Oscar Farinetti (Doppio Binario – 7 – Agosto 2017)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7- Corriere della Sera il 24 agosto 2017)
MENTRE CAMMINA tra un faggio rosso e una sequoia secolare avverte il fotografo: «Svelto a scattare che con la pancia in dentro ho un’autonomia di otto secondi». Doppio Binario in Langa, nella tenuta Fontanafredda, tra cantine reali, grotte-frigorifero e vigne magiche con Oscar Farinetti. Nel suo fortino eno-gastronomico, dove regnano nebbiolo e tartufi, l’imprenditore è incontenibile: gioca allo scolaretto tra i banchi della sala conferenze della sua fondazione, spiega che il sistema più efficace per migliorare è copiare dai migliori, istruisce una coppia di turisti sul metodo classico con cui produrre champagne, spilla barolo da botti di cemento, camminando tra i filari srotola le virtù del dissuasore sessuale per i parassiti dell’uva: «In pratica li facciamo godere ma impediamo loro di riprodursi. Geniale!». Gli cito un paio di “farinettate” dell’ultimo periodo: nel libro Ricordiamoci il futuro ha scritto che bisogna porsi come obiettivo quello di salvare il mondo e di ridistribuire la ricchezza. Scherzo: «Sembra una frasetta da aspirante miss Italia». Replica: «E vabbè, mi sento burino come una miss di provincia». Farinetti non ama gli snobismi, non ama la cultura del lamento, non ama l’eccesso di malizia rancorosa (soprattutto da parte dei giornalisti): «Si respira una caduta di fiducia preoccupante. Gli italiani sono molto meglio di come vengono dipinti. I miei preferiti sono i ventenni: perché sono nati nella merda e sanno di doversi arrangiare con una buona dose di ottimismo».
DA PADRE-FONDATORE DI EATALY è l’alfiere commerciale dello slowfoodismo: il movimento creato da Carlin Petrini che da anni sponsorizza cibo “buono, pulito e giusto”. Ha aperto negozi in tutto il mondo: Asia, America, Russia. Spiega: «Fuori dall’Ue e dagli Stati Uniti, Eataly è diventato un franchising». Appena gli elenco le magagne che gli vengono rinfacciate, Farinetti sbuffa: «Solo citarle fa pensare che siano vere e invece sono tutte falsità». La corsia preferenziale per l’appalto Expo, le fiduciarie, i debiti, i dipendenti sottopagati con contratti anomali, le perquisizioni di alcuni impiegati a Bari. «Balle. E io ci sto pure male. Non sono uno di quegli imprenditori capitalisti che se ne sbatte dei lavoratori. Ho amici che leggendo le menzogne di certi giornali mi chiedono: “Ma perché tratti male i dipendenti?”. È assurdo. Per me è impensabile rubare. E considero rubare anche chiedere un favore a un politico». Conclude: «Posso commettere errori, ma mai in cattiva fede. In Italia ho duemila dipendenti ben pagati. Chiedete a loro. Chiedete agli allevatori della Granda, specie sublime di mucche, a cui pago la carne il 31 per cento in più del prezzo di mercato…». Farinetti è convinto che gli attacchi nei suoi confronti siano partiti quando ha cominciato a dire che gli piace Renzi. Annuncia: «A settembre faremo una conferenza stampa in cui chiariremo punto per punto. Nel frattempo potrebbe partire qualche querela». Lo invito a evitare le querele contro i giornalisti, perché hanno il sapore dell’intimidazione. Insiste: «Non posso ritirare quelle contro chi ha scritto cose gravi su mio padre». Il padre di Farinetti, il comandante Paolo, partigiano, ricorre più volte in tre ore di conversazione. È lui che ha suggerito a Oscar di comprare la tenuta di Fontanafredda dismessa nel 2007 dal Monte dei Paschi di Siena. «Mi disse: “funsà nan scapé”, non facciamocela scappare”. È lui che lo ha portato allo juventinismo e al socialismo. «Mio padre era più bravo di me, ma decisamente meno fortunato».
Meno fortunato? Perché?
«Costruì l’investimento di Unieuro in un periodo sfortunatissimo: alla fine degli anni Sessanta. L’inflazione in poco tempo crebbe sopra il 20 per cento, il costo del denaro e gli interessi da pagare erano alle stelle. Andammo vicini al fallimento. Il momento più bello della giornata erano le cinque del pomeriggio, quando le banche chiudevano».
Ci spostiamo dal bosco dei pensieri ai sotterranei che ospitano le cantine dove è nato il barolo. Su un muro di mattoni c’è una targa: «In questo luogo il 26 luglio 1986 si è tenuto il congresso di fondazione dell’Associazione Arcigola dal quale avrebbe avuto origine SlowFood».
Lei nel 1986 era qui con Carlin Petrini?
«No, ero in piena evoluzione Unieuro. Con Petrini ci frequentavamo da ragazzi, poi abbiamo cominciato a collaborare dopo il 2000».
Lei gli sottopose il progetto di Eataly.
«Fu subito entusiasta. Ma non gradiva il nome anglo fono. Gli dissi: “Tu mica hai chiamato il tuo movimento ‘Cibo Lento’”! Mi suggerì di battezzarlo con il nome di Vatel, lo chef di Luigi XIV. Non gli diedi retta». Unieuro aveva uno spot tv leggendario con Tonino Guerra che diceva al telefono: «Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita». Eataly… «Eataly non fa spot in tv. Però qualche anno fa, dopo aver passato una giornata memorabile con Tonino nell’Eataly di Torino, gli chiesi di trovare una frase per descrivere che cos’è Eataly».
