Raffaele Cantone (Doppio Binario – 7 – Giugno 2017)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 22 giugno 2017)

SI AVVICINA ALLA MACCHINA CON PASSO LENTO da gattone. Sul sedile posteriore c’è la sua borsa da lavoro. Estrae l’iPad. Comincia a compulsare quotidiani online e documenti. Tra questi c’è anche un appello da parte del sindaco Virginia Raggi a intervenire su alcuni appalti complessi. Dice: «Abbiamo una marea di richieste». Raffaele Cantone è il presidente dell’Autorità Anticorruzione, voluto da Renzi e in poco tempo trasformato in una sorta di Madonna Pellegrina della legalità. Sospira: «L’enfasi fortunatamente ora si è abbassata». I maligni sostengono che caduto il governo Renzi sia cominciata anche la corsa per ridimensionare il ruolo di Cantone. Lui chiarisce: «In realtà il meccanismo con cui l’Anac poteva bloccare gli appalti è stato reso più efficace». I posti anteriori della vettura sono occupati da due agenti della Finanza, Walter e Luca. Doppio binario blindato con scorta, quindi. Cantone parla a voce bassa e articola le risposte con calma rassicurante. Ogni tanto gli sfugge qualche turbo napoletanismo: «La prevenzione è necessaria ma ha effetti invisibili. Un cantiere senza incidenti… Che ne sai se è merito della prevenzione o del mazzo?». Il mazzo? «Ehm… Il sedere, la fortuna». Il viaggio parte dal cancello di una caserma romana. Quando gli chiedo perché viva in una foresteria militare e non abbia affittato un appartamento, spiega: «Perché la mia vita è a Giugliano». Giugliano è la città in provincia di Napoli dove Cantone è nato e cresciuto e dove vive con la famiglia.

Quando è a Roma chi frequenta?


«Pochissime persone. Niente salotti. La sera generalmente mangio una bistecca in via del Corso con i ragazzi della scorta».

Con loro si è creata una specie di fratellanza?


«Manteniamo le dovute distanze, ma sono effettivamente un pezzo reale di famiglia. Sanno tutto di me. Trascorriamo insieme, in macchina, molte ore al giorno, soprattutto durante i trasferimenti a Giugliano. Non venire a vivere nella Capitale mi ha aiutato a mantenere saldi i piedi per terra».

Ha amici antichi che non badano troppo ai suoi successi?


«Enzo, Roberto, Gerardo… Per sfottermi mi chiamano O presidente. Ho appena festeggiato con loro la mia prima vittoria al Fantacampionato».

L’hanno fatta vincere perché è una celebrità.


«Ho vinto perché ho acquistato l’attaccante Lorenzo Insigne quando nessuno credeva in lui».

Anche in famiglia la prendono un po’ in giro per il suo ruolo di Mr. Wolf degli appalti italici?


«I miei figli mi dicono: “Se combatti la corruzione come fai i lavori di casa stiamo freschi”».

Negli ultimi anni le sono arrivate anche critiche meno affettuose. Sabino Cassese sostiene che la sua Anac sia una sorta di gendarmone troppo ingombrante che produce anti efficienza.


«Ho provato e proverò a spiegargli che non è così».

Piercamillo Davigo ha criticato sia il suo ruolo sia il nuovo Codice degli appalti di cui lei è padrino.


«Temo che Davigo sul Codice degli appalti sia poco informato. Io ho sempre precisato di non essere Superman e di non avere bacchette magiche. La grande scommessa inconsapevole dell’Anac è quella di capovolgere il paradigma per cui solo la salvifica azione della magistratura può combattere per la legalità».

Lo dice da magistrato…


«Già. Forse non è chiaro che da presidente dell’Anticorruzione il mio compito non è arrestare né condannare. Non lo posso proprio fare. Noi cerchiamo di far rispettare le regole perché la corruzione non si verifichi. La nostra principale attività oggi è quella della vigilanza collaborativa. Considero medioevale il fatto di pensare che tutto vada risolto con le microspie e con le manette».

Se non si usano le manette…


«Nei Paesi civili funzionano molto di più l’accountability, cioè il rendere conto delle proprie azioni e delle proprie responsabilità, una cittadinanza attenta e la trasparenza».

La trasparenza in Italia…


«In via teorica… legislativa… astratta, abbiamo i migliori strumenti al mondo per garantire la trasparenza della Pubblica Amministrazione».

In pratica?


«C’è qualche resistenza. I dirigenti, per esempio, hanno ottenuto di non mettere online i loro stipendi».

Libero ha scritto che i suoi dossier sulle assunzioni Rai non conformi alle regole sono alla base della defenestrazione del direttore generale Antonio Campo Dall’Orto.


