Andrea Guerra (Doppio Binario – 7 – Maggio 2017)

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(Intervista pubblicata su 7 – Corriere della Sera il 26 maggio 2017)

Per un paio di decenni ha portato frigoriferi nelle case di tutta Europa e occhiali sui nasi di mezzo mondo. È stato l’ascoltatissimo consigliere economico di Matteo Renzi e ora ha preso in mano il timone del gruppo farinettiano Eataly. Incontro Andrea Guerra, 51 anni e tre figli, a Milano. Doppio Binario in bici. Lui pedalata assistita, hi tech e fluida, io pedalata sgangherata. Prima di inforcare le due ruote parliamo mezz’ora sotto al pergolato della sua abitazione meneghina. Dopo aver osservato la montatura delle mie lenti, il manager esclama: «Lei ha degli occhiali veramente brutti!». Il giudizio è qualificato. Romano e globetrotter, Guerra parla con cadenza curiale: è un ritmo morbido che scandisce idee apparentemente semplici. Spiega: «Il segreto del business? Metodo, buon senso e psicologia». Ancora: «Qualcuno ha definito il mio modo di gestire un’azienda… leadership risonante: perché con le parole e i comportamenti cerco di convincere tutti i dipendenti di quanto sia fondamentale il loro impegno per raggiungere gli obiettivi comuni». Intuisce che la ricetta potrebbe sembrare troppo semplice e aggiunge: «È un lavoro lungo, eh. Si perdono i capelli, la vista, e ti si ingrossa il fegato».

Si parte. Percorriamo un pezzo di strada nella corsia del tram. Le rotaie ringhiano. Guerra pedala tranquillo: «A Milano mi muovo solo in bici». Mentre ci spostiamo sulla ciclabile gli chiedo se sia ancora in contatto con Matteo Renzi. Annuisce. Spiega: «Ci siamo visti recentemente. Non ci sentivamo da un po’. Tra l’altro, quella di ritagliarci sempre un momento di confronto, solo noi due, è stata una delle regole d’ingaggio che gli chiesi di controfirmare quando andai a Palazzo Chigi».

Il suo bilancio al governo. Dove è stato ascoltato?
«La partenza del progetto della banda larga… la riforma delle banche popolari. L’Ilva di Taranto. Le discussioni con Renzi sono sempre state molto accese, vere». Viriamo verso il Duomo. Domando quale sia stato l’errore più grande commesso dal premier Renzi. Guerra glissa sul caso Consip e su Banca Etruria e replica: «Matteo ha avuto troppa fretta nell’organizzazione delle persone che gli stanno intorno. È un errore che oggi non rifarebbe più».
Quando gli chiedo un’opinione sul Jobs Act, la madre delle riforme renziane, dice: «Non lo discuto, anzi. Ma una volta reso flessibile il mercato del lavoro, andrebbero sviluppate bene le cosiddette politiche attive».

Proseguiamo zigzagando tra macchine e passanti. Lei è stato ad di Merloni elettrodomestici e del gigante Luxottica. Perché ha accettato la guida di un gruppo relativamente piccolo come Eataly?
«Uscito da Luxottica ho ricevuto offerte da tutto il mondo: la multinazionale della moda LVMH, la Adidas… ma non avevo voglia».

Un bel privilegio non avere voglia a cinquant’anni.
«Non parlo della voglia di lavorare, ma di ricominciare con un colosso. Non ero pronto. Io non sono un cinico. Nel lavoro metto tutta l’energia possibile. Ho cominciato a ragionare sugli ingredienti della mia felicità lavorativa».

Quali sono?
«Avevo bisogno di un’azienda italiana, con un bel marchio e con grande possibilità di espansione. Eataly. Sono io ad aver avvicinato Oscar, non il contrario».

Lei ha detto: «Eataly non è in concorrenza con la grande distribuzione alimentare».
«Non possiamo competere su quella scala. Ma ne abbiamo modificato i meccanismi: ora molti supermercati ospitano l’angolo gourmet. Eataly ha dentro di sé l’unico elemento che oggi ti faccia muovere velocemente la mano verso il portafogli: l’emozione».

Eataly è stata contestata dal Codacons perché sugli scaffali ospiterebbe cioccolata non Made in Italy.
«Come dire che Illy non fa caffè italiano, perché i chicchi vengono dal Brasile. Non scherziamo. Eataly ha come partner Slowfood. Con l’aiuto di Carlin Petrini e del suo Terra Madre siamo in contatto con piccoli contadini e allevatori a cui spesso affittiamo spazi. Con Eataly sono usciti per la prima volta dal confine italiano 8mila prodotti che tenevamo nascosti all’ombra dei nostri campanili. Ed è assurdo che ci sia voluto Farinetti per dare la sveglia. Gli italiani sono un po’ viziati».

Viziati?
«Sì, dalla crescita e dall’arricchimento. A essere più intraprendenti, quante Eataly potrebbero nascere legate al mondo del mobile, del design, della gioielleria…?».