Che cosa le suggerì il poeta?
«All’inizio nulla. Poi dopo una settimana mi chiamò e mi disse: “Ce l’ho: Eataly è quel posto dove trovi quello che non cercavi”. Prima o poi userò questo slogan».
Farinetti si arrampica su una collina gonfia d’uva. Indica una piccola stazione meteo. Dice: «Il futuro dell’agricoltura è l’abbinamento tra tecnologia e tradizione». Sostiene che dieci anni di studio e dieci di Eataly gli abbiano fatto capire il valore della terra e dei mestieri di chi la lavora. Si gira verso un casale diroccato: «Lì ci farò delle suite». Gli domando perché alla testa di alcuni filari siano state piazzate delle sculture di pietra tribali. Risponde: «Sono il passo oltre il bio-dinamico».
In che senso?
«I nostri antenati, le nostre nonne, avevano riti propiziatori per scacciare le gelate, la grandine o la malora. Ho scoperto da poco che qui si mettevano queste sculture. È la magia in agricoltura, il magismo. E allora ho deciso di riprodurle e di metterle a protezione di una vigna. La Vigna Magica. Sarà anche il nome del vino che ne verrà fuori». L’imprenditore mi vede scettico. «Le assicuro che il vino di questa vigna è più buono». Sorride: «Bisogna crederci. È un vino biologico che va oltre la retorica del biodinamismo. La suggestione è importante». Farinetti è così. La narrazione per lui è centrale. Spiega: «Ogni dieci anni cambio mestiere».
Ora vuole aprire Fico a Bologna.
«La Disneyland del cibo. Voglio portarci sei milioni di persone all’anno. Con tre milioni di turisti da smistare poi nella provincia italiana dove si producono leccornie da sogno».
Sei milioni non sono pochi. Serviranno infrastrutture…
«Ce la faremo. A New York abbiamo creato uno degli spazi più visitati d’America. Fico comunque fa ancora parte della galassia Eataly. Il mio progetto per il futuro è Green Pea».
Il pisello verde?
«Esatto. Il target poetico è il rispetto. Vorrei che comportarsi bene e rispettare il pianeta diventasse una cosa figa, un piacere, e non un dovere. Cioè: se faccio la differenziata cucco di più».
Non mi ha ancora detto che cosa dovrebbe essere Green Pea.
«Le ho spiegato il nocciolo. Tutte le mie idee imprenditoriali sono come le pesche: hanno un nocciolo che sarebbe il target poetico, la polpa che rappresenta il desiderio del pubblico e la pelle che è il marketing. Green Pea sarà il palazzo più bello del mondo, il più sostenibile, quindicimila metri, tutto di legno…».
Un luogo di educazione al rispetto per il pianeta…
«Educazione? Fermi tutti. Venderemo. Venderemo vestiti prodotti con cotone organico, energia e consulenze sul risparmio energetico, auto e bici elettriche e pezzi di arredamento. Tutti griffati con il pisello verde. Chi non avrà addosso qualcosa con il pisello verde sarà uno sfigato. Spendo tutto quello che ho, non me ne frega niente. Mia moglie mi ha detto: “Ma torneremo poveri”. E anche se fosse? Ci siamo nati poveri».
Dove sarà il Palazzo del Pisello Verde?
«A Torino. La città più creativa d’Italia. Ho già parlato con la sindaco Appendino».
Come ha reagito?
«Benissimo. Mi ha chiesto di raccontare il progetto ai suoi 24 consiglieri del M5S».
Farinetti sulla graticola pentastellata.
«È piaciuto molto anche a loro».
Ci infiliamo di nuovo nei sotterranei gonfi di botti. Dopo venti minuti che parliamo si spegne la luce. Farinetti: «È una tecnica che uso con le ragazze, ahah. Scherzo eh, sono sposato da 39 anni con la stessa donna che adoro». Quando riemergiamo il patron di Eataly indica una gigantografia appesa fuori dall’ingresso di un ristorante: «È Emanuele Alberto Mirafiori, figlio illegittimo di Vittorio Emanuele II e padre sviluppatore dell’azienda vinicola di Fontanafredda. Qui è vestito da Bacco. Vi ricorda qualcuno?». Effettivamente assomiglia molto a Matteo Renzi.
Lei è ancora renziano?
«La parola “renziano” non l’ho mai sopportata, perché dà l’idea della tifoseria. Renzi mi piace ancora molto: è uno che si sveglia alle 6,30 del mattino e cerca soluzioni».
Romano Prodi, Dario Franceschini e Walter Veltroni hanno cominciato a bacchettarlo.
«Lo dicono alcuni titoli di giornale a cui non darei troppo ascolto. Piuttosto devo dire che un bel tema di cui parlare è Giuliano Pisapia, lo stimo molto».
Lo vorrebbe alleato di Renzi?
«Mi piacerebbe da pazzi: Giuliano e Matteo insieme».
Chi dovrebbe fare il premier?
«Di premier ne abbiamo uno che non è affatto male: Paolo Gentiloni. Oggi sono infuriato con il Parlamento che non riesce a far passare una legge come lo Ius Soli, con quelli che raccontano notizie false per alimentare la paura dello straniero. Si dovrebbero fare letture pubbliche di Furore, il capolavoro di John Steinbeck. Lì si capisce tutto: non si può fermare chi viene dalla fame e dalla guerra. I muri e i blocchi navali non servono».
Le diranno: vuole gli immigrati? Se li prenda a casa sua.
«Risponderò: su duemila dipendenti di Eataly in Italia, 283 sono extracomunitari. E abbiamo trenta rifugiati politici che si sono integrati benissimo»