Michele Emiliano (Doppio Binario – 7 – Agosto 2017)

0 commenti

(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 3 agosto 2017)

Tre ragazze lo osservano nascoste dietro al sedile e cinguettano contente. Una signora anziana si avvicina e gli stringe la mano. Due giovani innamorati chiedono di farsi un selfie. La fidanzatina però ci ripensa: «Sono vestita troppo male». Clic. Doppio Binario sul regionale Bari – Barletta con il presidente della Puglia, Michele Emiliano. Lui osserva soddisfatto i passeggeri: «Ha visto? Nessuno mi insulta o protesta». Poi scherza: «Sono tutti figuranti, attori pagati, ahah». Aggiunge: «Quando ci siamo dati appuntamento in stazione ho temuto che arrivasse un treno in condizioni pietose, invece…». Emiliano è il caudillo pop del Tacco d’Italia. Autore spericolato di un triplo passo politico nel Pd, resto-esco-resto, degno del miglior Ronaldinho, e di un paso doble tarantolato che gli ha procurato la rottura di un tendine. Ora è interprete dell’opposizione interna movimentista alla sinistra di Matteo Renzi: «Sono la terza via tra gli scissionisti di Mdp e il renzismo». Appena cerco di portarlo sulle beghe nazionali, frena: «Prima le posso dire una cosa? Io da due anni faccio Mister Wolf».
Il personaggio di Pulp Fiction che risolve problemi?
«Sì, i problemi dei pugliesi. Il primo passo è stato quello di chiedere loro quali fossero le priorità. Il caso ha voluto che condividessi tutto: le criticità sull’Ilva, il No alla Tap, lo stop alle trivelle e alla riforma costituzionale».

Un tripudio di no.

«E molti sì. Ho introdotto una legge sulla partecipazione, una sul lobbying, il reddito di dignità…»

È una scopiazzatura del reddito di cittadinanza dei 5 Stelle?
«Emiliano fa le cose che i grillini si limitano a cianciare. Sono considerato un populista, perché sono in contatto diretto con le persone. In Puglia tutti hanno il mio cellulare, lo scriva: 335…840… 2227».

Verrà bersagliato dalle telefonate dei pentastellati. Loro hanno realizzato un video in cui la chiamano «lo sparaballe».
«Un montaggio pretestuoso. Frasi smozzicate prese da contesti diversi e messe insieme. Con me in Puglia i 5 Stelle non toccano palla. Li combatto, ma senza il disprezzo che mostrano nei loro confronti alcuni esponenti del Pd».

In futuro sarà ipotizzabile un accordo tra Pd e M5S?
«Non ci sono le condizioni. Ma se qualcuno può trasformare il Pd in un partito che abbia dentro di sé le istanze di cambiamento care anche ai Cinque Stelle, che sia capace di attrarre i loro elettori e di aprire un dialogo… quello sono io».

Il Pd dentro di lei, il cielo pentastellato sopra di lei.
«Ho molto rispetto del fenomeno politico creato da Grillo e Casaleggio. Sa qual è una delle lezioni principali che viene dal Movimento Cinque Stelle?».

Quale?
«Che a differenza di quel che pensano Renzi e D’Alema, la politica non può essere al servizio del lobbismo. Noi non possiamo rappresentare degli interessi. Noi dobbiamo arbitrarli».

Lobby. Lei in passato è stato criticato per aver ricevuto in dono una cassa di pesce con tanto di cozze pelose da un imprenditore pugliese.
«Poi è venuto fuori che quella cassa l’avevano ricevuta anche altre 30 personalità baresi tra cui anche alti magistrati. I giornalisti che mi hanno infamato sono a giudizio».

Dlin dlon, siamo in arrivo a Bisceglie. Emiliano ogni tanto guarda fuori dal finestrino e posa lo sguardo sulla distesa di ulivi. Gli ricordo un’immagine forte dell’ultimo anno politico: lui sul palco della Direzione del Pd che fa marcia indietro rispetto alla possibilità di seguire Roberto Speranza ed Enrico Rossi nella scissione, Matteo Renzi e Matteo Orfini che lo guardano increduli, il deputato Antonello Giacomelli che interviene chiedendosi se quello che ha appena parlato sia Emiliano o un suo sosia. Spiega: «In politica può capitare di dire tatticamente una cosa e poi di farne un’altra. Ma io sono sempre stato un cane sciolto nel Pd. Prima di Renzi avevo contro i dalemiani pugliesi. E conoscendo l’humus dalemiano della scissione sapevo che non mi ci sarei ritrovato bene. I numeri dei sondaggi mi danno ragione: Mdp ora non arriva nemmeno al cinque per cento».

In Transatlantico si dice che in realtà lei abbia fatto un accordo con Renzi che alle prossime elezioni le concederà una quindicina di parlamentari.
«No, no. Io lavoro per prendere il posto di Renzi».

Lei è stato renziano.
«Quando è arrivato Renzi per me è stato come Napoleone per Beethoven. Poi mi sono accorto che era come gli altri. E ora Renzi/Napoleone, malgrado la sconfitta referendaria, continua a sfidare il mondo urlando “ho ragione io”. Capisco che una Waterloo faccia venir voglia di morire sul campo, ma Matteo non può portare con sé nel baratro tutto il Pd. Gli italiani e il popolo di sinistra vogliono altro».