In 25 anni da manager si è occupato di hotel, di elettrodomestici, di occhiali e… ora di cibo.
«Se qualcuno mi chiedesse quale sia la mia caratteristica principale, risponderei: cerco di capire la posizione migliore per ciascuno all’interno dell’azienda. Ascolto e cerco di tirar fuori da tutti il massimo di imprenditorialità».

Che studi ha fatto?
«Ho frequentato una scuola privata inglese di Roma Nord. A 18 anni ero bilingue. A inizio Anni 80 non era scontato».

Anche i suoi figli hanno frequentato scuole private?
«No, pubbliche. Per fargli imparare l’inglese però ho elaborato piani orribili».

Un esempio?
«Compiuti i 9/10 anni ho cominciato a spedirli per tre settimane d’estate in Inghilterra, da soli, in luoghi dove non c’erano amici né italiani».

Lei è bocconiano?
«Ho studiato alla Sapienza di Roma. Economia pura. Immaginavo un futuro nel mondo accademico o a contatto con il sindacato».

Il primo lavoro?
«Dopo quattro mesi che collaboravo come ricercatore, la catena di hotel Marriott mi contattò come interprete per seguire lo sbarco in Italia. Rimasi a Bethesda, negli Stati Uniti, sei mesi. Alla Marriott trovai un maestro, Alessandro Correani, che mi insegnò a gestire il passaggio costante tra fantasia, numeri e progettualità».

Poi lei passò alla Merloni elettrodomestici.
«A 29 anni mi mandarono a dirigere il mercato turco. Quando sono sbarcato a Istanbul mio figlio Pietro aveva 20 giorni. Lì è nata la mia famiglia. Cominciai a girare per tutto il Paese. Ogni weekend andavo in un mercato diverso con i clienti. Dopo tre anni l’ad di Merloni Francesco Caio…».

… il super manager che ha guidato anche le Poste…
«… mi disse che era ora di prendere un incarico fuori dalla mia comfort zone. Mi assegnò la responsabilità di tutto il settore frigoriferi. Un inferno».

Perché un inferno?
«Perché ogni stabilimento è un mondo a parte. In quegli anni, nella zona di Caserta, ho combinato robe che se ci ripenso, dico: “Eri scemo!”».

Un esempio?
«I capi reparto erano tutti assessori dei Comuni della zona. Beh, io li ho tolti tutti».

E il sindacato non si è ribellato?
«No. Per il sindacato ho sempre avuto un clamoroso occhio di riguardo».

I lavoratori di Eataly qualche tempo fa hanno denunciato condizioni di precariato estremo.
«Abbiamo alzato il braccio e ammesso gli errori. In 25 anni da manager io ho subito solo un’ora di sciopero».

Quando?
«Con la Luxottica. Avevamo esagerato con i sistemi di controllo del personale. Un errore». Leonardo Del Vecchio, il patron, quando la chiama per guidare Luxottica? «Nel 2004. Ero da quattro anni a capo di Merloni. Vivevo felice a Fabriano con la mia famiglia. Del Vecchio mi telefonò dicendo che mi avrebbe conosciuto volentieri. Ci incontrammo il giorno dopo a Milano. Con lui ci siamo sempre detti tutto».

Nel business è un bene tirar fuori attriti e magagne?
«Nella vita affettiva o personale si può andare avanti con qualche nodo che non arriva mai al pettine. Negli affari è meglio affrontare i nodi subito».

Lei ha detto che ha sempre avuto un buon rapporto con i sindacati. Eppure non ha mai fatto parte del sindacato degli imprenditori, la Confindustria.
«Per come è strutturata non l’ho mai ritenuta cosa utile».

Prima di chiamarla come consigliere, Renzi le propose di fare il ministro.
«Non ero e non sono mai stato pronto per una vera esperienza politica. Forse non lo sarò mai. I politici, tutti, hanno troppa poca progettualità. Dovrebbero fare come chi pianta un bosco e sa che non si godrà i frutti del suo lavoro. Invece si concentrano sul consenso immediato».

Politica e impresa…
«Viviamo in un mondo percorso da tre rivoluzioni. La globalizzazione, di cui cominciamo a capire solo ora i pro e i contro. La tecnologia, che potrebbe avere un impatto sul mondo del lavoro che fatichiamo ancora a comprendere. E la responsabilità…».

La responsabilità?
«Responsabilità vuol dire essere credibili. Nel futuro, sempre di più, per le aziende e per i leader, la credibilità sarà la caratteristica più importante».

Ci fermiamo. Uno specchietto della sua bici s’è rotto e dondola accanto al cestino che ospita la batteria. Siamo vicini alla sede di Eataly.
Qual è la sua preferita?

«I negozi preferiti sono quelli che ti fanno tribolare di più e poi li vedi splendere. Quindi direi… quello di Chicago».

Tra qualche mese le tribolazioni di Eataly si potrebbero spostare in Borsa. Lei è di dichiarata fede laziale. Meglio un buon trimestre del gruppo Eataly o uno scudetto ai biancocelesti?
«Lo scudetto. Un brutto trimestre si sistema… Lo scudetto laziale capita una o due volte in una vita».

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