Stefano Coletta (Doppio Binario – 7 – Settembre 2017)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 7 settembre 2017)
Mentre scendiamo con la scala mobile mi chiede: «Come ti è venuto in mente di intervistare un funzionario della tv di Stato come me?». La risposta se la dà da solo pochi metri più avanti mentre aspettiamo l’arrivo del convoglio: «La mia è un po’ una favola». Doppio Binario in metro, a Roma, con Stefano Coletta, 52 anni, da fine luglio direttore di Rai3, al posto di Daria Bignardi. C’è chi lo considera di passaggio, perché nel 2018 ci saranno le elezioni e la Rai è particolarmente esposta ai venti della politica, e c’è chi saluta il suo arrivo come un sintomo di buona salute dell’azienda. Lui lo sa bene e alterna frasi fataliste («Magari resterò in carica più di quel che si pensa») a interpretazioni simboliche della propria nomina: «Sono contento per quelli che lavorano in Rai e come me hanno fatto un lungo percorso. La vera gavetta: redattore, inviato, autore, dirigente…».
Scandisce lentamente le parole e spesso, mentre racconta episodi del suo passato, cerca di interpretarli in chiave psicanalitica. Eccolo sulla sua data di nascita: «8 marzo 1965. Il giorno della donna. Sono nato di dieci mesi. È un fatto che ha caratterizzato molto sia il mio pre-natale sia il mio post-natale». Ed eccolo sui suoi genitori: «Una famiglia presente. Spaccata in due: un maschile molto leggero, con un padre viscerale, uterino e vitale. E un femminile più solido: mia madre era molto controller. Caratteristica che mi ha trasmesso». Si parte. Traballanti su un convoglio della metro A. Mentre il fotografo Massimo Sestini punta l’obiettivo sul direttore, si sente un urlaccio: «Aooo. Togli quaa maghinetta…». Tradotto: «Smetti di scattare fotografie». Il tono è piuttosto violento. Segue breve scambio di battute sull’imbarbarimento diffuso, poi viriamo sulla violenza verbale online. Coletta: «Su Rai3 andrà in onda Far web, una trasmissione con cui racconteremo gli haters, gli odiatori. Li incontreremo». La conversazione approda sull’attualità: i migranti, i muri, l’intolleranza: «Il Paese è terrorizzato. Culturalmente impaurito da tutto ciò che si può definire diverso. Professionalmente mi sento chiamato in causa. Voglio lavorare per sgonfiare il bubbone di paure che hanno gli italiani nei confronti delle diversità».
Come?
«Dando conoscenza. Anche raccontando gli immigrati».
La sua Rai3.
«A me piace la Rai che parla a tutti. Più ragionamenti e meno contrapposizioni.
Vorrei aiutare i telespettatori a sciogliere le ambivalenze e a ricevere la
verità».
Una direzione dal sapore messianico.
«Ahah, no. L’obiettivo è una descrizione onesta della realtà. L’identità di
Rai3 è proprio la realtà».
Rai3 quest’anno non avrà Fabio Fazio, non
ci sarà Pif e nemmeno Gazebo…
«Eredito una rete in difficoltà. In termini numerici, di ascolto, ci vorrà
tempo per rimpiazzare Fabio. Lui è anche un grandissimo autore tv. Gazebo ha avuto il merito di riportare la voce
corale di un appuntamento quotidiano. Con un sottotesto di gioco di ruoli e di
linguaggi contaminati. Vorrei tentare una nuova strada in questa direzione. È
un tracciato che riporterebbe la scrittura al centro del lavoro autoriale. Come
fu per Indietro tutta…».
… La leggendaria trasmissione di Renzo
Arbore.
«Arbore faceva apparire la scrittura della scaletta televisiva come totale
improvvisazione. In questo senso il mio innamoramento per Fiorello e la sua
Edicola è assoluto».
Vorrebbe portare Fiorello a Rai3?
«Non sono così naïf, devo fare i conti con i conti. È un sogno: gli affiderei
un late show confessionale,
uno spazio limbico, un’edicola notturna. Non c’è impianto generalista che possa
privarsi del mix alto-basso, Fiorello finge di veicolare solo il basso».
Altri conduttori da strappare alla
concorrenza?
«Riporterei in Rai Lilli Gruber. Magari per affidarle lo spazio che fu di Enzo
Biagi. Ma a Rai1, eh».
Dai sogni alla realtà. Si parla di un
arrivo dell’attore Filippo Timi a Rai3.
«È una mia passione. Ci stiamo lavorando».
Una trasmissione che verrà di sicuro
realizzata durante la sua direzione?
«Un racconto dei sentimenti. Partendo dalla letteratura».
Scendiamo dalla metro e ci incamminiamo verso la sede Rai di viale Mazzini. Coletta accende (si fa per dire) una di quelle maleodoranti sigarette senza combustione. Gli chiedo quale sia la televisione della sua infanzia e risponde che lui è cresciuto a pane e intrattenimento: «Canzonissima, Sanremo.… Lo dico sempre: prima di andare in pensione farò un Sanremo». Domando: «Da concorrente o da dirigente?». Mi guarda come se avessi svelato un segreto. Spiega: «Intendevo da dirigente, ma effettivamente ho studiato canto. E suono il pianoforte. Ma solo davanti a pochissimi amici».