Vogliono Emiliano?
«Io sto cercando di costruire dentro il Pd un metodo partecipativo, attento all’indipendenza dagli interessi, ma lontano dalla paura di contaminarsi che hanno i 5 Stelle: loro per il timore di inciampare restano immobili».

Dlin dlon. Eccoci a Trani. Un ragazzo un po’ sovrappeso con un casco di riccioli neri si accosta al sedile di Emiliano e gli comunica commosso che si è appena laureato in Giurisprudenza. Dice, radioso: «È un segno del destino che proprio oggi l’abbia incontrata qui». Il Presidente lo abbraccia: «Mi dia un bacio». Poi rivolto a me: «I pugliesi si ricordano che sono stato un magistrato».


Lo è ancora. Visto che fa politica da 13 anni perché non lascia la magistratura?
«Nessuna categoria di lavoratori che si candida in politica può essere costretta alle dimissioni».

C’è un problema di opportunità.
«Si può fare una legge che imponga a un magistrato che entra in politica di non tornare in magistratura. Ma perché dovrei perdere il lavoro che ho conquistato con un concorso pubblico? Come presidente della Regione non ho vitalizio… Come dovrei fare? Se me lo propongono potrei sottoscrivere sin da ora un accordo per essere trasferito all’Avvocatura o in qualche altra amministrazione pubblica. I magistrati possono fare tante cose…».

Non sono troppi i magistrati che fanno politica?
«Sono sempre troppo pochi».

Lei era magistrato quando Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono stati assassinati dalla mafia. Sono trascorsi 25 anni.
«Il 19 luglio 1992 ero con la mia famiglia. Stavo rientrando dal mare con mio figlio Giovanni sulle spalle. Vidi mia cognata uscire di casa e venirmi incontro. Aveva il viso stravolto. Si avvicinò e mi disse: “Paolo”. Capii che avevano ucciso Borsellino e cominciai a urlare. Come era possibile che non fossimo riusciti a proteggerlo?».

Se lo domandarono e se lo domandano tutti gli italiani. Oggi non si parla troppo poco di mafia?
«Sì. Ho rimproverato in più occasioni pubbliche il mio partito e il mio segretario per aver smesso di parlare di mafia».

Che cosa le hanno risposto?
«Che la lotta alla mafia deve essere una routine silenziosa: fare il proprio dovere e catturare i latitanti. Un po’ è vero. E però è evidente che Renzi non conosce la mafia: denunciare e puntare il dito ad alta voce sui criminali è un modo per togliere loro il potere di intimidazione che è elemento portante del controllo del territorio».

Lei quanti anni è stato sotto scorta?
«Una decina. Quando arrivai a Brindisi e cominciò il processo contro la Sacra Corona Unita, la mia auto era un’Argenta verde pisello. Chiamai Falcone, che era alla Direzione generale degli affari penali, e gli dissi che in Puglia la situazione era drammatica. Mi mandò una Croma blu blindata con sedili in pelle. All’inizio la guidavo io, perché i Carabinieri non essendo dipendenti del ministero della Giustizia non erano assicurati. Il giorno dopo l’elezione a sindaco mi tolsero la scorta. Come gesto simbolico, allora, mi disarmai e smisi di portare con me la pistola».

Lei girava armato?
«Sì. I magistrati possono, anche senza porto d’armi».

Siamo a Barletta. I freni strillano sulle rotaie. Dato che nessuno dei passeggeri pugliesi ha rinfacciato magagne e guai locali al presidente Emiliano, lo faccio io.

Lei ha alzato gli stipendi ai manager della Asl.
«Eravamo quelli che li pagavano di meno: una misura populista che rischiava di impedirci di scegliere i migliori».

È vero che sul territorio gestisce con spregiudicatezza i rapporti con dirigenti e uomini del centrodestra?
«Abbiamo spostato sui nostri programmi moltissimi pugliesi che prima appoggiavano Raffaele Fitto e Salvatore Tatarella. Ma senza inciuci. Sono più intransigente di quando ero magistrato».

Mentre scende dal treno accenna una piccola smorfia di dolore. Chiedo se sia colpa del tendine che si è rotto ballando un po’ goffamente la taranta. Emiliano si sfoga: «Lo sa che in realtà l’incidente è stato causato da un antibiotico? Non avevo letto bene il bugiardino e il medico non mi aveva avvertito del fatto che l’antibiotico che stavo prendendo indeboliva i tendini». Online il video dell’incidente danzereccio è cliccatissimo. Ma lo è anche quello in cui Emiliano in canotta ringrazia i pugliesi che lo hanno sostenuto durante la degenza. Comunicazione pop. «Solo gli intellettuali possono fare a meno della canottiera. Chi lavora, invece… Mi sono dato un obiettivo sportivo e politico: tornare a ballare il 26 agosto, durante la Notte della Taranta». La Notte della Taranta? Flavio Briatore, guru dell’accoglienza di lusso, ha bocciato il modello pugliese fatto di alberghetti e balli in piazza. «Briatore con le sue sciocchezze ha fatto indignare mezza Italia e ha spinto gli italiani ad amarci di più. Quindi devo ringraziarlo: si è fatto prendere a parolacce dai pugliesi e si è rivelato un ottimo promoter. Ho apprezzato il sacrificio».

Categorie : interviste
Leave a comment