Ciro Immobile (Doppio Binario – 7 – Agosto 2017)
0 commenti(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 17 agosto 2017)
Lo si riconosce da lontano perché corre e cammina dondolando. Ciondola. Il bomber Ciro Immobile, 27 anni, sta concludendo la preparazione che lo vedrà in campo tra qualche giorno con la Lazio e i primi di settembre con la Nazionale contro la Spagna. Bermuda e camicia a righe. Unghie smangiucchiate. Doppio Binario chiacchierando e zigzagando tra porte, paletti e gradinate di Formello, sede dei biancocelesti: la serie A, il Mondiale in azzurro, la vita dei giovanissimi calciatori e i valori tatuati su tutto il corpo. Il soprannome di Immobile è Ciro il Grande. Oppure, con più leggerezza: Ciro d’Italia. Gioco di parole ciclistico che allude al suo ruolo in Nazionale, ma anche alle peripezie che lo hanno visto cambiare nove squadre negli ultimi nove anni. È stato capocannoniere sia in serie B sia in serie A, ed è tra i pochi italiani che si è spinto fuori dai confini: ha vestito il completo giallo-nero del Borussia Dortmund e quello blanco del Siviglia. Dice: «Conoscere realtà diverse, anche fuori dall’ambito calcistico, aiuta a crescere». Quando gli chiedo se prima o poi abbandonerà la sua indole itinerante, sorride: «Non ci penso proprio». Siamo a bordo campo. Ci diamo del tu. Ciro, nato e cresciuto a Torre Annunziata, ha una forte cadenza campana. Chiede se ho visto che cosa sia successo dalle sue parti: il crollo del palazzo con otto vittime, l’incendio gigantesco… A mezza bocca dice: «La città non sarà più la stessa». Saliamo una rampa di scale. Torniamo a parlare di calcio. Domando: sta per cominciare il campionato, quest’anno chi vince? «Juventus o Napoli». E le milanesi? «Credo che vengano dopo».
Questo è l’anno che porta ai mondiali di
Russia 2018. Quali sono le squadre che temi di più?
«Germania e Spagna. E anche l’Argentina».
Il Brasile di Neymar non ti fa paura?
«Per come giochiamo noi, sono più pericolose le europee».
Tu e Andrea Belotti, punta ringalluzzita
del Torino, giocherete insieme ai Mondiali?
«Spero di sì, abbiamo caratteristiche compatibili. Abbiamo avuto pure la
fortuna di affinare il rapporto in campo per qualche mese nel 2016, entrambi in
granata. Quando siamo nel ritiro azzurro dividiamo la stanza. Facciamo tutto
insieme, anche le sedute di crioterapia».
Si dice che abbiate ritmi del sonno
diversi.
«Ahah. Appena vede che mi sto per appisolare domanda: “Già dormi?”».
Quale caratteristica gli invidi?
«Uhm… Il colpo di testa. È micidiale».
Gian Piero Ventura, ct della Nazionale,
che ti ha allenato anche col Torino, ha quasi settant’anni…
«… è un vero intenditore di calcio…».
… Simone Inzaghi, allenatore della Lazio,
ne ha 41. Quanto è differente il modo di allenare tra due generazioni?
«Più che il modo di allenare sono diverse le attenzioni nei confronti dei
giocatori. Inzaghi ha smesso di giocare sette anni fa, conosce di più le
esigenze dei calciatori di oggi».
Ci perdiamo nei corridoi della sede della Lazio. Arriviamo in cima a una lunga gradinata. Passa Marco Parolo, centrocampista coriaceo, vede il fotografo, punta Immobile e fa: “Ma che è il compleanno di Ciro?”. Recentemente il coordinatore dell’area tecnica dell’Inter, Walter Sabatini, ha rilasciato un’intervista in cui denuncia una deriva preoccupante nel movimento calcistico: giocatori obnubilati dai social network, tappezzati di tatuaggi e che costruiscono solo relazioni effimere. Immobile è presente insieme con la moglie Jessica Melena su Instagram e ha parecchi tatuaggi, ma sia la partecipazione al social network sia i disegni sulla pelle sono gonfi di sentimenti solidi e di relazioni indelebili. Mentre parliamo, si sbottona la camicia e mi fa vedere l’ultima creazione: una famiglia stilizzata, piazzata in mezzo al petto.
È vero che tua madre quando eri
adolescente ti venne a trovare a Torino con la pretesa di riportarti a Torre
Annunziata?
«Sì. Era salita per il mio compleanno. Io vivevo in convitto, insieme con gli
altri ragazzi delle giovanili della Juventus. Mi disse: “Ma che ci stai a fare
qui?”. Le risposi bruscamente: “Vai via. Non mi mettere strane idee in testa”».
Vita da giovane promessa del calcio.
«La mattina a scuola. Pranzo di gruppo. E il pomeriggio allenamento. Fine.