«È vero solo in parte. Noi abbiamo verificato il rispetto del piano di prevenzione della corruzione».

Cantone chiede alla scorta di fermarsi per prendere un caffè. Siamo in centro, vicino a Palazzo Chigi. Gli domando se Renzi gli abbia mai proposto di entrare in Parlamento. Replica di no. L’offerta più concreta che ha ricevuto è stata quella di candidarsi alla presidenza della Regione Campania nel 2015: «Ma non credo che conoscere i codici equivalga a saper gestire una realtà territoriale». Gli faccio notare che non sono pochi i magistrati che si danno alla politica. Ultimamente anche il super pm antimafia Nino Di Matteo ha dato la sua disponibilità per un governo a Cinque Stelle. Mi corregge: «Le parole di Di Matteo sono state lette così, ma non la considererei esattamente una disponibilità. Ci ho parlato a lungo proprio in occasione del convegno sulla giustizia organizzato a Montecitorio dal M5S».

Che cosa le ha detto?


«Io e lui eravamo compagni di concorso quando siamo entrati in magistratura. L’ho visto provato. Mi ha fatto un discorso amaro sulla solitudine del magistrato. Mi ha impressionato perché sto leggendo il libro di Giovanni Bianconi su Falcone. E ricordo la solitudine di Falcone, i colleghi che gli urlavano “traditore” durante le riunioni in cui si discuteva della Procura Nazionale Antimafia».

Di Matteo vive la stessa solitudine di Falcone?


«Gli viene rinfacciato di avere una scorta imponente come se fosse una sua scelta, una colpa che si deve far perdonare. Sono ambiguità inaccettabili».

Le manca la vita da pm?


«Più passa il tempo e meno mi manca. Quattro anni fa stavo per rientrare nella Procura di Napoli, ma il trasferimento è stato bloccato. Ho rinunciato a fare ricorso, ma quell’esperienza mi ha segnato».

Che cosa farà nel 2020 quando scadrà il mandato all’Anac? 

«Vorrei comunque tornare in magistratura».

Com’è il suo rapporto con Renzi?


«Buono. L’ho incontrato una decina di volte. Ci vedevamo soprattutto a colazione, a Palazzo Chigi. Mi diceva: “Se qualcuno viene a chiedere qualche cosa a mio nome, ti sta mentendo. Io non ti chiederò mai niente”. Ed è la verità».

Renzi l’ha voluta al suo fianco durante il viaggio di ottobre 2016 negli Stati Uniti. Con Bebe Vio, Roberto Benigni…


«Me lo ha comunicato al telefono, pochi giorni prima della partenza: “Ti servirà uno smoking”. Panico. Era venerdì. Ho chiamato il signore da cui compro i vestiti e gli ho detto: “Mimmo, c’è un problema”».

Tre giorni dopo era accanto a Barack Obama.

«Non ci ho parlato molto. Ma la grande confidenza che ha con Renzi lo rendeva molto alla mano». In quella trasferta americana c’era anche Giusy Nicolini, sindaco uscente di Lampedusa. «Quando ho saputo che Nicolini aveva perso le elezioni ho pensato: quel viaggio non ha portato molta fortuna. Ho cominciato a toccare ferro». Arrivati alla sede dell’Anac, Luca e Walter scendono dall’auto e aprono lo sportello di Cantone. Lui mi fa cenno di osservare un cestino gonfio di spazzatura. La prima volta che ci siamo incontrati, nel 2008, la sua Giugliano era sommersa di monnezza. Con una certa fierezza, dice: «Ora abbiamo una differenziata da città del Nord. Non esistono più i bidoni per strada. Stiamo messi di sicuro meglio di Roma». Noto: «Effettivamente si sente parlare molto meno della Terra dei fuochi». Spiega: «Purtroppo però la riduzione dell’interesse non è proporzionale alla soluzione di tutti i problemi. Ci si indigna, si portano folle oceaniche in piazza, ma appena passa l’emergenza…».

Lo ha detto lei che la differenziata è a un livello molto buono.


«Già, ma le ecoballe vengono portate via molto lentamente e con difficoltà, le bonifiche non sono state fatte e continuano i ritardi sui registri dei tumori. A me piacerebbe che in Italia ci fosse meno indignazione fugace e più solida consapevolezza».

Lei continua a mangiare tranquillo le mozzarelle di bufala della zona? 

«Certo. Qualche giorno fa in ufficio un funzionario del sindacato ha organizzato all’Anac una mozzarellata: la gara tra le bufale di Aversa e quelle di Battipaglia”. Lei saprebbe riconoscerle a occhi chiusi? “Certo. E preferisco quelle di Aversa. Sono più sapide».

Categorie : interviste
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