«No, solo due mesi. Dormivo in un bagno, buttata su un materassino. Per anni mi sono fatta le ossa sui palchi e mi sono sbucciata per bene le ginocchia. Credo che sia importante per un’artista. Dopodiché a molti amici cantautori ho consigliato di iscriversi alle selezioni di X-Factor, perché è una grande occasione».

Gli altri giudici: Manuel Agnelli, Fedez, Mara Maionchi…

«Mara è stata una sorpresa. Pensavo che fosse una donna aggressiva, invece è fantastica». «Sei bravissimaaaaa». L’urlo di un gruppetto di ragazzine spezza la conversazione. Levante abbassa lo sguardo sulle sue scarpe per evitare che i tacchi appuntiti restino incastrati nel flusso di gradini della scala mobile. Osservo: «Un giudice di X-Factor in poche settimane può portare giovani talenti alle stelle e poi scaraventarli nelle stalle del dimenticatoio. Il musicista Stefano Bollani proprio a 7 ha detto che il meccanismo dei talent rischia di far accomodare troppi giovani sul lettino dello psicanalista. Levante, che si occuperà delle Under Donne, non condivide l’analisi: lei pensa che i giovani che si presentano sul palco di X-Factor siano spesso sgamatissimi. Aggiunge: «Ci sono sedici-diciassettenni con personalità fortissime. In generale, per affrontare un provino davanti a duemila persone, sapendo che ti vedranno tutti in tv, devi già essere un fenomeno».

Tu dov’eri a sedici/diciassette anni?

«Mi ero trasferita da poco a Torino. Ed ero rappresentante d’Istituto: lottavo per la carta igienica nei bagni e nelle autogestioni organizzavo grandi jam session musicali».

Già sognavi di fare la cantante?

«In quarta elementare ho scritto un temino in cui esprimevo il desiderio di partecipare a Sanremo, con Pippo Baudo».

La tua infanzia musicale.

«Ero la più piccola di quattro fratelli. Mio padre suonava l’organo. Ricordo quando lui e mamma ballavano in salotto cantando a squarciagola Barry White “…my first, my last, my everything…” e io ero incastrata tra loro due, a panino. Papà è morto quando avevo nove anni. Ho cominciato prestissimo a scrivere canzoni piene di dolore. Ecco, secondo me non esiste l’arte senza il dolore».

Conservi ancora quei testi di venti anni fa?

«Ho una scatola “muccata”, con disegni maculati, in cui c’è tutto. Diari gonfi, manoscritti scarabocchiati…».

La prima esibizione in pubblico?

«A quattordici anni, a Saint-Vincent. Io e la chitarra. Una ragazzina coraggiosa. A diciannove anni ho firmato il mio primo contratto capestro». Per farmi capire il tipo di contratto Levante comincia a cantare Il gatto e la volpe di Edoardo Bennato: «Tu ci cedi tutti i diritti/e noi faremo di te/un divo da hit parade…». Poi spiega: «Dato che non quagliavo, mi hanno pure affiancato una band di sole ragazze, le Effemeridi. Un’esperienza brevissima e divertente, di quelle che ti fanno capire che cosa non vuoi più essere».

Il successo è arrivato nel 2013.

«Stavo per mollare. Mi stavo per rassegnare. Alla fine il primo disco, Manuale distruzione, me lo sono pagato facendo caffè e servendo cappuccini al bar».

Te lo sei pagato da sola?

«Duemilacinquecento euro. E ho dovuto urlare “che vita di merda” nella canzone Alfonso, perché il pubblico si girasse e si accorgesse di me. Ho pure rischiato di essere solo un tormentone estivo. Ma alla fine ho resistito». Malgrado i tacchi Levante sale le scale di corsa, saltando due gradini per volta. Si giustifica: «Sono un’ex pallavolista, eh». Il racconto del suo percorso universitario è brevissimo: «Un passaggio a Economia, qualche esame a Lettere, un’iscrizione fantasma a Psicologia».

le chiedo quali fossero i suoi miti giovanili srotola un lungo elenco di ugole formidabili. Da Mina a Janis Joplin passando per Alanis Morissette e Carmen Consoli.

Il tuo primo concerto da spettatrice?

«Vivevo a Palagonia. Da ragazzina al massimo aspettavo il concerto della Santa, cioè quello organizzato dal comune per i festeggiamenti del patrono: Ivana Spagna, I cugini di campagna… Quando mi sono trasferita a Torino le cose sono cambiate. Frequentavo un club storico, l’Hiroshima. Si pagava parecchio. Mi infilavo in situazioni assurde».

Un esempio?

«Te lo racconto ma non ci fare il titolo, che mamma poi chissà che cosa pensa… Concerto dei Meganoidi».

Gruppo Ska genovese.

«Ballo sfrenato, gomitate, calci, corpi sudati. A un certo punto vidi che alcuni ragazzi salivano sul palco e si lanciavano sul pubblico. Decisi di farlo anche io. Mi arrampicai sullo stage e dato che ero innamorata del cantante, Davide Di Muzio, lo baciai in bocca. Poi mi buttai a volo d’angelo sulla folla danzante».

Schianto a terra?

«No, no. Fu fantastico. Talmente tanto che ci riprovai. Ma al secondo tentativo il cantante mi spintonò via, ahahah».

È vero che tu prima di cominciare un concerto ti fermi a fissarti i piedi?

«Lo faccio anche prima delle riprese di X-Factor. È un momento di riflessione».

È vero anche che dopo i concerti vai dritta a nanna?

«Sì. Molto poco rock, vero? E non fumo e non bevo. Devo riposare, se no col cavolo che il giorno dopo ti faccio l’acuto».

Categorie : interviste
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