Quando vivevo a Torre Annunziata e giocavo nel Sorrento il pranzo consisteva in
un panino smangiucchiato sulla Circumvesuviana».
Ogni tanto hai la sensazione di aver perso
qualcosa della tua adolescenza?
«Quando sei lì non la metti in questi termini, perché in fondo giochi a calcio
e lavori per realizzare il sogno di ogni ragazzino. Oggi col senno di poi
penso: la mia vita è sempre stata impegno e programmazione. Uscito da scuola
non ho mai pensato: ora vado a spasso con gli amici. Sapevo che mi dovevo
allenare».
Una volta hai detto: «Se non avessi
giocato a calcio chissà che fine avrei fatto».
«Molti amici di Torre Annunziata sono finiti in galera».
E quanti di quelli con cui condividevi il
convitto juventino sono finiti in serie A?
«Quasi nessuno. Le statistiche da questo punto di vista sono impietose: solo un
giocatore delle giovanili su quindicimila diventa professionista e solo uno su
trentamila riesce a giocare in serie A».
Chi era il tuo mito giovanile?
«Alex Del Piero. Ho esordito sia in serie A sia in Champions League proprio
sostituendo il capitano bianco-nero».
Qual è la squadra più forte che hai visto
giocare?
«In tv il Milan di Arrigo Sacchi. In campo il Barcellona di Pep Guardiola:
giocavo col Siviglia e Messi ci fece due gol su punizione. Messi è proprio di
un altro pianeta: ogni volta che ha la palla tra i piedi si inventa qualcosa di
imprevedibile».
Meglio Messi o Cristiano Ronaldo?
«Messi. Ronaldo è più un fenomeno fisico».
Hai un difensore “bestia nera”?
«Leo Bonucci. Sempre ordinato, sempre al posto giusto».
Sta per cominciare una riunione tecnica. Simone Inzaghi reclama la presenza di
Ciro. Alcuni suoi compagni escono dalla sala della fisioterapia e lo invitano a
prepararsi.
Chi è il giocatore in attività a cui pensi
di assomigliare di più?
«Edinson Cavani».
Uruguagio del Paris Saint-Germain. Ha fama
di essere uno che corre come un pazzo fino al 90esimo.
«L’ho citato anche per quello».
Se Inzaghi o Ventura ti chiedessero di
fare quello che Massimiliano Allegri ha chiesto all’attaccante Mandzukic, e
cioè di sgroppare come un terzino sulla fascia…
«Accetterei. Anche se non credo che Mandzukic soffra quando non fa gol».
Tu soffri?
«Sì, non mi sento realizzato. Detto ciò a me è capitato di giocare da esterno
sia nella Lazio, sia nel Pescara quando non c’era Lorenzo Insigne».
Il Pescara di Zdenek Zeman.
«Lui è un grande. Simpaticissimo: durante gli allenamenti cantava sempre. Anche
inventandosi le parole. L’ho risentito recentemente. È un maestro».
Chi ha giocato con Zeman resta zemaniano?
«Come modo di giocare non è possibile, perché ogni allenatore impone il suo
metodo. Ma nel modo di allenarsi un po’ sì. Io sono tra quelli che finito
l’allenamento chiede al Mister di restare in campo per migliorare alcuni
particolari».
Ora su che cosa stai lavorando?
«Sulla porta. La gestione dei palloni deviati in area di rigore, le occasioni
inaspettate…».
Sei devoto alla Madonna della Neve di
Torre Annunziata.
«Con la squadra siamo andati in visita dal Papa. Ma prima o poi vorrei portarci
tutta la famiglia».
Hai preghiere o riti pre-partita?
«No. Ascolto musica. Mi sparo in cuffia cantanti italiani. Tiziano Ferro…».
Sei anche tu, come molti calciatori, un
patito della PlayStation?
«Non sono forte quanto altri giocatori».
Hai una serie tv preferita?
«Mi è piaciuta molto The Walking Dead. E Gomorra. Tre settimane fa sono stato a cena con
Salvatore Esposito, l’attore che interpreta il giovane boss Genny Savastano».
Su Gomorra la critica è
divisa. C’è chi sostiene che la serie possa portare all’emulazione di
comportamenti criminali.
«Macché. Se non va in onda la serie, la criminalità mica sparisce!».
Nove anni, nove squadre. Quale città
consideri casa?
«Torre Annunziata. Ma devo tener conto di mia moglie. Lei è abruzzese.
Guarda…».Ciro si tira su la manica della camicia. Sull’avambraccio ha tatuata
la scritta: “Ovunque tu sarai io sarò”. Spiega: “È una frase di Jessica”.
Hai due figlie femmine, Michela e Giorgia.
Stai lavorando per il terzo, maschio?
«Io ci lavoro pure, ma Jessica è geneticamente modificata: partorisce solo
femmine!».