I cantanti e le canzoni che gorgheggia più
volentieri?
«Francesco Guccini e Franco Battiato».
Esclamo: «Battiato non è facile da suonare e da cantare». Replica soddisfatto: «Aderisco facilmente». Cioè: bazzecole. Poi confessa: «Suono Bach e Chopin, ma nella vita ho avuto perversioni di musica leggera inconfessabili». Un esempio? «Nada. L’ho seguita molto».
Musica. Le piacerebbe rivedere X-Factor in
Rai?
«X-Factor sta bene dov’è. Dopo anni in Rai,
ha trovato la sua casa ideale. Mai tornare indietro, la tv di Stato deve
guardare avanti. Di sicuro vorrei Alessandro Cattelan: è un talento completo».
Talent musicali e cucina. In tv è
un’invasione. Su Rai3 andrà mai in onda una trasmissione tutta fornelli e
mestoli?
«No. Per quanto mi riguarda tutta la Rai potrebbe fare a meno del genere cooking. La cucina in tv mi fa sentire la
pancia piena, come dopo un’abbuffata. Dipenderà dalla mia storia personale».
Si spieghi meglio.
«Mio padre è stato lo chef dell’ambasciata inglese per venti anni. Da bambini,
io e mio fratello lo aspettavamo fino a notte inoltrata per assaggiare i suoi
manicaretti e ascoltare i racconti».
Lei sa cucinare bene?
«No».
La sua infanzia?
«Sono cresciuto a Roma, nel cosiddetto “quartiere africano”. D’estate e per le
feste ci trasferivamo nel paesino d’origine dei miei genitori: Roio del Sangro,
in Abruzzo. Ci torno ancora qualche giorno all’anno. Mi siedo sulla panchina in
piazza e ritrovo le tracce di tutta una vita. È un luogo identitario».
È vero che da ragazzo ha fatto parte di
una comunità neo-catecumenale?
«Mi ci sono avvicinato tramite una fidanzatina, a sedici anni. Non avevo fede,
mi piaceva il setting, l’idea comunitaria, gruppale. In qualche modo mi esercitavo
a fare la professione che avrei voluto fare nella vita».
Cioè, il direttore di rete Rai?
«No, lo psicanalista».
Ha mai fatto politica?
«Frequentavo il liceo Archimede. Due classi dopo la mia c’era Valerio
Verbano…».
Il giovane militante della sinistra
extra-parlamentare assassinato nel 1980.
«Non avevo tessere, né appartenenze a gruppi politici, ma ero abbastanza leader
durante le assemblee».
Ha mai partecipato a qualche scontro di
piazza?
«È capitato. Mi difendevo».
Università?
«I miei genitori mi imposero di iscrivermi a Medicina, ma dopo un anno e mezzo
mollai. Mi sono laureato in Lettere scrivendo una tesi sul matricidio nella
letteratura triestina. Poi mi sono iscritto a psicologia: pochi esami e ho
lasciato perché già lavoravo in Rai».
La prima mansione nella tv di Stato?
«Redattore/inviato di 3131, la trasmissione cult
di Radio2. Ci arrivai dopo un colloquio di tre ora con la capo-struttura Lidia
Motta. È stata una scuola incredibile: in giro per l’Italia a cercare storie e
fare interviste. Poi sono passato a Mi
manda Lubrano, da lì a Mi manda Raitre e infine a Chi l’ha visto, che ho seguito fino a un mese fa e che
segretamente proverò ancora a seguire».
Ha mai pensato di lasciare la Rai?
«Ci sono andato vicinissimo cinque anni fa. Paolo Ruffini mi chiese di seguirlo
a La7, il contratto era pronto, ma alla fine non ce l’ho fatta».
È tardi. Fuori è buio. Nei corridoi non c’è più nessuno. Si sentono solo dei rumori provenire da una stanzetta. Coletta: «È una segretaria. Facciamo a gara a chi esce dopo». Il direttore non ha una famiglia che lo aspetta a casa.
A 52 anni le è mai venuta la voglia di
paternità?
«Sì, ma non ho mai avuto una relazione che mi portasse a essere padre. Ho
avuto un cane, Azzurra, per dieci anni: un’esperienza meravigliosa: ho
cementato un linguaggio con un altro da me».
Le ho chiesto di un figlio e mi ha
risposto parlando di un cane. Roba da scatenare orde di haters.
«Lo Stato italiano non permette ai single di adottare bambini. E io sono
assolutamente contrario alle mamme surrogate».
Ha fatto una battaglia pubblica per
concedere le adozioni ai single?
«No: non penso che avrebbe portato a grandi risultati».
Ora è un direttore Rai, la sua voce è
ascoltata.
«Già. Mi farò sentire».